«Le donne hanno molte più possibilità degli uomini di morire a causa di un disastro naturale. L’Unione europea e gli Stati membri devono affrontare gli spostamenti di persone dovuti al clima seriamente e lavorare per un’agenda sul clima che tenga in considerazione il genere», sono le parole pronunciate nel 2017 dalla politica svedese Linnéa Engström, allora europarlamentare in quota Verdi.
Dichiarazioni supportate dai numeri, considerando che – secondo l’Onu – l’ottanta per cento dei migranti climatici è costituito da donne e il settanta per cento delle persone che vivono in condizioni di povertà (e che sono quindi più esposte alle conseguenze del riscaldamento globale) è di sesso femminile.
Siccità e desertificazione, inondazioni, nubifragi e uragani sono tutti effetti del climate change che mettono in ginocchio prima di tutto chi lavora nell’agricoltura, e l’impatto che possono avere nell’Africa subsahariana è nettamente diverso rispetto a quello in un Comune della Pianura Padana.
La lotta alla crisi climatica è anche una questione di genere: senza donne ai tavoli negoziali sul futuro del Pianeta non può esistere una transizione ecologica equa, efficace ed etica.
Per questo motivo, guardando la “foto di famiglia” dei leader globali scattata all’inizio della Cop27, prevalgono l’amarezza di una sconfitta in partenza e la sensazione di avere di fronte la rappresentazione concreta di un problema strutturale, patologico e complesso da sradicare (almeno nel breve periodo). Solo sette donne in un gruppo di centodieci leader. Ma il dato più allarmante è forse un altro, ed emerge da un’analisi recentemente pubblicata dalla Bbc.
Meno del trentaquattro per cento dei delegati della ventisettesima Conferenza dell’Onu sul clima – che dovrebbe terminare nella giornata di oggi, un giorno dopo la data di chiusura ufficiale – è donna. Ciò significa che le decisioni più impattanti vengono prese soprattutto dagli uomini, e che le donne ricoprono un ruolo marginale all’interno dei negoziati che contano per davvero. Uno specchio dei problemi di equità di genere che affliggono quasi ogni aspetto della nostra società, nonostante i passi avanti che non si possono ignorare.
Secondo la Women’s environment and development organisation (Wedo), quella del 2022 è una delle Cop dalla rappresentanza femminile più scarsa della storia (la peggiore dal 2015, come dimostra il grafico qui sotto).
Hana Brixi, Global director for gender della Banca mondiale, sostiene che la partecipazione delle donne ai negoziati internazionali – come quelli delle ultime due settimane a Sharm el-Sheikh – sia associata a risultati migliori e sia in grado di mettere d’accordo il maggior numero di persone attorno a un tavolo. La Cop27 ha dedicato una giornata – il Gender day del 14 novembre – alle questioni di genere, ma il settantaquattro per cento degli interventi nel corso della Conferenza è stato maschile (dato del Women’s entrepreneurship coaches training, Wecan).
Essendo in un Paese africano, e avendo al centro dei negoziati il tema dei risarcimenti climatici, quella del 2022 è stata una Cop che ha posto al centro le voci degli Stati più poveri e “climaticamente” più vulnerabili. Ciò non significa necessariamente che abbiano giocato un ruolo chiave nei negoziati, ma è stata l’occasione per assistere a diverse testimonianze che in altre occasioni sarebbero rimaste nell’ombra.
Tra queste ci sono i preziosi racconti di Sila Monthe, responsabile sanitaria dell’International rescue committee, che attualmente lavora nel campo profughi di Kaukma, in Kenya. In un’intervista alla Bbc ha raccontato di aver notato un incremento dei problemi nutrizionali nelle donne e nelle adolescenti residenti nelle zone più colpite dalla siccità: «Mangiano per ultime e mangiano peggio degli altri», racconta. Quando l’acqua scarseggia, bisogna spingersi più lontano del solito nella speranza di trovarne un po’ da portare al villaggio. A occuparsene sono le donne, che devono camminare ore e ore in più rispetto alle abitudini. Ciò le espone a un maggior rischio di subire violenze.
Secondo Sophie Rigg, consulente per il clima presso ActionAid, le discussioni della Cop27 hanno toccato raramente le problematiche di genere e la necessità di mettere le donne al centro della transizione ecologica e della società civile che alza la voce contro l’inazione climatica. Dai social e i giornali emergono le dichiarazioni e le provocazioni di Greta Thunberg (che non ha partecipato alla Cop27) o Vanessa Nakate: numeri alla mano – secondo le Nazioni unite – sono proprio le giovani donne quelle più attive sul fronte dell’attivismo climatico e ambientale. Un fenomeno incoraggiante che però si scontra con il nodo della rappresentanza politica: osservando i dati raccolti da 40 Cities Climate Leadership Group, ActionAid ed Eurostat, si nota che (a livello globale) solo il quindici per cento dei ministri che si occupa di ambiente e transizione energetica è donna.
Come spesso accade, c’è una grave carenza di rappresentanza femminile nei ruoli di potere e in quei contesti in cui si adottano decisioni che impattano concretamente sulla nostra vita. Più donne ci sono nei parlamenti nazionali, maggiore è la possibilità che vengano firmate leggi per la protezione dell’ambiente e il contrasto all’emergenza climatica: lo rivela uno studio del Women’s entrepreneurship coaches training (Wecan), un progetto finanziato dal programma Erasmus+ per la promozione dell’imprenditoria femminile.
A portare un po’ di luce in questa Cop così problematica in termini di parità di genere sono state, guarda caso, due donne: l’attivista Sônia Guajajara e l’educatrice Célia Xakriabá. Entrambe appartengono a comunità indigene, ed entrambe – tra le fila del Partito socialismo e libertà – hanno ottenuto un seggio al congresso brasiliano. «Avevamo un governo il cui impegno era la distruzione ecologica: il primo omicidio di Bolsonaro era quello di una donna, e quella donna è la Terra», ha detto Célia Xakriabá, consapevole del fatto che gli indigeni – pur rappresentando il cinque per cento della popolazione globale – proteggono l’ottanta per cento della biodiversità del pianeta. Le Conferenze sul clima ripartano da Guajajara e Xakriabá, dal loro entusiasmo, dal loro vissuto, dalla loro integrità e dalla loro urgenza nell’affrontare la questione ecologica.