Aggiotaggio giudiziarioLe riforme di Nordio, le indagini sulla Juventus e il problema tutto italiano dell’inquinamento delle informazioni

Le proposte del Guardasigilli, non così garantiste come sembrano, sono state bocciate dal solito circo giornalistico-giudiziario, proprio mentre i giornali riportano intercettazioni sul club bianconero diffondendo solo le tesi dell’accusa. Una vera piaga, mai risolta, della nostra democrazia

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Il Guardasigilli Carlo Nordio ha esposto alla Commissione giustizia della Camera una sorta di personale “libro dei sogni” in cui sono contenute quelle “riforme minime” – dalla separazione delle carriere alle intercettazioni, al rispetto concreto ed effettivo del principio di legalità – che sarebbero appunto il “minimo sindacale” per un paese degno di qualificarsi come governato come uno stato di diritto.

Per questo motivo, l’ex magistrato veneziano ha subito il solito trattamento che il partito giornalistico delle procure riserva a chiunque osi mettere sul tavolo questi temi, vale a dire un indifferenziato pestaggio mediatico e la “fatwa” dei giustizialisti nostrani.

Da ultimo, l’immancabile Gustavo Zagrebelsky ha unito in un unico tratto le critiche al presidente della Repubblica, a Bankitalia e alla magistratura come un complessivo disegno d’assalto alle istituzioni di garanzia mosso dalla destra italiana.

Chi scrive ha avuto modo, su questo giornale, di esprimere la personale diffidenza nei confronti del nuovo Guardasigilli, in particolare sottolineando come la sua visione sia sostanzialmente autoritaria perché, a fronte di massime garanzie per i “galantuomini” nel processo, egli sostiene massimo controllo e chiusura nella fase di prevenzione dei crimini e di esecuzione della pena.

Dunque, per Nordio, le intercettazioni sono da restringere come fonte di ricerca della prova durante l’indagine, ma vanno invece abbondantemente usate prima e a prescindere da ogni controllo giudiziario di legalità come strumento di contrasto sociale alla criminalità.

Così il ministro della Giustizia teorizza che le forze di polizia, in segreto e senza controllo della stessa magistratura, e senza mai darne pubblico conto, possano intercettare i sospetti di ipotetiche illecite attività ancora da accertare. Un modello di stampo ungherese da rigettare in toto.

Nessuna misericordia inoltre per i condannati, con qualche rara eccezione per i responsabili di reati minori. In questa visione, come dimostra il recente decreto anti-rave, i “ladri di Stato” corrotti e corruttori sono equiparati a mafiosi e trafficanti, per cui nessuna alternativa vi può essere al marcire nelle più vergognose carceri europee.

Per questa idea di giustizia chi scrive non ha nessuna simpatia, al contrario delle tante cheerleader di Nordio tra insospettabili organi di stampa e politici sedicenti garantisti.

Tuttavia il vero scandalo è lo squadrismo mediatico che si abbatte su chi osa toccare i fili, a partire dalla famosa e “limacciosa “ commissione bicamerale di Massimo D’Alema di fine millennio.

In ragione di ciò, a oggi è problematico finanche eleggere i membri laici per il Consiglio superiore della magistratura dove concorrono personaggi che la magistratura non ama come gli avvocati Gaetano Pecorella e Mauro Anetrini, garantisti e pure autorevoli e per questo invisi alle toghe.

Tuttavia il vero problema non è solo una magistratura arroccata sui suoi privilegi, bensì una diffusa sottocultura che la protegge e accompagna nei suoi vizi, magari per interessi di bottega.

Il mercato delle intercettazioni indiscriminatamente pubblicate sulla stampa, ad esempio, non è una fisima di Nordio ma una piaga reale che inquina la democrazia.

Tramite esso si colpisce un principio di civiltà come la presunzione di innocenza vanamente ribadito da una legge di recente introdotta in mezzo agli strepiti del partito filo-procure dei Travaglio, Bianconi, Bonini e Giannini e non se ne abbiano a male alcuni destinatari (“Amicus plato sed magis veritas…”).

La legge impone ai magistrati la prudenza e la riservatezza sulle indagini, una cosa ovvia, ma non impedisce di surrogare le vecchie conferenze stampa di pm e carabinieri con estesi editoriali sui giornali amici. E dunque basta passare le carte per avere le solite vecchie sentenze anticipate di condanna.

Tale sorte accomuna potenti e cittadini comuni, cardinali, imprenditori e vecchi pregiudicati, dagli Agnelli a Massimo Carminati.

Ultimamente è capitato anche ai proprietari di Gedi, il più importante gruppo editoriale italiano, a proposito del procedimento penale che coinvolge una delle loro più rilevanti partecipazioni, la Juventus, di cui va evidenziato un curioso quanto significativo episodio.

Raccontano le cronache che Cristiano Ronaldo, ex calciatore bianconero negli anni oggetto di indagine, abbia fatto richiesta di accesso agli atti del processo che sono stati depositati per le parti al termine delle indagini, quale soggetto interessato.

Richiesta legittimamente respinta perché il contenuto del fascicolo, ancorché non più coperto dal segreto d’indagine, non può comunque essere pubblicato almeno fino al termine dell’udienza preliminare e la copia dei singoli atti addirittura sino al processo vero e proprio a norma dell’articolo 114 del codice di procedure penale.

Il punto è che invece le gazzette hanno riportato pezzi interi di intercettazioni, alcune con soggetti non coinvolti e hanno diffuso le tesi dell’accusa.

Quasi nessuno ha illustrato le ragioni della difesa e ha correttamente spiegato che l’unica volta in cui è intervenuto un giudice “terzo e imparziale” ha dato torto all’accusa non solo respingendo la solita richiesta di misure cautelari ai danni dei principali imputati, ma addirittura ponendo in dubbio la rilevanza penale delle strombazzate plusvalenze che costituiscono la polpa delle accuse di falso in bilancio e aggiotaggio informativo.

Stiamo parlando di una società quotata in Borsa ma lo stesso discorso ormai è ricorrente in svariati casi. L’aggiotaggio e l’inquinamento dell’informazione giudiziaria sono un grosso problema di democrazia non ancora risolto e duro a morire.

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