Disunione sovieticaLo smembramento della Russia non sembra più così improbabile

Gli osservatori internazionali parlano da decenni di una possibile dissoluzione della Federazione, ma non è mai sembrata una ipotesi realizzabile. Ora le sconfitte in Ucraina mostrano tutta la fragilità del Cremlino: «L'Occidente non può farlo, dovranno pensarci i russi» dice a Linkiesta Anna Zafesova

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Putin voleva ricreare l’Unione Sovietica, ma sta distruggendo ciò che rimane della sua Federazione. La controffensiva ucraina nella regione di Kharkiv, che ha portato a una rapida ritirata delle forze di Mosca dai territori occupati a inizio invasione, sta rendendo plausibili scenari considerati inverosimili fino a poco tempo fa. Abbiamo già scritto di come la reputazione e il potere della Russia stiano vacillando fuori dai suoi confini, ma i problemi esistono anche sul fronte interno. Dall’inizio della guerra alcuni osservatori internazionali parlano sempre più frequentemente di «decolonizzazione», o «defederalizzazione», del Paese. Uno smembramento della federazione in entità più piccole, magari su base etnica e culturale, con una Russia ridotta alla sua parte “europea”, senza più elementi riconducibili all’imperialismo, e una costellazione di stati indipendenti a suo contorno. Ma si tratta davvero di qualcosa di fattibile e, in fin dei conti, auspicabile?

Lo smantellamento della Russia è un argomento presente da decenni nel discorso politico internazionale. Dopo il collasso dell’Unione Sovietica, nel 1991, l’Occidente “vincitore” prese seriamente in considerazione di portarlo a termine. Alla fine gli Stati Uniti, non volendo umiliare Mosca, rifiutarono di supportare le istanze indipendentiste locali, virando sulla strategia della preservazione. Non senza opposizione interna. L’allora segretario della difesa, Dick Cheney, non voleva solo mettere fine all’Unione: voleva smembrare la Russia. George H.W. Bush, però, era di altro avviso, e scelse diversamente. Una strada seguita da tutti i suoi successori. Oggi, con il senno del poi, è facile valutare come quella decisione appaia quantomeno di dubbia efficacia. L’imperialismo russo, che ha il volto di Vladimir Vladimirovich Putin, è tornato a bussare alle porte dei vicini. Fallendo miseramente, e spalancando la via a forze finora sopite. Una sconfitta in Ucraina, unita alle sanzioni occidentali, potrebbe realmente alimentare le tendenze centrifughe finora soffocate dall’aspirante neo-Zar.

«La Russia è una federazione solo nel nome» dice a Linkiesta Anna Zafesova, giornalista de La Stampa ed esperta di Russia. «Si tratta di un Paese oggi molto centralizzato, anche a causa dello sforzo di accentramento del potere da parte di Putin. Prima della guerra, la Russia sembrava molto meno a rischio smembramento rispetto all’Urss. L’Unione Sovietica aveva governi, ministeri con una relativa autonomia, mentre la Russia è composta da regioni». La gran parte delle 85 entità amministrative del Paese, spiega, non hanno connotazione etnica, e si potrebbe pensare che l’unità nazionale russa sia pressoché fuori discussione. Ma lo svolgersi della situazione in Ucraina potrebbe aver cambiato le carte in tavola.

A luglio proprio Zafesova aveva scritto del “Forum dei popoli liberi” tenutosi a Praga, in cui indipendentisti, oppositori, dissidenti, politici e nemici (interni ed esterni) del dittatore russo hanno discusso della «decostruzione» della Federazione: «Il crollo dell’impero è inevitabile, la Russia non può restare nella sua forma attuale» aveva detto allora l’attivista bashkiro Ruslan Gabbasov. E quindi ecco l’emergere di nuove entità, già esistenti come aree autonome nella Federazione o soggetti ancora da inventare: Tatarstan, Ingria, Karelia, Komi, Daghestan, Pomorie, Smalandia. «La mia impressione è che si tratti di uno di quei movimenti che, in condizioni di crisi, possono emergere» afferma Zafesova. «I buriati, etnia dell’estremo oriente russo, sono stati a mandati come soldati a morire in Ucraina nel nome del “mondo russo”, con il risultato che uno di loro ha 275 volte più probabilità di morire al fronte rispetto a un moscovita. Ma sono anche vittime, in patria, di un razzismo spesso incoraggiato dallo Stato». Scintille che possono infiammare istanze di separatismo, non limitato, però, solo alle regioni popolate da minoranze: «Nel Forum erano molto attivi gli abitanti di una regione definita “Smalandia”, identità fondata da presunti antenati svedesi degli abitanti di Pskov e Smolensk. Questa è la dimostrazione di come sia possibile e necessario inventarsi una narrazione indipendentista efficace, anche se non ha basi storiche. Lo abbiamo visto fare, dalla nostra Padania alle ex repubbliche sovietiche».

