A inizio settimana è arrivato l’annuncio del sesto pacchetto di sanzioni ai danni della Russia. Si temeva l’ennesima fumata nera, invece proprio a pochi minuti dalla mezzanotte è arrivato l’ok decisivo. Certo, questo sesto giro è molto ridotto rispetto alla proposta presentata inizialmente dalla Commissione, ma almeno l’Unione europea ha superato l’impasse.
Bruxelles fermerà le importazioni di petrolio russo per due terzi del totale, vietando quelle via mare – circa il 65% del totale – ma non quelle via terra. L’embargo entrerà in vigore tra sei mesi, con eccezioni per Bulgaria e Croazia.
E non solo. Banche, media di regime, oligarchi e ufficiali delle forze armate sono finite nel mirino di Bruxelles: l’Unione europea ha previsto di inserire nella lista delle sanzioni altri 58 tra militari e responsabili di crimini di guerra a Bucha e nell’assedio della città di Mariupol. E c’è anche il capo della Chiesa ortodossa russa e patriarca di Mosca, Kirill, a cui la Commissione vorrebbe estendere il congelamento dei beni e la revoca del visto, e tre nuove banche da inserire nella lista di quelle scollegate dal sistema dei pagamenti internazionali Swift.
Infine c’è il bando anche per altri tre grandi emittenti statali russe – Rossiya RTR/RTR Planeta, Rossiya 24 e TV Centre International – che non saranno più autorizzate a distribuire i loro contenuti nei Paesi membri dell’Unione Europea via cavo, satellite, internet o tramite app per smartphone. Proprio come Russia Today e Sputnik.
Fin dall’inizio della guerra l’Unione europea ha deciso di mettere pressione sul Cremlino con diversi tipi di sanzioni: individuali, economiche, restrizioni ai media, misure diplomatiche, restrizioni alle relazioni economiche con le zone non controllate dal governo ucraino delle regioni di Donetsk e Luhansk. Sanzioni che si aggiungono a quelle già in vigore, imposte alla Russia a partire dal 2014 a seguito dell’annessione della Crimea e della mancata attuazione degli accordi di Minsk.
Il primo pacchetto in realtà è stato deciso il 23 febbraio, prima dell’inizio della guerra, a seguito del riconoscimento russo di Donetsk e Luhansk in Ucraina, e all’invio di truppe nella regione.
«Tali decisioni sono illegali e inaccettabili, violano il diritto internazionale, l’integrità territoriale e la sovranità dell’Ucraina», aveva detto Josep Borrell, Alto Rappresentante dell’Unione europea per gli Affari Esteri e la Politica di Sicurezza, con una frase che sarebbe stata valida anche per i cento giorni successivi – ma forse non poteva saperlo.
Primo pacchetto
Nel primo pacchetto Bruxelles aveva imposto misure restrittive a tutti i 351 membri della Duma di Stato russa, e altre sanzioni mirate a «27 individui ed entità di alto profilo che hanno svolto un ruolo nel minare o minacciare l’integrità territoriale, la sovranità e l’indipendenza dell’Ucraina: membri del governo, banche e oligarchi, ufficiali militari, individui responsabili della guerra di disinformazione». Il Consiglio aveva anche stabilito un divieto di importazione di merci provenienti dalle aree non controllate dal governo degli oblast di Donetsk e Luhansk, restrizioni al commercio e agli investimenti relativi ad alcuni settori economici, un divieto di fornire servizi turistici e un divieto di esportazione di determinate merci e tecnologie.
Secondo pacchetto
Due giorni più tardi, il 25 febbraio, è arrivato il semaforo verde per il secondo pacchetto: sanzioni contro il presidente Vladimir Putin e il ministro degli Esteri Sergey Lavrov, oltre a un ulteriore pacchetto di misure individuali e economiche che ha colpito anche la Bielorussia. Ma non solo, nel secondo pacchetto c’erano anche sanzioni al settore finanziario che hanno colpito il 70% del mercato bancario russo, misure restrittive contro le principali società statali, sanzioni nel settore energetico, nel settore dei trasporti, e per la politica dei visti – in modo che diplomatici, gruppi correlati e uomini d’affari non potessero avere più un accesso privilegiato all’Unione europea. Un pacchetto che ampliava l’elenco dei soggetti sanzionati a un totale di 654 persone e 52 enti.
Terzo pacchetto
Il 28 febbraio il Consiglio ha adottato un divieto alle transazioni con la Banca centrale russa, volto a impedire alla Banca centrale russa di accedere alle sue grandi quantità di riserve in valuta detenute nell’Ue; un divieto al sorvolo dello spazio aereo dell’Unione e all’accesso agli aeroporti degli Stati membri da parte di vettori russi di ogni tipo.
