Nelle prime fasi della guerra, un periodo più o meno lungo a seconda dell’ottica che si vuole usare, si è parlato dell’inadeguatezza dell’esercito russo, delle scarse connessioni tra i suoi reparti, dell’importanza degli aiuti occidentali per la resistenza. La guerra breve, insomma, se non è stata vinta dall’Ucraina, ancora in enormi difficoltà su molti fronti, di sicuro non l’ha vinta la Russia come avrebbe sperato.
L’esercito di Kyjiv, pur con tutti i problemi nel dover affrontare un vicino molto più grosso, armato e ricco, ha saputo infliggere perdite enormi a Mosca. Ma dopo oltre quattro mesi di conflitto le prospettive cambiano: i problemi prioritari diventano la scarsità di munizioni, la difficoltà nel rimpiazzare alcuni corpi dell’esercito, lo spostamento delle linee del fronte. E da questa condizione la Russia sta traendo un discreto vantaggio.
Nei giorni scorsi l’armata russa ha preso la città orientale di Severodonetsk, ha iniziato la sua avanzata verso Lysychansk e presto potrebbero controllare tutta la provincia di Luhansk. Anche Slovyansk, a nord della vicina Donetsk, è un potenziale obiettivo e sotto minaccia. Per i vertici militari ucraini, che non smettono di ricordare a tutti di essere privi di armi e munizioni, ora viene il difficile.
«Fortunatamente per l’Ucraina, questa non è la fine», scrive l’Economist. «L’avanzata russa è lenta e costosa, mentre grazie alle armi fornite dalla Nato, con nuove tattiche e sufficienti aiuti finanziari, l’Ucraina ha tutto il potenziale per respingere i soldati del Cremlino. Anche se il territorio perduto sarà difficile da riconquistare, l’Ucraina può dimostrare l’inutilità della campagna di Vladimir Putin ed emergere come uno Stato democratico che guarda a Ovest. Ma per farlo ha bisogno di un supporto duraturo». E quest’ultimo punto è ancora in discussione.
A prima vista, il prolungarsi della guerra gioca tutto a favore della Russia. Lo si può capire guardando il dettaglio delle munizioni: entrambe le parti ne stanno usando quantità enormi, solo che la Russia ne ha molte di più ed è in grado di rifornire i suoi soldati con un discreto ritmo – anche se le connessioni tra l’industria bellica e l’esercito sul campo non sono proprio impeccabili.
Inoltre l’economia russa è molto più grande di quella ucraina, e il Cremlino di certo non si fa problemi a superare ogni tipo di linea rossa – come abbiamo visto con numerosi crimini di guerra commessi fin qui, compreso l’ultimo al centro commerciale di Kremenchuk – per terrorizzare e demoralizzare gli ucraini. Se necessario, Putin imporrà dolorose sofferenze anche al suo stesso popolo.
«Tuttavia, la guerra non deve essere combattuta alle condizioni di Putin. Potenzialmente l’Ucraina ha un gran numero di combattenti molto motivati a difendere il loro Paese, e possono contare sui rifornimenti dell’industria militare occidentale. Nel 2020, prima delle sanzioni, le economie della Nato erano più di dieci volte più grandi di quella russa», ricorda l’Economist.
La svolta dell’Ucraina in una guerra che si prolunga deve partire dal campo di battaglia, non dalla politica: la priorità è fermare e invertire la rotta dell’avanzata russa. Allora ecco che le parole di Joe Biden, presidente degli Stati Uniti, pronunciate a Madrid durante il vertice Nato hanno un valore non solo simbolico: «La guerra della Russia non si concluderà con una sconfitta dell’Ucraina», ha detto lasciando intendere che la Nato – e soprattutto il suo maggior contribuente – non lascerà che le maggiori disponibilità di partenza di Mosca facciano la differenza.
L’Occidente può aumentare il costo che la Russia deve sostenere per condurre una guerra molto lunga, continuando a premere sulle sanzioni e minacciando danni permanenti all’economia russa. «In questo modo, si possono creare fratture tra le élite russe e Putin, accogliendo i dissidenti del mondo degli affari e della politica, incoraggiandoli a vedere che il loro Paese sta buttando via il suo futuro in una campagna militare inutile e costosa», si legge sull’Economist.
Il vero dubbio è se l’Occidente sia disposto a mantenere la rotta per tutto il tempo necessario. Il mese di giugno ha lascito in dote almeno tre grosse indicazioni positive in questo senso: il 23 giugno l’Unione europea ha concesso all’Ucraina lo status di candidato, promettendo un profondo livello di impegno nel prossimo decennio; al successivo G7 di Elmau, sulle Alpi bavaresi, i leader delle grandi potenze occidentali hanno ribadito di voler accentuare le sanzioni sulla Russia e di voler offrire ancora il loro sostegno a Kyjiv; a fine mese, al vertice di Madrid, la Nato ha riconosciuto la minaccia russa aumentando notevolmente la sua presenza sul fronte orientale dell’alleanza.
Solo che, come sappiamo, i rifornimenti occidentali all’Ucraina sono ancora insufficienti per diversi motivi – le industrie belliche sono abituate a lavorare su ritmi molto più lenti – e i costi aumenteranno con il passare del tempo, non solo quelli legati agli sforzi militari: il gas russo può essere uno di quei fattori che spacca l’unità di intenti dell’Unione europea.
«Per complicare ulteriormente l’assunto – aggiunge l’Economist – bisogna considerare che i membri della Nato temono che se l’Ucraina dovesse iniziare a prendere il sopravvento, convincerebbe Putin a intensificare i suoi attacchi, e trascinare così Kyjiv e i suoi alleati in una guerra catastrofica».
Il piano di Putin è ottenere quanto più è possibile sul campo, a qualunque costo e con qualunque mezzo – anche illecito –, costruirsi una posizione di vantaggio per poi costringere le nazioni occidentali ad accettare i suoi termini in un eventuale futuro accordo sull’Ucraina in cambio di uno stop delle operazioni militari.
Ma in ogni scenario possibile, accettare quell’accordo sarebbe un grave errore per l’Occidente: difficilmente Putin si fermerà, anche in caso di negoziato, dopotutto ha sempre violato anche gli accordi di Minsk successivi all’invasione della Crimea. Anzi, proprio poche settimane fa ha ammiccato alle grandi guerre di conquista di Pietro il Grande, che conquistò anche parti della Svezia – non a caso un Paese destinato a entrare nell’alleanza della Nato.
Il modo migliore per prevenire future aggressioni sconsiderate e imprevedibili di Putin è sconfiggerlo in questa guerra iniziata a febbraio. «I leader occidentali – è la conclusione dell’Economist – devono spiegare al loro popolo che non stanno solo difendendo un principio astratto in Ucraina, ma anche il loro interesse fondamentale: la propria sicurezza. L’Unione europea deve sostenere i suoi mercati energetici in modo che non crollino il prossimo inverno, l’Ucraina deve avere più armi e le minacce di Putin sventate fin dal principio perché da sole non si fermeranno».