Questo articolo è stato originariamente pubblicato sul numero 54 di We – World Energy, il magazine di Eni
Aumenta sempre più l’impegno delle varie nazioni a conseguire la neutralità climatica intorno alla metà del secolo. Accanto all’Unione Europea (Ue), emergono come attori chiave anche Cina e Stati Uniti (Usa). L’Ue ha lanciato l’avanzatissima strategia del Green Deal europeo, gli Usa hanno aderito all’Accordo di Parigi e la Cina ha elaborato un piano d’azione per raggiungere il picco di emissioni di carbonio entro il 2030.
L’impegno e la cooperazione sul clima delle tre superpotenze sono essenziali non solo per propria natura ma anche per l’impatto che hanno sulle dinamiche mondiali. Ue, Cina e Usa sono infatti collettivamente responsabili di circa il 50 percento delle emissioni di CO2 e hanno un ruolo centrale nell’innovazione e nelle tecnologie, nelle catene del valore e nella leadership politica, a livello mondiale.
Per affrontare con successo la questione globale dei cambiamenti climatici, la collaborazione è d’obbligo. Per propria natura, tuttavia, la politica climatica implica un alto livello di concorrenza sulle tecnologie verdi e sulle catene di fornitura. La transizione energetica si tradurrà, infatti, in una nuova strutturazione della leadership industriale e tecnologica mondiale che modificherà l’attuale panorama politico, energetico ed economico.
I vari paesi potrebbero trovarsi a competere per la supremazia tecnologica e il dominio delle tecnologie più avanzate, tendenza che potrebbe far deragliare gli sforzi mondiali volti ad affrontare il cambiamento climatico. Per preservare l’azione mondiale per il clima, le nazioni dovranno pertanto trovare un equilibrio tra cooperazione e concorrenza.
In tale scenario, l’Ue, se gestirà male le trasformazioni dei prossimi trent’anni, nell’era delle tecnologie pulite potrebbe trovarsi in una posizione vulnerabile, ma ha comunque degli strumenti utili a guidare questi cambiamenti insieme alle altre superpotenze e al resto del mondo.
La transizione: un’opportunità per l’Europa
Per l’Europa, la transizione è una nuova ragion d’essere, è l’opportunità per promuovere la tanto necessaria integrazione del continente, è la ricetta per aumentare la sicurezza energetica del blocco Ue e assumere il ruolo di leader a livello mondiale. Tuttavia, la vulnerabilità energetica dell’Unione Europea, oggi tanto evidente, va ben oltre petrolio e gas: l’Ue dovrà pertanto saper gestire con saggezza la futura trasformazione, per evitare una nuova fase di vulnerabilità.
Le politiche climatiche più ambiziose, quali lo stop alla vendita dei veicoli con motore a combustione interna entro il 2035, comportano sfide socioeconomiche e geopolitiche per l’industria automobilistica europea, implicando il passaggio completo ai veicoli elettrici. La concorrenza nella produzione di batterie è già iniziata, e specificamente con la Cina, che rappresenta il 76 percento della capacità di produzione mondiale di batterie per veicoli elettrici, contro il 7 percento dell’Ue e il 7 percento degli Usa.
Le politiche climatiche suscitano un consenso sempre maggiore in tutto il mondo, ma sono evidenti i tentativi di potenziamento delle singole autonomie nazionali, tendenza che si ravvisa in tutte e tre le superpotenze citate e che si è rafforzata durante la pandemia. La transizione mondiale potrebbe venir ritardata anche dagli appelli al disaccoppiamento dalla Cina, fattisi più pressanti: nell’ultimo decennio, il forte calo dei costi delle energie rinnovabili è stato di fatto possibile grazie alla combinazione di tecnologie statunitensi ed europee con grandi investimenti cinesi. Al contempo, la crescente concorrenza tra le superpotenze le ha portate a collaborare anche con paesi terzi, in particolare con investimenti infrastrutturali internazionali. Ue e Usa, insieme con altri paesi del G7, hanno annunciato programmi infrastrutturali volti a contrastare la Belt and Road Initiative di Pechino: rispettivamente, la Global Gateway Strategy e il Build Back Better World (B3W).
