Minimo indispensabileAlla Cop27 il governo Meloni (senza idee) sta copiando l’agenda Draghi

L’allineamento rispetto al precedente esecutivo e agli obiettivi europei è una buona notizia, però conferma la mancanza di attenzione, competenza e prospettive in fatto di clima da parte di Palazzo Chigi

Meloni durante il suo discorso alla Cop27 (AP Photo/LaPresse)

In perfetta sintonia con l’Europa e il precedente governo, ma passiva e totalmente priva di senso d’urgenza nel trattare la questione dei finanziamenti climatici ai Paesi più vulnerabili. È un’Italia timida e cauta, ma non per questo poco considerata, quella che si è presentata alla Cop27 di Sharm el-Sheikh, ormai alle battute finali e appesa alla speranza di un accordo sul “Loss and damage” che potrebbe arrivare venerdì (ma non è escluso uno slittamento a sabato). 

Ciò che emerge dai media generalisti è ad esempio il discorso di Giorgia Meloni il 7 novembre, oppure l’incontro del 15 novembre tra il ministro Gilberto Pichetto Fratin e l’inviato speciale statunitense per il clima John Kerry.

Nell’ombra, però, le negoziazioni sono in mano alla stessa struttura tecnica (capitanata da Alessandro Modiano, alla sua prima Conferenza sul clima come capo delegazione) che ha partecipato anche alle precedenti Cop, sopravvivendo ai due governi Conte e al governo Draghi. Ecco perché non stiamo notando elementi di discontinuità e di rottura: l’esecutivo di Giorgia Meloni, che ha un ministro dell’Ambiente oggettivamente privo di esperienza nei temi di cui si sta discutendo in Egitto, non sta interferendo e si sta fidando del percorso tracciato dai suoi predecessori.

«Non ce ne accorgiamo nel quotidiano, ma a livello multilaterale l’Italia è un attore molto importante: siamo considerati un Paese capace di mediare e di parlare con tutti», dice a Linkiesta Jacopo Bencini, policy advisor dell’Italian climate network, organizzazione italiana registrata come observer presso l’Unfccc e che ha alle spalle diverse presenze alle Conferenze sul clima delle Nazioni unite. 

«Le Cop sono l’unico forum multilaterale dove l’Unione europea negozia come una singola voce, mandando di volta in volta il delegato che ritiene più competente. L’Italia non sta mettendo freni e si è presentata rivendicando due iniziative del precedente governo», aggiunge Bencini, che sta partecipando alla Cop27 in qualità di capo delegazione dell’Italian climate network.

Mentre Matteo Salvini e altri ministri in quota Lega definiscono folli le misure del Fit for 55 e cercano in tutti i modi di frenare le ambizioni green di Bruxelles, nelle due settimane “climaticamente” più importanti dell’anno – ossia quando conta davvero – l’esecutivo non sta gonfiando il petto: «Dentro la Cop27 il governo Meloni si è mostrato totalmente in linea con Draghi. Non ci aspettavamo una rottura totale, ma nemmeno così tanta continuità. Probabilmente è anche perché le persone presenti a negoziare sono esattamente le stesse ormai da molti anni».

Ma cosa ha proposto, nel concreto, il governo Meloni alla Cop27? Da una parte non ha sviluppato idee coraggiose e innovative, confermando scarsa sensibilità verso i temi climatici e ambientali. Dall’altra, però, ha ribadito misure importanti e necessarie, senza fare passi indietro. In primo luogo, nel suo discorso in plenaria, Giorgia Meloni ha rivendicato il Fondo italiano per il clima da 840 milioni all’anno per il periodo 2021-2026. Questo strumento, attuato grazie a Cassa depositi e prestiti (Cdp), era stato annunciato al G20 del 2021 ed è stato ufficialmente presentato nei giorni scorsi dall’inviato speciale per il clima Alessandro Mediano. L’illustrazione del piano è avvenuta adesso perché, in vista della Cop, sono stati approvati i decreti attuativi per sbloccare le risorse: un avanzamento che ci ha garantito un allineamento con gli obiettivi dell’Onu.

