Senza fondiPerché le private equity stanno iniziando ad avere problemi di liquidità

Fosun e SoftBank hanno dovuto svendere parte dei loro asset. Non sono gli unici colossi degli investimenti finanziari ad avere difficoltà a tenere i conti in ordine a causa della crisi globale

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SoftBank Group è una holding finanziaria giapponese molto attiva nel settore tecnologico, il mese scorso ha svenduto i suoi gioielli della corona: ha ceduto il suo pacchetto di azioni di Alibaba per 22 miliardi di dollari, riducendo di quasi la metà l’esposizione sul suo asset più prezioso, peraltro in un momento in cui il valore delle azioni era di circa il 70% al di sotto del picco. Nello stesso periodo Fosun – grande conglomerato cinese il cui impero comprende una squadra di calcio inglese, la più grande banca del Portogallo e i resort francesi Club Med – ha dovuto ridurre sensibilmente le partecipazioni nella sua azienda farmaceutica principale, che valeva il 18% del suo patrimonio.

Le compagnie di private equity sono diventate protagoniste assolute dell’universo degli affari, sono quelle che individuano e indicano i trend più convenienti e redditizi, danno consigli di sopravvivenza alle società presenti nel loro portafoglio e muovono i fili in molte trattative di acquisizione. Ma neanche loro sono immuni alle crisi globali.

«Il fulcro della questione è che nessuna delle due grandi aziende di private equity può generare liquidità sufficiente per coprire anche i suoi rimborsi mensili di interessi, per non parlare dei costi operativi come la compensazione del personale», ha scritto Shuli Ren su Bloomberg due giorni fa. «Perché questi non sono tempi normali: vendere i propri asset più importanti ancor prima che arrivi una vera e propria recessione sa di disperazione. La verità è che nessuna delle due compagnie ha un’adeguata gestione della liquidità in ordine».

Gli esempi di SoftBank e Fosun sono casi singoli e singolari che però possono tracciare le linee per un quadro generale: le società di private equity, i kingmaker del mercato degli investimenti, gli strumenti più importanti per raccogliere montagne di denaro dagli investitori istituzionali, potrebbero essere costrette a mordere i freni di fronte alla recessione globale, con potenziali ricadute anche sullo stato di salute delle aziende da loro controllate.

In questo momento ci sono troppe incertezze sul futuro per potersi impegnare in altre, nuove ghiotte operazioni di acquisizione, ristrutturazione e rivendita di aziende promettenti che di solito portano guadagni stratosferici.

Le grandi operazioni di investimento delle società di private equity erano arrivate ai massimi storici nel 2021, registrando oltre 1,2 trilioni di dollari in transazioni solo negli Stati Uniti.

Una condizione permessa soprattutto dall’esplosione di liquidità arrivata con i trilioni di dollari immessi nell’economia dal governo americano – c’è stato un enorme stimolo monetario delle banche centrali, iniziato a marzo 2020, che ha incoraggiato un numero enorme di acquisizioni e uscite. Il 2022 avrebbe promesso lo stesso. Poi è arrivata la guerra in Ucraina, le incertezze, la crisi energetica, i colli di bottiglia nelle catene di approvvigionamento e tutto il resto.

Un discorso molto simile sembra valere anche per le Spac – Special Purpose Acquisition Company – cioè società che hanno l’obiettivo di raccogliere capitali sul mercato attraverso la quotazione in Borsa. Un altro articolo di Bloomberg, questo di fine agosto, ricordava come l’indice De-Spac, che misura la performance delle società che si sono quotate tramite Spac, era crollato quasi dell’80% dal suo massimo di febbraio 2021 e di oltre il 60% nel 2022 anno su anno – un calo molto più accentuato di quello dell’S&P 500.

Ma già all’inizio dell’estate Matthew Goldstein sul New York Times avvertiva che il vento sarebbe cambiato: «La storia d’amore di Wall Street con le Spac è scoppiettante. Dopo due anni caldi e pesanti, durante i quali gli investitori hanno versato 250 miliardi di dollari nelle Spac, l’aumento dell’inflazione, l’aumento dei tassi di interesse e la minaccia di una recessione alimentano i dubbi. Sempre più spesso, gli investitori stanno ritirando i loro soldi dagli Spac, cosa che sono autorizzati a fare al momento della fusione».

Per un certo periodo, le Special Purpose Acquisition Company sono state il veicolo preferito dalle aziende per quotarsi in borsa. Ma le particolari condizioni attuali del mercato e la minaccia di nuove regolamentazioni per tenere il mercato sotto controllo stanno facendo perdere l’appetito a Wall Street.

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