Questo è un articolo dell’ultimo numero di Linkiesta Magazine Omaggio all’Ucraina + New York Times Big Ideas in edicola a Milano e Roma e negli aeroporti e stazioni di tutta Italia. Lo si può ordinare qui.
——————————————
Quando avevo otto anni, una rivelazione ha cambiato per sempre la mia vita. Era il 1955 e i titoli dei giornali annunciavano la morte di un famoso scienziato. Un articolo era accompagnato da una fotografia che mostrava la sua scrivania cosparsa di carte e libri. Se ricordo bene, la didascalia della fotografia sottolineava come tra quelle pile di documenti ci fosse un manoscritto incompiuto. Scoprendo questa cosa ne rimasi affascinato: che cosa poteva esserci di così complicato che perfino quell’uomo, che era considerato come uno dei più grandi scienziati di tutti i tempi, non era riuscito a completare quel suo lavoro? Dovevo scoprirlo. Così, nel corso degli anni, ho frequentato le biblioteche per saperne di più su di lui. Il suo nome era Albert Einstein. Il suo lavoro incompiuto esplorava quella che sarebbe stata conosciuta come la teoria del tutto, un’equazione, forse non più lunga di un pollice, che ci avrebbe permesso di unificare tutte le leggi della fisica. La speranza di Einstein era che questa teoria ci avrebbe permesso di sbirciare nella mente di Dio. «Voglio conoscere i suoi pensieri», è una sua frase famosa. Ero ormai agganciato.
Oggi molti dei più prestigiosi fisici del mondo si stanno impegnando in questa ricerca cosmica, le cui ripercussioni a largo raggio abbracciano la nostra comprensione della realtà e del significato dell’esistenza. Si tratterebbe del coronamento di migliaia di anni di ricerca scientifica, dal momento che anche le civiltà antiche si chiedevano come fosse stato creato l’universo e di che cosa fosse fatto. L’obiettivo finale della teoria del tutto è combinare la teoria della relatività di Einstein con il bizzarro mondo della teoria quantistica. In sostanza, la teoria della relatività approfondisce i più enormi fenomeni del cosmo: cose come i buchi neri e la nascita dell’universo. Il campo d’azione della relatività non è altro che l’intero cosmo. La teoria quantistica, d’altro canto, esplora invece il comportamento della materia al suo livello più minuscolo. Il suo campo di interesse comprende le particelle più piccole della natura, quelle nascoste nelle profondità dell’atomo. Unificare queste due sfere del pensiero in una sola teoria coerente è un’impresa ambiziosa, che si basa sul lavoro iniziato da Einstein per svilupparlo ulteriormente. Ma, per farlo, gli scienziati devono prima determinare una verità cruciale: da dove viene l’universo. Ed è qui che le nostre due sfere del pensiero divergono nettamente.
Se sottoscriviamo la teoria della relatività di Einstein, l’universo è una sorta di bolla in espansione. Viviamo sulla superficie di questa bolla, che è esplosa 13,8 miliardi di anni fa, dandoci il Big Bang. Ciò ha dato vita a questo specifico cosmo così come lo conosciamo. La teoria quantistica si basa su un’immagine radicalmente diversa – che prevede la molteplicità. Le particelle subatomiche possono esistere contemporaneamente in più stati. Prendete l’elettrone, una particella subatomica che trasporta una carica negativa: i fantastici strumenti che abbiamo nelle nostre vite, come i transistor, i computer e i laser, sono tutti resi possibili dal fatto che l’elettrone, in un certo senso, può trovarsi in più posti contemporaneamente. Il suo comportamento sfida la nostra convenzionale comprensione della realtà. La chiave sta qui: nello stesso modo in cui la teoria quantistica ci costringe a considerare più elettroni contemporaneamente, l’applicazione di quella teoria all’intero universo ci obbliga a considerare più universi – un multiverso di universi. Secondo questa logica, la bolla solitaria introdotta da Einstein diventa ora un intero bagno pieno di bolle di universi paralleli, che si dividono costantemente in due o si scontrano con altre bolle. In questo scenario, dei Big Bang potrebbero verificarsi perennemente in regioni lontane, come conseguenza della collisione o della fusione di questi universi a bolle.
