Strada spianata Cina e Usa vogliono prendersi il mercato europeo dell’auto elettrica

Nel giro di tre anni, in Europa, quasi il 20 per cento dei nuovi veicoli a batteria potrebbe arrivare da Pechino. Senza policy mirate e target aggiornati sulle emissioni di CO2, le case automobilistiche del nostro continente stanno vivendo un preoccupante stallo nella vendita di e-car: un’occasione di leadership che sta pian piano sfumando

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Quanti sono dodici-tredici anni? Molti, moltissimi se pensiamo all’impressionante quantità di novità, sconvolgimenti e avvenimenti che stanno scombussolando le nostre vite. Pochi, pochissimi se invece ci riferiamo all’inevitabile e necessario processo di transizione dalle auto a motore termico ai veicoli a zero emissioni. Le istituzioni dell’Unione europea, all’inizio dell’estate 2022, hanno fissato al 2035 la data entro cui sarà vietato commercializzare macchine e furgoni a motore termico, una tecnologia inefficiente ed estremamente dannosa per la qualità dell’aria e il riscaldamento globale. Il tempo stringe e c’è l’urgenza di intervenire su tutti i livelli (tecnologico, industriale, politico, occupazionale). 

Ma come si sta preparando il mercato del continente in vista di quella data cruciale? Non bene, purtroppo per noi e per la buona riuscita di una transizione giusta, che sia al contempo in grado di abbracciare l’innovazione, di rispettare l’ambiente e di proteggere i lavoratori. Dall’altra parte, invece, le case automobilistiche statunitensi e (soprattutto) cinesi festeggiano, perché la debolezza (e l’ambiguità) delle politiche industriali europee potrebbe permettere ai due mercati di acquisire una posizione dominante in Ue. 

Un nuovo studio di Transport & Environment (T&E) ha evidenziato che, dopo l’introduzione dei nuovi standard di emissioni di CO2 per il biennio 2020-2021 (95 g CO2/km), il processo di decarbonizzazione del parco veicoli dell’Unione europea ha fatto registrare una preoccupante battuta d’arresto. Nel biennio 2020-2021, le emissioni medie dei nuovi veicoli sono calate del -12 per cento (un record positivo), mentre l’attuale trend di contrazione è del -2 per cento: «All’inizio i nuovi standard europei di CO2 hanno creato un’impennata delle auto elettriche: per restare in linea, i costruttori erano obbligati a vendere una certa quota di veicoli a zero emissioni. Nel 2019, quando ci si preparava all’introduzione della nuova regola sulle emissioni, l’Europa ha internalizzato 60 miliardi di investimenti sull’auto elettrica», spiega a Linkiesta Veronica Aneris, direttrice per l’Italia di T&E. 

Una volta esaurita la “coda lunga” degli standard sulle emissioni, si è verificata una riduzione della quota dei veicoli elettrici a batteria (“etichettati” come Bev”): dal 13 per cento della seconda metà del 2021 siamo passati all’11 per cento attuale. Al posto di migliorare, si torna indietro. E la Cina si sfrega le mani: secondo lo studio – che ha analizzato le vendite nella prima metà del 2022 – il 5 per cento delle auto elettriche a batteria vendute quest’anno appartiene a case automobilistiche della potenza asiatica. Le prospettive, per Pechino, sono ancora più rosee: i produttori cinesi, nel 2025, potrebbero soddisfare una quota di domanda europea di nuove Bev che oscilla tra il 9 per cento e il 18 per cento. In Europa, insomma, quasi una e-car su cinque potrebbe essere cinese. 

La vendita di auto elettriche in Europa è in un periodo di stallo (fonte: Transport & Environment)

I target e gli incentivi in Cina e negli Usa 
L’irruzione della Cina e degli Stati Uniti nel mercato europeo dell’auto elettrica non è una conseguenza della crisi delle materie prime. È la mancanza di «policy mirate e ambiziose» il fattore che sta indirettamente premiando le economie straniere. Infatti, anche se le vendite di Bev sono di fatto ferme, tutti i produttori europei (a parte Volkswagen) sono in linea con i loro target fissati per la fine del 2022. 

