Strumenti di pressioneLa lunga storia dell’influenza esercitata da Putin per destabilizzare l’Occidente

Le rivelazioni del Dipartimento di Stato americano sui soldi dati da Mosca alle formazioni politiche europee non sono una sorpresa perché accompagnano una fitta e variegata serie di operazioni, anche social, che da tempo abbiamo purtroppo imparato a conoscere

La Russia di Putin usa i finanziamenti, ma i suoi strumenti di influenza sono soprattutto altri. Lo stesso alto funzionario dell’amministrazione Biden, che in una conference call ha riferito di come all’intelligence americana risultino almeno 300 milioni di dollari in trasferimenti segreti a partiti politici, dirigenti e politici stranieri in 24 Paesi a partire dal 2014 ha subito aggiunto come gli Stati Uniti si aspettino comunque nei prossimi mesi un utilizzo sempre maggiore dei mezzi di influenza coperta da parte dei russi. Con l’obiettivo di minare le sanzioni internazionali per la guerra in Ucraina e mantenere la sua influenza nel mondo.

Quando si parla delle operazioni con cui in passato il Cremlino è stato accusato di avere influenzato la politica straniera, come con la Brexit, l’elezione di Trump, la protesta separatista in Catalogna, la sconfitta del referendum di Renz, l’agitazione No Vax o la richiesta di impeachment a Mattarella per favorire la formazione del governo giallo-verde, il riferimento è essenzialmente a un lavorio fatto sulle piattaforme social. In particolare, attraverso quella Internet Research Agency di San Pietroburgo che si è meritata il soprannome di «fabbrica dei troll», e il cui finanziatore è Yevgeny Prigozhin. Il «cuoco di Putin» che – su un altro campo – sempre per rafforzare l’influenza russa ha inventato la compagnia di ventura Wagner.

Il Dipartimento di Stato ha fatto sapere di avere inviato la relativa documentazione alle ambasciate e ao consolati nei Paesi interessati, ma a quanto pare secondo i servizi americani sarebbe solo la punta dell’iceberg. Quei 300 milioni, spiegano, non sono che una cifra minima, e probabilmente Mosca ha preferito trasferire probabilmente altri fondi in modo coperto. Non vengono fatti nomi o citati Paesi, ma il Dipartimento di Stato è sicuro di poterli fornire presto. Non è chiaro se ci sia un problema di accertamenti o decrittazione, o se piuttosto i nomi vengano tenuti in sospeso per tenere qualcuno sotto pressione.

Ma il fatto che i finanziamenti non siano neanche il principale strumento di influenza di Putin, ad esempio, era stato espresso dal politologo ucraino Anton Shekhovtsov quando nel 2017 era venuto a Roma per un convegno sulla strategia di influenza della Russia in Europa organizzato dall’Atlantic Council e dall’Istituto Gino Germani di Scienze Sociali e Studi Strategici.

Visiting Fellow all’austriaco Institute for Human Sciences, tra i massimi esperti nei rapporti tra Putin e i movimenti populisti di destra e di sinistra, autore di un libro sulla storia dell’attrazione reciproca tra la Russia sovietica e post-sovietica e il fascismo e radicalismo di destra, Shekhovtsov spiegò in particolare che all’epoca «l’evidenza più forte per un finanziamento vero e proprio dalla Russia riguarda solo un gruppuscolo di estrema destra polacco non molto influente».

In effetti, ci sarebbero anche i 9 milioni di euro che nel 2017 il partito di Marine Le Pen ottenne in prestito dalla First Czech Russian Bank: fondata nel 1996 con capitali di Praga e di Mosca, acquisita nel 2002 dalla StroyTransGaz , la società russa che costruisce i gasdotti per la Gazprom. Lo scorso 20 aprile il presidente francese Emmanuel Macron glielo rinfacciò durante un dibattito elettorale, e lei rispose: «Se sono stata costretta ad andare a fare un prestito all’estero è perché nessuna banca francese ha accettato di concedermelo. Sono una donna assolutamente libera». L’idea di Shekhovtsov era che «non è corretto dire che è stata finanziata dalla Russia. Ha ricevuto soldi in prestito, ma dovrà restituirli». Va detto che secondo successive inchieste di Le Monde e Mediapart la Le Pen avrebbe chiesto a banche russe 40 milioni.

Poi, nel febbraio del 2019, fu rivelata la la storia dell’incontro che il 18 ottobre 2018 ci sarebbe stato all’hotel Metropol di Mosca tra tre italiani e alcuni russi non identificati. Tra gli italiani c’è Gianluca Savoini, esponente leghista proveniente dall’estrema destra, presidente dell’associazione Lombardia Russia, già portavoce di Salvini, e grande tessitore di rapporti tra la Russia e la Lega. Si parla di una trattativa per la vendita di petrolio dalla quale, secondo gli accordi, dovrebbero risultare dei fondi neri per il finanziamento della campagna elettorale della Lega in vista delle elezioni europee: 3 milioni di tonnellate di gasolio da far arrivare all’Eni, per un valore di 1 miliardo e mezzo di dollari, 65 milioni dei quali per le casse della Lega.

