Licia Ronzulli farebbe bene a riportarsi presto Silvio Berlusconi nella villa di Arcore. Se continua a farlo parlare a ruota libera, come ha fatto ieri all’assemblea dei deputati e dei senatori, rischia di far venire un ictus a Giorgia Meloni. Racconta di avere riallacciato con Putin, dello scambio di regali con il deposta del Cremlino, che lo considera tra i suoi cinque migliori amici al mondo. Confessa di essere «molto, molto, molto» preoccupato per quello che sta accadendo in Ucraina e per il coinvolgimento europeo: meglio non esprimere quello che pensa «altrimenti scoppia il finimondo». Avrà tempo per vendicarsi dell’umiliazione subita, le vendette si consumano fredde, se ne avrà la forza, se i suoi parlamentari glielo consentiranno.
Quando Berlusconi, barcollando sulle gambe malferme, è sceso dalla macchina nel cortile di via della Scrofa 39 avrà sentito per la prima volta in vita sua quanto sia “duro salir l’altrui scale”, quelle di Giorgio Almirante. Senza neanche la gelida manina di Giorgia Meloni a sorreggerlo. In quel momento non era più il garante dei Popolari europei, ma lo scalpo di una nuova leadership al femminile che fa venire lo svenimento politicamente corretto alle femministe de’ sinistra. Ma questo, che fa tanto impressione e rumore, dopo decenni di pennette tricolori a Villa San Martino e a Palazzo Grazioli è solo un gioco da ragazzi.
L’anziano Cavaliere ora sta subendo quello che finora a Matteo Salvini è stato evitato, l’umiliazione personale e il prossimo ridimensionamento ministeriale. Perché questo stia accadendo non è del tutto chiaro: forse per la Lega si preparano bocconi amari sul terreno dei provvedimenti economici e del sostegno all’Ucraina. Ed è infatti la prova del governo il vero test che attende Meloni.
Finora la presidente del Consiglio in pectore ha potuto e saputo gestire la vittoria elettorale, farsi forte di quel 26% che ha risucchiato da Lega e Forza Italia, ed è uscita alla grande dalla manovra parlamentare che ha portato Ignazio La Russa alla presidenza del Senato. Tra qualche giorno, quando riceverà l’incarico e dovrà sedersi a capotavola nella sala del Consiglio dei ministri a Palazzo Chigi, il gioco diventerà per adulti.
Dovrà dare risposte concrete alle famiglie più fragili con le bollette che si accumulano nei tinelli della cucina, alla Confindustria che con il suo presidente Carlo Bonomi chiede di mettere ogni risorsa per attutire l’impatto del caro bollette sulle imprese. Ogni risorsa, «poi nel corso della legislatura ci sarà tempo per altro, pensioni, flat tax», avverte il numero uno di via dell’Astronomia. E questo senza scostamenti di bilancio, come vorrebbe Salvini, che sta scrivendo le proposte per superare la Fornero e flat tax. Senza tagli draconiani al reddito di cittadinanza.
Un’esigenza rimarcata dal presidente della Cei e arcivescovo di Bologna. Il cardinale Matteo Zuppi è rimasto colpito da un dato del Rapporto Caritas, quello sui due milioni di famiglie in povertà assoluta: meno della metà beneficia del reddito di cittadinanza. «Speriamo – ha detto Zuppi – che il governo sappia affrontare questo problema con molto equilibrio: il reddito di cittadinanza è stato percepito da 4,7 milioni di persone, ma raggiunge poco meno della metà dei poveri assoluti». Per l’alto prelato quindi c’è un aggiustamento da fare, ma mantenendo il reddito di cittadinanza, «così importante in questo momento».
Meloni avrà poco tempo per trasformarsi totalmente da capo partito, che mette in riga gli altri capi partito maschietti, a presidente del Consiglio in uno dei tornanti più duri e faticosi della storia repubblicana. Non potrà più perdere tempo con le paturnie di Berlusconi, che ancora ieri ripeteva la solfa della «profonda amarezza: a parità di elettori con la Lega, il modo in cui sono stati distribuiti i collegi uninominali ci ha portato venti deputati in meno e dieci senatori in meno». Per questo «non io ma i miei senatori hanno voluto dare un segnale su questo tema chiedendo pari dignità con la Lega». E lo hanno fatto non votando La Russa.
Magari Meloni più in là dovrà verificare se l’elezione per acclamazione di Licia Ronzulli alla presidenza dei senatori azzurri sarà un problema per la tenuta della maggioranza, se la fedelissima di Arcore le farà pagare l’esclusione dal governo. Dovrà capire se lo stesso Cavaliere sta adottando la tattica del giunco che si piega per far passare la piena del fiume meloniano.
Sono ancora tante le variabili della sopravvivenza longeva del prossimo esecutivo a guida destra-destra. Tante e imponderabili anche sul versante delle riforme. Il ministero delle Riforme forse verrà dato alla berlusconiana Maria Elisabetta Casellati. Da lì passa il do ut des presidenzialismo-autonomia regionale. Uno scambio su cui si regge uno dei pilastri del programma della destra, l’equilibrio tra Fratelli d’Italia e Lega, di quella Lega che sente sempre più forte la trazione nordista, soprattutto del vecchio leader Umberto Bossi, omaggiato nel suo discorso dal presidente veneto della Camera Lorenzo Fontana.
Tra qualche giorno il gioco da ragazzi sarà finito e Meloni, che ha richiuso l’ufficio di via della Scrofa, si troverà faccia a faccia con le vere questioni che le fanno tremare le vene ai polsi. E dei voti di Berlusconi e di Salvini avrà bisogno ogni giorno. Così come avrà bisogno di amici in Europa.
Il primo con cui dovrà prendere presto confidenza sarà il presidente Emanuel Macron. Potrebbe incontrarlo a Roma domenica prossima. Il francese sarà nella capitale per la kermesse interreligiosa e laboratorio geopolitico organizzato dalla comunità di Sant’Egidio dal 23 al 25 ottobre. L’incontro internazionale per la pace a Roma sarà aperto da Macron e Sergio Mattarella e chiuso da Papa Francesco. Non è escluso che il capo dell’Eliseo colga l’occasione per conoscere chi prenderà il posto del suo amico Mario Draghi, proprio nei giorni in cui a Roma verrà alla luce un nuovo e inedito fenomeno politico destinato a incidere sulla politica europea.