«Anche per questo motivo, il discorso di Giorgia Meloni è stato positivo rispetto a quelli che erano gli argomenti della campagna elettorale. La nota di criticità? Il riferimento alla sicurezza energetica. Questa “sicurezza energetica” può significare nuovi investimenti in gas: questo ci spaventa ed è un problema nell’ottica del raggiungimento degli obiettivi dell’accordo di Parigi», spiega a Linkiesta Andrea Ghianda di ECCO, think tank italiano per il clima e la transizione energetica. I timori sono assolutamente giustificati, considerando le nuove misure pro-trivelle dell’esecutivo. 

Al Fondo italiano per il clima sono collegate diverse iniziative multilaterali: «Una di queste è la nuova Just energy transition partnership con l’Indonesia, lanciata dagli Stati Uniti proprio ora al G20», sottolinea Jacopo Bancini. Questa strategia, di cui l’Italia è partner, prevede lo stanziamento di 20 miliardi di dollari nei prossimi tre-cinque anni per favorire la transizione ecologica del Paese asiatico. E non è tutto: il 15 novembre, spiega il delegato dell’Italian climate network, «il ministro Pichetto Fratin ha firmato un memorandum di sostegno economico-finanziario con otto Paesi della Comunità caraibica (Caricom)». Come spesso accade, quindi, l’Italia si sta muovendo a largo raggio su più partnership. 

«John Kerry, durante l’incontro con Pichetto Fratin, ha poi chiesto rassicurazioni rispetto alle rinnovabili italiane, e il ministro dell’Ambiente ha fatto una proposta per aumentare l’utilizzo di queste fonti di energia: è positivo, ma rimane aperta la questione gas. L’Italia, attualmente, esporta molto più gas di quello che importa: i rigassificatori devono servire davvero per fare sicurezza energetica, non per aumentare le esportazioni», sottolinea Ghianda, che si è comunque detto soddisfatto dell’allineamento totale dell’Italia rispetto alle ambizioni dell’Unione europea.

«Quelli europei sono obiettivi ambiziosi: martedì Timmermans (vice presidente della Commissione europea e commissario europeo per il Clima, ndr) ha detto che l’Europa dovrebbe alzare il Fit for 55 al cinquantasette per cento. L’Italia deve impegnarsi a portare avanti il Green deal europeo, e non deve mettere in discussione gli obiettivi presi. Non bisogna compiere passi indietro, evitando totalmente l’uso di nuovo gas», aggiunge Ghianda, anch’egli presente a Sharm el-Sheikh. 

Frans Timmermans, vice presidente della Commissione europea, alla Cop27 (AP Photo/LaPresse)

Durante la Cop27, il governo ha anche confermato l’iniziativa Youth for climate, che permette ai giovani da tutti i Paesi del mondo di partecipare attivamente ai negoziati: «Questa è una proposta tutta italiana, inventata dall’ex ministro dell’Ambiente Sergio Costa e implementata da Roberto Cingolani. Meloni ha rivendicato questa iniziativa: un altro esempio in grado di confermare la continuità con il governo Draghi e le posizioni europee», dice Bencini, secondo cui, nel quadro della contesa polarizzata tra Usa e Cina, alla presidente del Consiglio «conviene farsi vedere allineata su temi così importanti a livello internazionale».

Ciò però non giustifica la mancanza di ambizione del nostro governo durante il vertice di Sharm el-Sheikh. A differenza di Paesi europei come Germania e Francia, l’Italia si è mostrata poco attenta a quello che, in sostanza, è l’argomento chiave della Cop: come possiamo risarcire in modo rapido e adeguato gli Stati più poveri, più vulnerabili e meno responsabili del disastro climatico? Terminare il vertice senza un’architettura finanziaria chiara, condivisa ed efficiente sarebbe l’ennesimo fallimento.

«Questa è una Cop in cui si parla di compensazione per quanto riguarda le perdite e i danni, di solidarietà ai Paesi più fragili. L’Ue, su questo, ha una posizione di mediazione tra Usa e Cina, che chiedono cose opposte. Gli Usa propongono scudi globali basati su meccanismi assicurativi, mentre i Paesi in via di sviluppo chiedono finanziamenti a fondo perduto. L’Italia, essendo un Paese mediterraneo con fortissimi legami con l’Africa, poteva spingere di più sul “Loss and damage”, e invece è rimasta nella linea di mediazione dell’Unione europea», conclude il delegato dell’Italian climate network.