Immobilismo fataleLa tragedia di Ischia conferma che l’Italia non è preparata a gestire la crisi climatica

Un Paese fragilissimo, vittima della cementificazione selvaggia e dell’abusivismo edilizio, non ha un piano di adattamento all’emergenza ambientale (che Meloni ha promesso di approvare «entro l’anno»). E non investe - e non interviene - per contrastare il dissesto idrogeologico

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L’Italia è un Paese fragilissimo: il novantaquattro per cento dei suoi Comuni, ossia 7.400 centri abitati, è minacciato da frane, alluvioni ed erosioni costiere. A fornire questo dato impressionante è stato il capo della protezione civile Fabrizio Curcio, a ventiquattro ore di distanza dal disastro di Ischia, dove all’alba di sabato 26 novembre una frana si è abbattuta su Casamicciola Terme e sui suoi circa settemila abitanti. La violenta colata di fango e massi ha causato almeno otto morti e centinaia di sfollati. 

L’Italia è considerato uno dei Paesi più delicati e vulnerabili al mondo dal punto di vista idrogeologico: l’impatto degli eventi meteorologici estremi, resi più frequenti e più intensi dalla crisi climatica, rischia di diventare ancora più rilevante. Per questo servono urgentemente politiche adeguate che agiscano a breve e a lungo termine. Sul lungo periodo è cruciale ridurre le emissioni, seguire uno stile di vita più sostenibile, transitare verso fonti di energia rinnovabile: insomma, mitigare gli effetti dell’emergenza legata al clima. 

Secondo l’Agenzia europea dell’ambiente, in Italia dal 1980 al 2020 gli eventi estremi causati dalla crisi climatica – dalle piogge torrenziali ai periodi di siccità – hanno già portato a una perdita economica di oltre novanta miliardi, una cifra record che ci porta tristemente sul podio europeo insieme a Francia e Germania. Solo pochi giorni fa, inoltre, il nuovo Rapporto CittàClima di Legambiente annunciava che nei primi dieci mesi del 2022 è stato rilevato un aumento del ventisette per cento di eventi estremi rispetto al 2021. 

I dati dell’anno in corso sono parziali, eppure già spaventosi: su 254 eventi estremi registrati, ci sono stati settantanove casi di allagamento da piogge intense, settantuno casi di danni da trombe d’aria, trentatré da siccità e caldo estremo, venticinque da grandinate, dodici esondazioni fluviali, undici danni alle infrastrutture, dieci mareggiate, quattro danni al patrimonio storico e nove frane da piogge intense, cifra che ancora non poteva tenere conto di quanto accaduto a Ischia, dove in sei ore sono caduti centoventisei millimetri di pioggia. È il valore più alto mai registrato nella zona negli ultimi vent’anni, cioè da quando a Ischia ci sono pluviometri in grado di effettuare queste registrazioni.

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Dissesto idrogeologico: mancano investimenti e interventi
La colpa di questo e altri disastri simili, però, non è solo del clima che cambia. C’è una questione delicatissima inerente all’abusivismo edilizio. E poi un altro problema tutto italiano, questo sì da affrontare sul brevissimo periodo: la mancanza di investimenti e di interventi volti a contrastare il dissesto idrogeologico. Nell’ambito del Next Generation EU sono previsti alcuni fondi a questo scopo: ad esempio, 2,49 miliardi di euro per la gestione del rischio di alluvione e la riduzione del rischio idrogeologico; sei miliardi per interventi per la resilienza, la valorizzazione del territorio e l’efficienza energetica dei Comuni; cinquecento milioni per il rafforzamento della capacità previsionale degli effetti del cambiamento climatico. 

Eppure, non facciamo ancora abbastanza per prevenire l’emergenza e per non farci cogliere impreparati quando si presenta. È sempre Legambiente a sottolineare che, nonostante le richieste della Commissione europea, l’Italia non ha ancora un Piano di adattamento ai cambiamenti climatici: in Europa solo Slovenia, Polonia e Turchia si trovano nella stessa situazione, mentre Paesi come Francia e Germania hanno dato il via al loro Piano nazionale, e quindi ai successivi interventi, già nel 2011. Intervistata dal Corriere della Sera, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha promesso di approvarlo «entro l’anno». Inoltre, la leader di FdI ha garantito «una ricognizione sia delle risorse già esistenti sia del personale da mettere a disposizione dei Comuni, a partire da quelli più piccoli», oltre alla creazione di «un gruppo di lavoro interministeriale per gli interventi di medio e lungo periodo». 

La situazione attuale, però, rimane a dir poco sotto gli standard minimi per un Paese così fragile. Solo poche settimane fa, l’Istituto superiore per la ricerca e la protezione ambientale (Ispra) lanciava l’allarme sulla nuova, probabile interruzione dei finanziamenti per il completamente della Carta Geologica d’Italia, un documento tecnico-scientifico composto da seicentotrentasei fogli geologici e geotematici che mappano l’intero suolo e sottosuolo nazionale allo scopo di mettere in sicurezza i territori, prevenire i disastri e supportare lo sviluppo territoriale. 

«La Carta contiene anche informazioni sull’attività sismica o sulla tipologia dei terreni e si accompagna a una folta banca dati che serve a sviluppare altre carte tematiche, come le carte di pericolosità, utili agli amministratori locali e ai tecnici per programmare un’urbanizzazione corretta, evitando ad esempio di far condonare case dove non era il caso di costruirle», spiega a Linkiesta la responsabile Ispra del progetto Carg, Maria Lettieri. 

