Oltre i numeri L’accordo Ue-Nuova Zelanda è il primo pensato per il commercio sostenibile

Il Paese oceanico vale lo 0,2% del totale delle importazioni ed esportazioni dei 27 Stati membri ma l’intesa negoziata con la premier progressista Jacinda Arden prevede stringenti regole ambientali e potrebbe portare a un positivo effetto domino

Profilo Twitter di Ursula von der Leyen

C’è la photo opportunity con una delle leader politiche più apprezzate dall’opinione pubblica europea, un mercato lontano da sviluppare e una nuova frontiera da raggiungere per le aziende comunitarie. Ma anche la prima intesa commerciale «green» della storia dell’Ue e un tassello in più nelle relazioni con l’area del Pacifico.

L’accordo di libero scambio che Unione europea e Nuova Zelanda hanno appena concluso è ricco di significati che vanno al di là del puro impatto economico. L’incidenza commerciale, viste le dimensioni della Nuova Zelanda, è ridotta, anche se non del tutto trascurabile: si parte da un flusso attuale di circa otto miliardi di euro all’anno, con il commercio bilaterale che dovrebbe crescere fino al 30%, le esportazioni aumentare di 4,5 miliardi di euro e gli investimenti dell’80%.

Questo grazie a un’intesa che elimina reciprocamente le barriere commerciali: saranno tolti tutti i dazi sulle esportazioni europee in Nuova Zelanda, aperti i mercati neozelandesi in settori chiave come servizi finanziari e telecomunicazioni, ridotta la burocrazia nel trasporto merci e facilitato il flusso di dati. La Commissione europea stima un risparmio di 140 milioni di euro all’anno di dazi per le società dell’Unione, fin dal primo anno di applicazione.

Gli agricoltori dei 27 Paesi membri potranno vendere più facilmente i loro prodotti dall’altra parte del mondo non solo perché non saranno più tassati in entrata, ma anche perché verranno protette le etichette: il governo di Wellington si è impegnato l’elenco completo dei vini e degli alcolici dell’Unione (quasi 2000 nomi, dal Prosecco allo Champagne) e 163 fra le eccellenze alimentari, dall’asiago alla feta.

Il primo di una lunga serie
L’accordo UE-NZ, come è già stato ribattezzato, è pure il primo a integrare un nuovo approccio al commercio sostenibile. Tramite una strategia annunciata pochi giorni fa dalla Commissione (Trade Agreement for Green and Just Growth), l’Unione Europea intende siglare solo intese che rispettino rigidi standard sia ambientali che sociali, dalla riduzione della deforestazione alla garanzia di catene di produzione senza sfruttamento né lavoro minorile.

In sostanza, il partner commerciale di turno deve adeguarsi al rispetto dell’Accordo di Parigi sul clima e ai diritti fondamentali del lavoro, pena l’applicazione di sanzioni commerciali. Nell’accordo in questione, che ora deve passare dall’approvazione degli Stati Ue e dell’Eurocamera, ci sono pure un capitolo dedicato ai sistemi alimentari sostenibili, un articolo sul commercio e all’uguaglianza di genere e una parte riguardante la riforma dei sussidi ai combustibili fossili.

La «condizionalità» ambientale e sociale è una novità per i trattati commerciali dell’Unione: nei precedenti esistevano disposizioni sul tema, ma senza gli adeguati meccanismi per farle rispettare. L’intesa con la Nuova Zelanda inaugura invece una «nuova generazione di accordi», in cui entrambe le parti affiancano vantaggi ambientali a quelli economici, come ha spiegato nella conferenza stampa di presentazione il vice-presidente esecutivo della Commissione Valdis Dombrovskis. A suo dire, l’intesa appena siglata contiene «gli impegni di sostenibilità più ambiziosi di qualsiasi accordo commerciale della storia».

Vero è che negoziare con un Paese relativamente piccolo, che vale lo 0,2% del commercio europeo, ed è governato da un esecutivo progressista risulta più facile rispetto a farlo con giganti della produzione agricola e industriale come Australia o India, i veri banchi di prova per la strategia di commercio sostenibile.

In questo senso, la nuova partnership potrebbe scatenare una sorta di «effetto domino» su altri dossier commerciali mai chiusi con il resto del mondo. L’Unione Europea ha infatti vari tavoli aperti, fra cui spiccano il Cai (Comprehensive Agreement on Investment) con la Cina, concordato fra la Commissione e il governo di Pechino ma mai approvato e ormai affossato dalle sanzioni reciproche, e l’accordo Ue-Mercosur, con il blocco formato da Argentina, Brasile, Paraguay e Uruguay: in questo caso i timori sono legati alle pratiche ambientali non impeccabili degli Stati sudamericani.

Più in generale, ogni accordo commerciale segue un procedimento lungo e complesso: dopo essere stato concordato fra la Commissione e il Paese extra-Ue in questione attraverso vari round di negoziati (con i neozelandesi si cominciò nel 2018), deve essere ratificato da tutti i 27 Stati membri dell’Ue e anche dal Parlamento europeo. È facile che il percorso di approvazione si interrompa in più punti, vista anche la molteplicità degli interessi in gioco.

Nell’ultimo semestre, ad esempio, non si sono registrati significativi passi in avanti in materia commerciale anche perché la presidenza francese del Consiglio Ue temeva ripercussioni interne in caso di intese con Stati dal grosso export agroalimentare.

La preoccupazione che il mercato europeo venga invaso da prodotti a buon mercato colpendo il business dei produttori locali resta sempre presente nei governi nazionali: l’accordo con la Nuova Zelanda specifica infatti che diversi alimenti come formaggi, carne bovina e ovina e mais dolce sono sottoposti a un regime differente, con le importazioni senza dazi applicate solo a quantità limitate. Ora però la guerra in Ucraina potrebbe rendere più urgente il flusso di determinate merci, spingendo anche l’Unione ad accettare maggiori compromessi.

Così come non si può sottovalutare il risvolto geopolitico dell’intesa tra Wellington e Bruxelles. La Nuova Zelanda è uno dei pochi Paesi non occidentali (insieme ad Australia, Giappone, Corea del Sud, Taiwan e Singapore) ad aver imposto sanzioni alla Russia dopo l’invasione e, parole della presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen, rappresenta «un partner chiave nella regione indo-pacifica». 

Dato che i Paesi europei considerano la Cina una «sfida ai propri interessi, sicurezza e valori», come da conclusioni dell’ultimo summit della Nato, rafforzare le relazioni in quella parte di mondo non fa mai male. Come dice von der Leyen, Unione Europea e Nuova Zelanda saranno pure agli antipodi geograficamente, ma appaiono molto vicine in termini di valori e obiettivi. 

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