I casi di Pechino e Washington sono difficili da replicare in Europa, ma possono fornire spunti preziosi per i legislatori degli Stati membri e dell’Ue stessa, dove non esistono misure regolatorie in grado di incentivare (per davvero) il processo di elettrificazione. In Cina, per esempio, c’è un target vincolante e progressivo che impone la vendita annua di un certo numero di auto elettriche: «Per il 2022 hanno un obiettivo pari al 14 per cento del market share, per poi arrivare al 18 per cento nel 2023. Contemporaneamente, sempre in Cina, i veicoli Nev sono esentasse, e poi ci sono tanti altri incentivi a cascata che si riflettono in policy coerenti a livello cittadino, come le tariffe sui parcheggi», sottolinea Veronica Aneris. Se un produttore sa che nell’anno x deve (per forza) vendere il 14 per cento di auto elettriche (e l’anno dopo ancora di più), non avrà dubbi sulla direzione verso cui muoversi: «Tutta la supply chain sarà più sicura», aggiunge la direttrice per l’Italia di T&A, secondo cui l’ambiguità e l’incertezza dell’Europa «si riflettono in politiche incoerenti a livello nazionale, regionale e locale».

Anche in California hanno introdotto target vincolanti e progressivi che obbligano a commercializzare un certo numero di auto a zero emissioni: parliamo, nello specifico, del 35 per cento di full electric e plug-in hybrid vendute entro il 2026 e del 68 per cento nel 2030. Entro il 2025, inoltre, lo Stato della west coast punta a raggiungere quota 250.000 colonnine di ricarica installate: «Si stanno imponendo come leader negli Usa, infatti altri 13 Stati hanno adottato una politica simile. In più, almeno 49 Stati incentivano l’auto elettrica sia dal punto di vista legislativo, sia di supporto monetario all’acquisto», dice Aneris. 

A livello federale, una spinta fondamentale arriverà anche grazie all’Inflation reduction act, spesso definita come la legge sul clima più ambiziosa mai approvata dagli Stati Uniti. Al di là del fondamentale obiettivo del -40 per cento di emissioni al 2030 (rispetto ai livelli del 2005), la norma ha previsto degli interventi mirati per favorire il processo di elettrificazione dei veicoli e proteggere l’economia nazionale: un’auto elettrica, negli Usa, è eleggibile per ricevere un incentivo monetario all’acquisto solo se assemblata sul territorio federale. Un sistema che in qualche modo ricalca la «sovranità industriale» di cui ha parlato Emmanuel Macron, presidente francese, per quanto riguarda la penetrazione statunitense e cinese nel mercato automotive continentale. 

«Sì, quella americana è una scelta protezionistica, ma mantiene l’offerta alta: fa in modo che i costruttori continuino a produrre sul posto. E poi ci sono effetti positivi sull’occupazione. La legge pone anche l’attenzione verso le batterie e sui materiali critici utilizzati nelle batterie: devono essere per una quota minima processati, estratti, lavorati, assemblati negli Stati Uniti, oppure in Paesi che hanno il libero scambio con gli States», specifica Aneris.

La crescita di Usa e Cina (fonte: Transport & Environment)

Come deve muoversi il mercato europeo dell’auto elettrica
Cosa dovrebbe fare l’Europa per uscire da questa situazione di stallo? Innanzitutto, dice Aneris, bisogna «velocemente confermare la fine della vendita delle auto inquinanti a partire dal 2035. Il progresso è inarrestabile, ora dobbiamo capire se vogliamo essere parte attiva o meno. Non è l’auto elettrica che toglie i posti di lavoro, ma la mancanza di reattività da parte delle istituzioni. Ultimamente, bisogna dirlo, stiamo provando a invertire la rotta. Ad esempio, la Commissione ha annunciato un atto volto a stimolare l’estrazione e la produzione dei materiali critici per batterie in Europa. Dopodiché è necessario lavorare sulle piccole flessibilità, che se non risolte possono minacciare obiettivi già poco ambiziosi». 

L’Ue sta anche valutando di rendere obbligatoria l’elettrificazione delle flotte aziendali entro il 2030, e questa settimana il Parlamento ha chiesto agli Stati membri di installare colonnine di ricarica ogni 60 chilometri (lungo le strade principali) entro il 2026. Il problema, però, è che nel voto sulla direttiva dei “carburanti alternativi” è stato bocciato l’emendamento che prevedeva le sanzioni ai Paesi non in pari con le regole (1.000 euro di multa per ogni colonnina non installata). L’ennesimo compromesso, l’ennesima ambiguità. 

Incentivi e nuovi target rimangono cruciali perché stimolano le aziende e compensano le evidenti lacune della politica industriale europea, non all’altezza degli esempi cinesi o statunitensi. Ecco perché sarebbe importante rivedere gli standard sulle emissioni. L’obiettivo europeo dei 95 g CO2/km per le autovetture di nuova immatricolazione è valido per il periodo tra il 2020 e il 2024, ma servirebbero dei target intermedi per attrarre ulteriori investimenti e fornire maggiori certezze al comparto. Com’era già successo nel 2019, poco prima dell’introduzione della regola al momento in vigore. 

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