Nonostante questa rivalità, l’Ue è profondamente impegnata a preservare la cooperazione internazionale con i propri partner al fine di favorire la transizione a livello mondiale. Nel frattempo, è necessario che i vari paesi capiscano come ottemperare ai propri impegni il più rapidamente possibile. Oltre al ruolo chiave dei forum e delle azioni multilaterali, l’adempimento degli impegni potrebbe accelerarsi anche con l’istituzione di club del clima grazie ai quali i diversi paesi potrebbero trovare metodi più rapidi per tradurre in realtà i propri obiettivi. Oltre all’attuale riavvicinamento tra Ue e Usa su energia e clima, alcuni analisti invocano la formazione di club del clima per aumentare la concorrenza e incentivare ulteriormente gli altri paesi (Cina in primis) a mantenere i propri obiettivi ambientali. E ancora, il blocco Ue potrebbe aumentare gli sforzi tesi all’istituzione di partenariati bilaterali in diversi settori, con il fine di innalzare i propri standard climatici.
La diplomazia del Green Deal
L’Ue può e deve dare la priorità alla “diplomazia del Green Deal”, soprattutto nelle aree limitrofe (quali il suo fianco orientale e il Mar Mediterraneo). Per esempio, il Nord Africa presenta condizioni favorevoli per la produzione di quell’idrogeno verde che potrebbe contribuire alla decarbonizzazione dei settori in cui è difficile abbattere le emissioni (hard to abate), evitando il rischio del meccanismo europeo di adeguamento del carbonio alle frontiere (Cbam, European Carbon Border Adjustment Mechanism), attualmente in discussione presso le istituzioni UE. La transizione energetica globale rappresenta un’opportunità per lo sviluppo socioeconomico sostenibile di molti paesi, ed è necessario dare massima priorità alla dimensione locale delle iniziative estere dell’Unione Europea, in particolare nei paesi in via di sviluppo.
L’Ue potrebbe inoltre utilizzare parte delle entrate dello Cbam per dare maggior assistenza finanziaria all’estero e per ridurre gli effetti regressivi di tale misura. Per l’Ue, il finanziamento e il sostegno alla transizione verso l’energia pulita all’estero di fatto offre ai vari paesi anche soluzioni alternative praticabili, alla luce dei progetti delle altre superpotenze. La Cina ha aumentato la propria influenza internazionale con la Belt and Road Initiative, mentre l’Ue ha lanciato la strategia Global Gateway, individuando nell’European Fund for Sustainable Development Plus (EFSD+, Fondo europeo per lo sviluppo sostenibile Plus) il principale strumento finanziario per mobilitare gli investimenti nell’ambito di detta strategia.
L’Unione Europea può ricavare numerosi vantaggi dal promuovere il proprio ruolo internazionale. In primo luogo, essa è già il più grande donatore mondiale di aiuti allo sviluppo, e, in secondo luogo, ha forti legami politici ed energetici con i paesi del Mediterraneo meridionale. È comunque necessario che l’Ue proceda a una miglior razionalizzazione dei propri strumenti di finanziamento, per poter assistere con maggior efficacia i paesi meridionali nella loro transizione energetica.
Inoltre, se vuole rafforzare il proprio ruolo internazionale, soprattutto nel suo vicinato, l’Ue deve espandere i propri investimenti esterni. Nel marzo 2021 la Comunità Europea (Ce) ha istituito lo strumento “Global Europe”, con un budget complessivo per il prossimo periodo del quadro finanziario pluriennale (Multiannual Financial Framework, MFF 2021-2027) di 79,5 miliardi di euro, di cui solo 19,3 destinati ai paesi del vicinato.
