«Vieni, andiamo al bar». A duemilatrecento metri di altitudine, nel mezzo di un altopiano che ha per tetto il cielo blu e pareti di roccia, “il bar” è un piccolo torrente che si infila tra i massi ricoperti di muschio e scivola a valle. Nel silenzio più totale, l’unico rumore è il gorgoglio sommesso dell’acqua che scorre. Per chi arriva fin quassù in un giorno di mezza estate, in questa estate torrida dei fiumi al minimo storico, è un suono bellissimo. Per Giovanni Agù, che ha gli animali in alpeggio a cinquanta minuti di cammino, quel suono è oro perché significa che la sua vita da margaro può andare avanti. Ed è un po’ come continuare quella di suo padre che non c’è più e di sua madre, Mariuccia Ferro Tessior, orgogliosamente «margara figlia di margari», perché questo è un lavoro che non si sceglie, te lo ritrovi addosso quando nasci e non puoi farne a meno.
Valle Stretta, ultimo lembo di Piemonte al confine con la Savoia. Dal 1947 la parte superiore della vallata fa parte del territorio transalpino, come segnalano i cartelli in doppia lingua. In estate Agù si divide tra la Vallée Étroite e la Valle Fredda, badando a suoi vitelli e a quelli di altri allevatori, animali che una volta svezzati saranno venduti ad altri allevatori per la fase di ingrasso.
Un passaggio che avviene nel raggio di pochi chilometri: «Immaginando il Piemonte come un grande pascolo, gli animali da quando nascono a quando vengono macellati non escono dai confini della regione» spiega Giorgio Marega, direttore di Coalvi, il Consorzio di tutela della razza piemontese che rappresenta 1400 allevatori e 30 mila animali censiti.
«L’allevamento a ciclo chiuso è uno degli aspetti che rende la carne piemontese altamente sostenibile rispetto ad altre che viaggiano centinaia di chilometri prima di raggiungere il consumatore» – chiosa Luca Varetto, responsabile scientifico Coalvi.
Non tutta la carne rossa pesa allo stesso modo dal punto di vista ambientale e la razza piemontese ha diverse frecce al suo arco, sostiene Varetto. E lo spiega con una metafora efficace: «Dobbiamo pensare alla sostenibilità come al terzo pedale del pianoforte, quello che prolunga il suono della nota e che, non a caso, si chiama sustaine».
La traduzione di sustainable non è sostenibilità, come sostiene anche Carlin Petrini, ma durabilità, replicabilità sulla lunga distanza. «E la carne piemontese lo è – continua Varetto – per la natura del territorio ricco di corsi d’acqua, per la filiera corta e per la grandezza degli allevamenti, un aspetto che si tende a considerare poco: si tratta di aziende sparse su aree piuttosto vaste che riescono a stare molto al di sotto della percentuale massima di animali per ettaro, prevista dalla legge. E poi c’è il tema più generale della manutenzione del territorio: pascolando i bovini mantengono i prati tosati consentendo alla pioggia ma soprattutto alla neve di penetrare nel terreno, mentre l’erba alta tenderebbe a farla scivolare a valle».
Un ecosistema perfetto che la siccità di questi mesi rischia però di minare. Si guarda al cielo con preoccupazione, sperando che arrivi un po’ d’acqua a dissetare i campi: «In quota la situazione è migliore rispetto alla pianura, i fiumi hanno ancora acqua e i prati sono verdi – nota Varetto – ma per prudenza alcuni allevatori hanno anticipato di qualche settimana la salita in alpeggio per approfittare delle temperature più basse e della presenza dell’erba».
Se continuasse la siccità e i prati dovessero essere compromessi dal troppo caldo, torneranno a valle verso metà agosto, anticipando la discesa che di solito avviene a settembre, un tempo addirittura ai primi di ottobre. Per ora, almeno in Valle Stretta, il torrente canta.