Il terzo pacchetto è stato poi ampliato il 2 marzo, con diverse misure – come il bando alle testate Russia Today e Sputnik – e in particolare con l’esclusione delle principali banche russe dal sistema Swift, il sistema di messaggistica finanziaria principale a livello mondiale. Una misura che ha impedito alle banche russe di condurre transazioni finanziarie in tutto il mondo in modo rapido ed efficiente. Una decisione coordinata con Stati Uniti e Regno Unito.
Una settimana più tardi è stato approvato il pacchetto “compliance”, concentrato soprattutto sulla Bielorussia: in particolare, sono state escluse dal sistema Swift tre banche di Minsk e sono state vietate transazioni con la Banca centrale della Bielorussia relative alla gestione di riserve o attività, e alla fornitura di finanziamenti pubblici per il commercio e gli investimenti in Bielorussia.
Quarto pacchetto
Il 15 marzo Bruxelles ha deciso di aumentare la pressione economica sul Cremlino con un quarto pacchetto di sanzioni che prevedeva il divieto totale di transazioni con alcune imprese statali russe, ad eccezione delle banche statali, delle ferrovie e del registro marittimo; il divieto per le agenzie dell’Unione europea di fornire servizi di rating finanziario alle società russe; un divieto di importazione di prodotti siderurgici attualmente nell’ambito delle misure di salvaguardia dell’Unione europea; un bando all’esportazione di beni di lusso.
Quinto pacchetto
Sono passate tre settimane dopo il quarto pacchetto di sanzioni. La guerra è andata avanti, ci sono stati il massacro di Bucha, l’orrore di Mariupol, la crisi di cittadini ucraini in fuga dalle città rese invivibili dalla guerra, le difficoltà interminabili negli approvvigionamenti del grano in tutto il mondo.
Solamente l’8 aprile è arrivato il quinto pacchetto di sanzioni. Tra le nuove misure c’era un divieto di importazione su tutte le forme di carbone russo; misure finanziarie, come il divieto totale delle transazioni e congelamento dei beni su altre quattro banche russe, oltre al divieto di fornire servizi di criptovalute di alto valore alla Russia; sanzioni sui trasporti, con il divieto totale per gli operatori stradali merci russi e bielorussi che lavorano nell’Unione europea; divieti di esportazioni mirate in settori chiave, come quelli di semiconduttori avanzati, macchinari sensibili, trasporti e prodotti chimici; l’estensione di divieti di importazione su cemento, prodotti in gomma, legno, alcolici (compresa la vodka), liquori, frutti di mare di fascia alta (compreso il caviale) e una misura antielusione contro le importazioni di potassio dalla Bielorussia.
Ragionare sul futuro
Ora è arrivato il sesto pacchetto, dopo quattro settimane di discussioni e trattative. E comunque è chiaro che non siano sanzioni «definitive» in alcun modo, dal momento che sono molto incomplete e non basteranno a fermare l’aggressione della Russia. Un settimo pacchetto ci sarà, prima o poi.
Ad ogni modo, per tutte queste misure restrittive l’Unione europea ha collaborato con numerosi partner internazionali, legandosi a Paesi e istituzioni che condividono gli stessi valori e condannano le atrocità del Cremlino.
Tra i partner c’è anche il Gruppo della Banca mondiale, la Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo (Bers), l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economici (Ocse). Per coordinare questo sforzo internazionale è nata la task force Repo (Russian Elites, Proxies, and Oligarchs), che consente all’Unione europea di cooperare con i Paesi del G7 — Canada, Francia, Germania, Italia, Giappone, Regno Unito e Stati Uniti — nonché con l’Australia, per garantire l’applicazione delle sanzioni.
Adesso alcuni Paesi dell’Unione europea stanno immaginando di prendere «una pausa», come ha detto il primo ministro del Belgio, Alexander De Croo: «Fermiamoci per il momento e vediamo qual è l’impatto di questo sesto pacchetto». Una pausa – che non si capisce ancora quanto lunga – che sembra anche la soluzione voluta da Germania e Francia, in particolare per non dover calcare la mano fin da subito con il gas.
La spinta per un nuovo giro di sanzioni arriva soprattutto dall’Est, dai Paesi che si sentono più minacciati dalla Russia e dal suo esercito, e vorrebbero fare di tutto pur di fermare la macchina militare di Putin. Che è la priorità numero uno.