Brigata boomerQuelli che vorrebbero dare lezioni di anti-imperialismo alla resistenza ucraina e altri bias politico-cognitivi

A un anno dall’invasione russa, nella sinistra italiana è ancora diffuso un atteggiamento di superiore condiscendenza (nel migliore dei casi) nei confronti dell’Europa dell’Est

LaPresse

Non sempre la storia è maestra di vita, spesso però l’attualità è maestra di storia. Per anni a sinistra, in tanti, me compreso, ci siamo cullati nell’idea della diversità del Partito comunista italiano rispetto agli altri partiti comunisti dell’Est. Un’idea che conteneva peraltro una buona dose d’ingenerosità nei confronti di dirigenti politici e intellettuali che i loro tentativi di elaborazione autonoma e originale li avevano pagati a caro prezzo, davanti ai carri armati sovietici, per giunta inviati con la piena approvazione (se non su diretta esortazione) degli autonomi e originalissimi compagni italiani. Ma quello del 1956, ci dicevamo, era un errore, che aprì già allora una discussione lacerante e che sarebbe stato corretto in seguito: appena una dozzina di anni dopo, s’intende, con la condanna dell’intervento sovietico a Praga da parte del Pci.

Per rivendicare autonomia e originalità del comunismo italiano abbiamo esaltato gli strappi di Enrico Berlinguer, e prima ancora la via italiana al socialismo di Palmiro Togliatti, e prima ancora qualunque cosa nei Quaderni del carcere e negli altri scritti di Antonio Gramsci consentisse di sostenere la tesi che ci stava a cuore. Ma se l’albero si riconosce dai frutti, la qualità di quella scuola si riconosce dai suoi ultimi epigoni, da quanti politici, intellettuali, giornalisti oggi vorrebbero dare lezioni di anti-imperialismo a chi combatte nelle trincee per difendere la propria casa e la propria famiglia dall’espansionismo russo. Da come rimasticano malamente la peggiore propaganda putiniana sulle malefatte della Nato, gli accordi di Minsk e il Donbas, con la stessa sicumera con cui un tempo i loro padri parlavano dei provocatori e degli elementi controrivoluzionari dietro le rivolte polacche o ungheresi.

È il fardello del post-comunista occidentale, cui tocca far capire a tanti rozzi europei del Nord e dell’Est, preoccupati dall’imperialismo russo, le sottigliezze della geopolitica e della Realpolitik. È il marxplaining di chi sarebbe capace di insegnare pure ai superstiti di Bucha la necessità di lottare contro l’allargamento della Nato (o di spiegare ai socialdemocratici finlandesi e svedesi perché non dovrebbero neanche chiederci di entrare nell’Alleanza atlantica, per usare un esempio tratto da una storia vera).

Accettare che oggi gli Stati Uniti e l’occidente abbiano semplicemente e completamente ragione, e la Russia di Vladimir Putin semplicemente e completamente torto, autorizzerebbe quanto meno il sospetto che potesse essere così anche prima. Per questo, anche quando non si ha il coraggio di mettere in dubbio i crimini russi, i bombardamenti quotidiani sui civili, le camere di tortura, i massacri indiscriminati, non c’è demagogo a sinistra che non raccolga applausi prendendosela con Jens Stoltenberg, la Nato e gli americani.

C’è qualcosa di moralmente insopportabile, oltre che patetico, nella dissonanza cognitiva di questa brigata boomer schierata a sostegno dei responsabili dei peggiori crimini contro l’umanità. Tanto più insopportabile per lo smaccato contrasto con la retorica antifascista esibita in ogni altra occasione, in tutte le occasioni possibili, tranne che dinanzi al fascismo dichiarato e messo in atto dal regime di Putin, con il suo esibito nazionalismo militarista, la sua repressione violenta di ogni dissenso, la sua esplicita negazione di ogni diritto e libertà civile, in nome della vecchia triade Dio Patria Famiglia.

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