Preservando la cooperazione, almeno con i partner dall’orientamento analogo, intensificando i programmi per gli investimenti esterni e facendo leva sul proprio potere normativo, l’Unione Europea può potenziare le proprie capacità tecnologiche in diversi campi, quali quello dell’idrogeno verde. In passato, l’Ue ha visto la leadership delle tecnologie chiave trasferirsi in altri paesi, come è accaduto con i pannelli solari e con i veicoli elettrici. Nel 2020 ha lanciato la propria strategia per l’idrogeno (Hydrogen Strategy), e nel 2022 il piano REPowerEU, che individua nell’idrogeno una soluzione utile a ridurre l’eccessiva dipendenza europea dal gas russo, ampliando gli obiettivi di produzione interna e i volumi di importazione. Grazie alla sua maggior capacità manifatturiera, l’Ue è diventata leader nell’industria degli elettrolizzatori, e per il futuro intende denominare l’idrogeno in euro.
Il potere normativo di Bruxelles
L’Ue potrebbe accelerare la corsa verso la decarbonizzazione anche facendo leva sul proprio potere normativo. Bruxelles emana regolamenti che influenzano i metodi di concezione e fabbricazione dei prodotti e il comportamento delle imprese in tutto il mondo (è il cosiddetto Effetto Bruxelles). È chiaro che le norme europee hanno contribuito, contribuiscono e potrebbero ulteriormente contribuire a elevare il blocco Ue a esempio per le altre economie, come già accaduto nel caso della tariffazione del carbonio: la Cina ha di fatto preso a modello il sistema europeo per lo scambio delle quote di emissione (Eu Emissions Trading System, Eu Ets) per elaborare un meccanismo analogo. L’effetto Bruxelles potrebbe farsi particolarmente evidente all’introduzione dello Cbam, il cui scopo è prevenire ed evitare la rilocalizzazione delle emissioni di CO2 e tutelare le industrie nazionali, incoraggiando al contempo i paesi terzi a istituire politiche di tariffazione del carbonio. Usa e Cina si sono entrambi opposti con durezza allo Cbam, con la Cina in particolare a invitare i paesi sviluppati a desistere dal creare tale genere di barriere. Tuttavia, il mondo intero è impegnato a perseguire gli obiettivi di zero netto, e l’adozione di misure analoghe allo CBAM potrebbe essere inevitabile anche per altri paesi.
L’Ue deve pertanto convincere un numero maggiore di paesi dell’inevitabile necessità di maggiori sforzi di riduzione nei settori ad alte emissioni, e convincerli ad accettare lo Cbam o strumenti analoghi. Per quanto entrambi avversino lo Cbam, tra Washington e Pechino ci sono comunque delle differenze: la pur ampia discussione della tariffazione del carbonio ha dato risultati molto modesti negli Usa, mentre il sistema cinese per lo scambio delle quote di emissione potrebbe costituire un buon punto di partenza, sebbene la sua portata sia molto limitata rispetto a quella dell’Ets europeo.
Lo sviluppo e la diffusione delle tecnologie per l’energia pulita è oggi potenzialmente minato da prospettive economiche negative e dal riemergere di urgenti problemi di sicurezza. L’Ue ha comunque riaffermato il proprio impegno alla decarbonizzazione, e per conseguire i propri obiettivi climatici in questo periodo di trasformazioni e sfide dovrà perseguire e attuare politiche industriali concrete in collaborazione con paesi dall’orientamento analogo, al fine di promuovere tecnologie energetiche pulite sia al proprio interno sia all’estero, in linea con le ambizioni internazionali dell’Europa. Per esempio, l’Unione Europea potrà affrontare le proprie vulnerabilità strategiche nel campo delle batterie collaborando con gli Stati Uniti come prospettato dall’annuncio della European Battery Alliance e della US Li-Bridge Alliance per la collaborazione all’accelerazione dello sviluppo di batterie agli ioni di litio e di nuova generazione.