Savoini, in particolare, fornisce il contesto politico della trattativa, spiegando che la Lega insieme all’alleanza sovranista vuole «cambiare l’Europa. La nuova Europa deve essere molto vicina alla Russia». Il giorno prima, il 17 ottobre, sempre a Mosca, l’allora ministro dell’Interno Matteo Salvini aveva partecipato a un incontro organizzato da Confindustria al Lotte Hotel, al quale era presente anche Savoini. In realtà, molti analisti si dissero subito certi che sotto dovessero esserci i servizi russi, per il fatto che l’Hotel Metropol è notoriamente sotto stretto controllo del Fsb. Ma nessuno si sbilanciò se fosse on regolamento di conti nei servizi russi stessi, o piuttosto un «avvertimento» a Salvini, che in quel momento si stava avvicinando a Trump, e aveva anche proposto al Cremlino di fare una «prima mossa» in Ucraina.

In realtà, un rapporto organico tra Lega e regime di Putin esiste nella forma di un patto di cooperazione col partito putiniano Russia Unita. Firmato a Mosca il 6 marzo del 2017, scadeva il 6 marzo 2022, ma in mancanza di comunicazione è stato rinnovato automaticamente fino al 6 marzo 2027. Come ricordava sempre Shekhovtsov, la Lega ha poi votato sistematicamente posizioni pro-Putin al Parlamento Europeo all’interno di un gruppo in cui fa parte di un nucleo duro filo-Cremlino, assieme al partito di Marine Le Pen e all’Fpö austriaco. Di quest’ultimo partito si può ricordare come il 18 maggio 2019 Heinz-Christian Strache diede le dimissioni da presidente, oltre che da vicecancelliere e ministro del Servizio Civile e dello Sport, in seguito alla pubblicazione da parte della Suddeutsche Zeitung e dello Spiegel di un video girato nel 2017 a Ibiza in cui Strache accettava offerte di corruzione dalla sedicente nipote di un oligarca russo, che in realtà era una giornalista d’inchiesta. Insomma, come la Lega anche la Fpö si è mostrata filo-Putin, è apparsa disposta a prendere soldi dalla Russia, ma non c’è evidenza che li abbia presi. Da ricordare che accanto a Strache a dirsi disposto a prendere 250 milioni di euro era il compagno di partito Johann Gudenus; noto come «uomo dei russi», e figlio di un colonnello negazionista dell’Olocausto.

Nello stesso gruppo figura anche Alternative für Deutschland (Afd). In un’inchiesta congiunta del 2019 dello Spiegel, della Zdf e della Bbc sui tentativi del Cremlino di influenzare le Legislative del 2017 saltò fuori un documento russo sul deputato Afd Markus Frohnmaier come «uno dei parlamentari che sarà sotto assoluto controllo». Secondo un’informativa di un’intelligence dell’Ue in mano all’emittente britannica, Frohnmaier avrebbe chiesto aiuto ai russi per la campagna del 2017 in cambio della fedeltà poi in politica estera. Sempre durante quella campagna tre esponenti della Afd sarebbero volati a Mosca con biglietti pagati dai russi. Effettivamente in questi mesi Afd sta facendo una campagna durissima contro le sanzioni, al punto che il cancelliere Scholz la ha definita «partito della Russia».

Insomma, ci sono sospetti di finanziamenti, e ci sono evidenze di appoggi. In Italia riguardano non solo la Lega ma anche i Cinque Stelle e Forza Italia. In passato anche Fratelli d’Italia, che però sembra avere ora cambiato linea in modo radicale. È possibile che le due cose siano state collegate? Tutti e tre i partiti del centrodestra sono stati in realtà tirati in ballo in una intervista dell’ex-ambasciatore Usa presso la Nato di Bush, Kurt Volker. «Le simpatie per la Russia della Lega e di Berlusconi erano note, ma ora il ritornello costante è che anche Fratelli d’Italia abbia ricevuto qualche aiuto», ha detto. «Sapevamo da anni che i russi spendono per influenzare le elezioni in tutto l’Occidente. Cercano di promuovere la divisione nelle nostre società e fra i nostri paesi. Questi 300 milioni non hanno fruttato molto, però hanno migliorato le prospettive di alcuni partiti, come quello di Le Pen in Francia e Fratelli d’Italia da voi».

Ovviamente, la cosa ha provocato minacce di querela e smentite, e si è detto addirittura che l’Italia tra i 24 Paesi non ci sarebbe. Lo stesso Volker ammette che non ha «prove dirette personali, ma è un ritornello costante che c’è stata qualche assistenza. Se guarda bene la loro linea politica, alcuni aspetti riflettono le posizioni russe».

Ma forse la cosa interessante è che pure secondo Volker «il Cremlino cerca di promuovere da anni la divisione nelle nostre società: l’uso più semplice dei fondi è coi social media». Era appunto anche la tesi di Shekhovtsov. «A volte i fondi vanno ai partiti in Europa, o anche ai singoli politici, con pagamenti diretti oppure affari conclusi da compagnie russe che beneficiano questi politici, creando in loro un interesse diretto ad aiutare Mosca», ha aggiunto Volker. Ma la sua domanda di Volker su come Fratelli d’Italia sia «cresciuta in maniera straordinaria nell’ultimo anno» e dunque «su quali sono le fonti dei loro finanziamenti, delle posizioni prese e dell’aumento della popolarità» trova però come prima risposta proprio il fatto che Fratelli d’Italia come unico grande partito di opposizione alla compagine di unità nazionale di Draghi ha raccolto un  vento di protesta di cui è stata componente quell’agitazione No Vax che la «fabbrica dei troll» ha pompato.

Così come per far eleggere Trump aveva pompato la storia di «Hillary Clinon pedofila» o per favorire la Brexit aveva pompato fake anti-Ue.

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