Nonostante l’insorgere simultaneo di una marea di istanze separatiste e lo smembramento immediato della Russia sia alquanto improbabile, occorre comunque capire quali degli attori globali e locali in campo abbiano il potere di spingere – eventualmente – in quella direzione. L’Occidente, che avrebbe tutto l’interesse ad alimentare il fenomeno, non sembra essere però in grado di farlo: «Purtroppo o per fortuna, quello spirito di nation building l’ha perso, e parecchio. Non riesco a vedere un “Lawrence di Siberia” che si inventa una nazione dal nulla. Qualcuno, in ogni caso, deve farlo. E lo stanno facendo più i russi stessi che gli occidentali». Lo abbiamo visto accadere già nel 1991, spiega Zafesova, che ricorda la dissoluzione dell’Urss e della Jugoslavia quando apparivano solide. «Il rischio» dice, «è che un Paese non riformato, corrotto, dipendente dalle materie prime, senza il putinismo si sgretoli del tutto».

L’importante, secondo la giornalista, è che ciò che nascerà dopo la Federazione Russa venga «deimperializzato». Ipotizzando la circoscrizione di un’area geografica che si estende fino agli Urali, grossomodo, questa nuova “Moscovia” dovrà essere privata di ogni legame con l’impero preesistente. Dal seggio alle Nazioni Unite alle armi atomiche: «Il disarmo nucleare, di cui si parlava già ai tempi di Gorbaciov, va portato a compimento. Se torniamo a un’idea centrata su un impero, la Russia si sentirà privata di territori, e si metteranno le basi per un altro Putin. Bisognerà inventarsi qualcos’altro, e dovranno farlo i russi». Ed è legittimo immaginare che anche la stessa area della “Moscovia” possa spezzarsi a causa dell’insorgere di rivendicazioni potenzialmente portatrici di conflitti. Come nel Caucaso, zona a maggioranza musulmana e polveriera pronta a esplodere.

Ciò consente di menzionare, finalmente, quello che potrebbe rivelarsi lo scenario più verosimile: l’avvicinamento delle regioni occidentali all’Europa in caso di vittoria dell’Ucraina sulla Russia. «Prendiamo Belgorod: è una città russa di provincia, e fino a prima della guerra i suoi abitanti andavano a Kharkiv, città in Ucraina molto più brillante e attraente» dice Zafesova. «Smolensk potrebbe voler tornare alla Svezia sulla base di supposte radici storiche; la Carelia, ceduta dalla Finlandia nella Seconda Guerra Mondiale, potrebbe volervisi ricongiungere. È questo il problema di Putin e di chi sostiene che l’Ucraina possieda parti appartenenti storicamente ad altri. Potrebbero anche avere ragione, ma quando si apre questo vaso di Pandora non se ne esce vivi: vi sono radici distrutte prima dall’impero, poi dall’Urss e infine da Putin, ma possono essere sempre tirate fuori con la costruzione di narrazioni efficaci».

La Russia sta perdendo la guerra, e nessuno vuole far parte di un Paese perdente che ha impostato il conflitto sulla necessità di riconquistare l’identità nazionale. L’Occidente, secondo Zafesova, deve prepararsi: «Se non è il caso di buttare benzina sul fuoco, il tutto può accadere autonomamente senza un intervento esterno. Un impero in crisi che perde una guerra può collassare. Se fossi un politico chiederei ai servizi segreti, o chi per loro, di esplorare tutti gli scenari possibili».

L’esito della guerra, in questo caso, sarà fondamentale. «Tutto il nostro futuro è in mano agli ucraini. Un’Ucraina vittoriosa, con tutta l’adrenalina di aver distrutto un impero, la renderà un centro di aggregazione, ne farà uno degli attori cruciali. Mi sembra abbastanza plausibile un’Ucraina ambiziosa, che attira cocci più a est. Ne avrebbero le carte: parlano la lingua russa, li conoscono culturalmente e personalmente. La domanda è se gli ucraini vorranno dedicarsi alle macerie dell’impero che li ha martoriati, attirando e fomentando le istanze delle regioni vicine per allontanarle dalla Russia, o chiudere la porta guardando, invece, all’Europa».

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