In fisica, il concetto di multiverso è un elemento chiave di un’area di studio di primaria importanza, basata sulla teoria del tutto: si chiama teoria delle stringhe ed è il fulcro della mia ricerca (in italiano quella che in inglese si definisce string theory viene chiamata per lo più “teoria delle stringhe”, ma in inglese string sta per “corda”. Di qui la scelta di tradurre nelle righe seguenti string con “corda” e non con “stringa” per rendere il testo più comprensibile, ndt). In questa visione, le particelle subatomiche sono soltanto note diverse su una minuscola corda vibrante, cosa che spiega perché ne abbiamo così tante. Ogni vibrazione della corda, o risonanza, corrisponde a una particella distinta. Le armonie della corda corrispondono alle leggi della fisica. Le melodie della corda spiegano la chimica. Secondo questo pensiero, l’universo è una sinfonia di corde. La teoria delle stringhe, a sua volta, postula un numero infinito di universi paralleli: il nostro universo sarebbe soltanto uno di questi.
Una volta ho avuto una conversazione con il fisico teorico e premio Nobel Steven Weinberg che illustra questa cosa. Prova a immaginare di essere seduto nel tuo soggiorno ad ascoltare la radio, mi disse Weinberg. Nella stanza ci sono le onde di centinaia di stazioni radio diverse, ma il tuo apparecchio è sintonizzato su una sola frequenza. Puoi ascoltare solo la stazione che è coerente con la tua radio; in altre parole, quella che vibra all’unisono con i tuoi transistor. Ora, immagina che il tuo soggiorno sia pieno delle onde di tutti gli elettroni e di tutti gli atomi che vibrano in quello spazio. Queste onde potrebbero suggerire realtà alternative – una di quelle con i dinosauri, per dire, o con gli alieni – proprio lì nel tuo soggiorno. Ma è difficile interagire con loro, perché non vibri in modo coerente con loro.
Ci siamo slegati da queste realtà alternative. C’è un esercizio che a volte io e i miei colleghi presentiamo agli studenti di fisica teorica che affrontano il dottorato. Chiediamo loro di risolvere un problema calcolando la probabilità che uno possa svegliarsi su Marte domani. La teoria quantistica si basa su quello che è noto come il principio di indeterminazione di Heisenberg e prende in considerazione una piccola probabilità che noi possiamo esistere anche in luoghi lontani come Marte. Quindi c’è una piccola ma calcolabile probabilità che la nostra onda quantistica si faccia strada attraverso lo spazio-tempo e finisca lì. Ma quando fai questo calcolo, ti rendi conto che, perché ciò possa accadere, dovresti aspettare un tempo più lungo dell’intera vita dell’universo. Ciò significa che molto probabilmente domani ti sveglierai nel tuo letto e non su Marte. Per parafrasare il grande genetista britannico J. B. S. Haldane la realtà non è solo più strana di come supponiamo ma è anche più strana di come potremmo supporre.
Sono passati più di sessant’anni dalla morte di Einstein, eppure continuo a tornare a quella foto della sua scrivania che ho visto a otto anni, al lavoro che Einstein ha lasciato incompiuto e alle sue profonde implicazioni. Nel tentativo di fondere due opposte prospettive sull’universo, rimaniamo con una serie di domande profondamente inquietanti. Potremmo esistere anche in più stati? Cosa potremmo fare se avessimo scelto un lavoro diverso? E se avessimo sposato qualcun altro? E che cosa succederebbe se potessimo in qualche modo modificare degli episodi importanti del nostro passato? Come scrisse una volta Einstein, «la distinzione tra passato, presente e futuro è soltanto un’illusione ostinatamente persistente». Forse ci sono delle copie di noi che vivono delle vite completamente diverse. Se questa teoria del tutto è corretta, allora forse esiste un universo parallelo in cui siamo miliardari che si affaccendano per organizzare la nostra prossima avventura, o in cui viviamo come vagabondi alla disperata ricerca del prossimo pasto. Chi lo sa? Un semplice bivio quantistico sulla strada potrebbe aver fatto la differenza.
© 2022 THE NEW YORK TIMES COMPANY AND MICHIO KAKU