Avviato alla fine degli anni Ottanta e finanziato con una certa regolarità fino al 2000, il progetto è poi rimasto senza fondi per vent’anni. L’arrivo di nuovi stanziamenti grazie alle ultime tre leggi di bilancio ha permesso di riavviarlo tra il 2020 e il 2022. A oggi mancano ancora trecento fogli geologici e quasi tutti i fogli geotematici, che coprono circa il quarantacinque per cento del territorio nazionale. Eppure, al momento, non sono stati stanziati altri fondi dal governo. 

«L’Italia è una terra fragile dal punto di vista geologico: c’è bisogno di avere uno strumento di conoscenza per difenderla», prosegue Lettieri. «Speriamo ancora in qualche emendamento alla legge finanziaria e non ci arrendiamo fino all’ultimo giorno dell’anno. Vogliamo convincere i nostri politici che questa è una giusta causa e che i fondi che chiediamo possono essere utili per salvare vite e per risparmiare soldi. La realizzazione di una carta geologica costa quattro volte meno della ricostruzione». 

Abusivismo, ipercementificazione e scarsa manutenzione
Se da una parte gli investimenti sono insufficienti, dall’altra le attività di monitoraggio e prevenzione sono carenti o eccessivamente frenate dalla burocrazia. Secondo Curcio, tra le attività preventive fondamentali che andrebbero svolte ci sono la manutenzione delle montagne, la pulizia di boschi e sottoboschi, la cura degli alvei (cioè le porzioni di terreno occupate da fiumi o specchi d’acqua) e le analisi per evitare i cosiddetti “fiumi tombati”, ossia ricoperti da interventi di cementificazione e oggi particolarmente a rischio di esondazione. 

In Italia non sono mai stati censiti, ma si stima si tratti di migliaia di chilometri di corsi d’acqua. Dopo il disastro di Ischia, inoltre, si è parlato dell’abusivismo, che rende un territorio ancora più vulnerabile ai disastri ambientali: negli scorsi anni dall’isola, che ha più di diciannovemila, sono arrivate ventottomila richieste di sanatoria edilizia. Irregolare o meno, la cementificazione selvaggia è comunque un problema grave: in Italia vengono cementificati due metri quadri al secondo e il cemento ricopre ormai 21.500 chilometri quadrati di territorio nazionale, il valore più alto degli ultimi dieci anni. 

Le conseguenze sono la perdita di terreni coltivabili e di costa naturale (circa cinque chilometri in meno ogni anno), l’aumento della desertificazione e anche una più difficile gestione dell’acqua, perché le superfici diventano impermeabili e dunque in caso di forti precipitazioni si creano dei veri e propri fiumi in piena. 

Prevedere e prepararsi ai rischi
Dopo quanto accaduto a Ischia, ma non solo, è urgente agire per non farsi più cogliere impreparati. Il tema riporta al centro del discorso la necessità improrogabile di un Piano italiano di adattamento ai cambiamenti climatici: non per inseguire le emergenze rimanendo sempre un passo indietro, ma per definire un piano di interventi la cui priorità deve essere decisa in base alla crisi climatica e all’attuale rischio idrogeologico.

L’assenza di un simile Piano nazionale ha già limitato l’approvazione di Piani locali di adattamento al clima, il cui numero in Italia è infatti inferiore rispetto ad altre realtà europee, che sarebbero invece utili per definire interventi specifici in base alle caratteristiche e ai rischi di un’area. Un contributo in questo senso arriverà anche da GeoSciencesIR. Un singolo progetto non può chiaramente essere la soluzione al problema del dissesto idrogeologico, «ma sicuramente questo potrà essere un ulteriore supporto, soprattutto nelle aree dove c’è carenza di informazioni», commenta Luca Guerrieri, responsabile del progetto per Ispra. 

Presentata lo scorso ottobre in occasione della Giornata internazionale per la riduzione dei disastri naturali e finanziata nell’ambito del Pnrr, GeoSciencesIR è un’infrastruttura di ricerca italiana, che coinvolge dodici università e tre enti di ricerca (Ispra, Cnr e Ogs), nata per mettere a disposizione dei servizi geologici regionali dati, servizi e strumenti necessari al monitoraggio e al controllo del territorio. Il progetto interessa diversi tavoli tematici, tra cui difesa, uso e consumo di suolo e fenomeni franosi. 

«L’idea è nata tempo fa, quando ci siamo accorti che i servizi geologici regionali avevano l’esigenza di un’infrastruttura che potesse assicurare al poco personale presente negli uffici strumenti, dati e accesso alle informazioni per poter gestire correttamente il territorio», prosegue Guerrieri. Al di là della presenza insufficiente di personale, il punto è che chi lavora negli uffici tecnici regionali deve occuparsi di problematiche molto differenti – dalle frane alla siccità, dalla gestione del rischio geologico alla pianificazione territoriale – e non ha chiaramente una conoscenza approfondita di ciascun ambito. 

Nel momento in cui questo personale tecnico è chiamato a prendere o a supportare delle decisioni politiche, grazie a GeoSciencesIR potrà farlo accedendo per la prima volta a tutte le risorse e i dati esistenti. Il progetto è partito a ottobre, ma l’infrastruttura diventerà operativa fra trenta mesi e il suo funzionamento dovrà essere garantito per dieci anni: alla fase di riorganizzazione dei dati già esistenti (alcuni dei quali sono al momento inaccessibili), si aggiungeranno l’acquisizione di nuovi dati e i test di metodologie innovative in aree campione. GeoSciencesIR sarà open data e consultabile anche dai cittadini.