Domenica scorsa nella capitale moldava di Chișinău gruppi di manifestanti sono scesi in piazza, esprimendo la propria insofferenza verso il nuovo governo locale. La protesta è stata organizzata da un gruppo di recente formazione chiamato «Movimento per il Popolo». Alcuni dei manifestanti confluiti nella capitale hanno scandito la manifestazione al grido di «Abbasso Maia Sandu!», riferendosi all’ex premier moldava; altri hanno agitato cartelli con i volti di alcuni leader moldavi accanto a raffigurazioni di grandi case e auto di lusso.
La protesta si è svolta nel contesto di un’accresciuta tensione politica in Moldavia legata alla Transnistria, regione separatista da tempo sotto l’influenza russa. Il segretario di Stato americano Antony Blinken ha recentemente dichiarato che Washington sarebbe allarmata da «alcune trame che abbiamo visto provenire dalla Russia» riguardo una crisi politica in Moldavia. La settimana scorsa, la stessa Sandu ha sottolineato che Mosca starebbe progettando «l’uso di persone esterne al Paese per azioni violente».
Mosca ha negato l’esistenza di un complotto, bollandolo come una «finzione». Le proteste a Chișinău però sarebbero state organizzate dal partito filorusso Șor, sotto i riflettori c’è il leader del partito Ilan Șor, oligarca moldavo fortemente sostenuto da Mosca. Molti dei manifestanti hanno raggiunto Chișinău in autobus dalle città più piccole, a quanto pare tutto finanziato da Șor.
In Moldavia sembra di rivedere “Ricomincio da capo”, il film di Bill Murray dove il protagonista si reca nella piccola città di Punxsutawney, in Pennsylvania, per fare un reportage sulla tradizionale ricorrenza del Giorno della marmotta. Qui però rimane intrappolato in un circolo temporale: ogni mattina, alle sei in punto, viene svegliato dalla radio che trasmette sempre lo stesso brano musicale (“I Got You Babe” di Sonny & Cher) e da allora la giornata trascorre inesorabilmente allo stesso modo della precedente.
Il dibattito sul futuro della Moldavia assomiglia molto, tragicamente, al Giorno della marmotta: la minaccia russa si affaccia su un Paese ai confini dell’Unione europea, sfruttando un territorio conteso, ricordando in maniera inquietante l’inizio del conflitto in Ucraina e tanti altri scenari di guerra azionati da Mosca.
Soprattutto, a spiccare sarebbe l’escalation sobillata dal Cremlino e dal suo atteggiamento bellicista, che va ben oltre le strategie convenzionali. Una postura ormai definita come «ibrida» dalla maggior parte degli esperti, che hanno individuato nella Russia una potenza globale in questi casi.
E pensare che a sentire Putin durante il discorso pronunciato in occasione dell’annessione delle regioni di Donetsk, Lugansk, Kherson e Zaporizhzhia, sarebbe l’Occidente a condurre una guerra ibrida contro la Russia. Sebbene la prospettiva del mondo libero sia diversa, una cosa è certa: la guerra ibrida è una nozione chiave nell’attuale contesto geopolitico.
Le tattiche asimmetriche hanno acquisito un’importanza crescente negli ultimi anni, perché tecniche di questo tipo vengono utilizzate sempre più spesso. In effetti, la guerra ibrida ha un carattere multidimensionale, comprende una combinazione di diversi attori (mercenari, terroristi, hacker, uomini d’affari), tattiche (convenzionali, illegittime, terrorismo, propaganda, disinformazione), mezzi (convenzionali, sperimentali, asimmetrici) e moltiplicatori (guerra psicologica, cyberterrorismo).
Il potenziale della guerra ibrida è stato compreso e sviluppato meglio dalla Russia che dall’Occidente, in gran parte a causa della sua storia e della sua cultura nazionale. Ha acquisito un’importanza centrale e rinnovata nella strategia del Cremlino dopo la pubblicazione della «Dottrina Gerasimov» nel 2013.
Nel febbraio di quell’anno, il Capo di stato maggiore delle Forze armate russe Gerasimov ha articolato la sua teoria della guerra moderna in un ormai famoso articolo per il Military-Industrial Kurier. Di conseguenza, «guerra ibrida» e «dottrina Gerasimov» sono espressioni diventate famose per descrivere, spesso senza contesto o erroneamente, l’approccio non lineare della Russia al conflitto.
In questo contesto, le operazioni russe puntano al dominio informativo e psicologico del nemico. Seminare il caos fa quindi parte di quello che gli strateghi militari russi chiamano «periodo iniziale della guerra», riprendendo la teoria militare sovietica ma applicandola alla guerra moderna. Questi concetti sradicano la linea di demarcazione tra pace e guerra, ponendo politica e conflitto armato nella stessa categoria.
Nel suo testo, Gerasimov ha descritto il modo in cui impegnarsi durante i conflitti, sottolineando l’importanza dei mezzi non militari per raggiungere gli obiettivi. Una guerra senza contatto condotta ad esempio con l’uso della propaganda, impiegata per influenzare la società civile e minare la sua fiducia nelle istituzioni nazionali o innescare una diffusa agitazione pubblica.
Nella sua ricerca, il generale russo ha attinto da strateghi militari come Vladimir Slipchenko, ex vicepresidente dell’Accademia russa di scienze militari, dagli scrittori militari Sergey Bogdanov e Sergey Chekinov, e dal capo della Direzione principale per gli affari politico-militari Andrey Kartapolov.
Si tratta di un’applicazione tattica del modo in cui la Russia intende la guerra moderna e riflette un’accettazione pragmatica della necessità di cogliere le opportunità che si presentano. Ciò che rende unica questa strategia del caos è il fatto che la sinergia tra tattiche non lineari e non militari non è più ausiliaria dell’uso della forza, ma piuttosto l’equivalente della forza stessa.
Il caos però non è del tutto statico. Un evento significativo nell’evoluzione dell’uso del caos da parte della Russia per competere con l’Occidente si è verificato quando Gerasimov ha tenuto un discorso programmatico all’Accademia russa di scienze militari nel marzo 2019. Nel presentare le lezioni operative apprese dalle manovre in Siria, Gerasimov ha insistito sull’uso del potere e della coercizione politico-militare.
Proprio in Siria, una delle principali innovazioni è stata la guerra d’informazione volta a contrastare le critiche occidentali all’intervento, descritto come una campagna di bombardamenti indiscriminati a sostegno del regime di Bashar al-Assad. La più controversa di tutte le caratteristiche ibride dell’intervento in Siria, però, è stata l’impiego di unità militari quasi private (il Gruppo Wagner), che si è rapidamente evoluta in uno strumento di primo piano nella cultura strategica russa.
L’intelligence militare di Mosca ha inventato questo strumento reclutando e addestrando diversi gruppi di mercenari, anche se continua a negare il proprio ruolo in tal senso. Il comando preferirebbe unità più affidabili fatte di forze speciali o truppe aviotrasportate, ma con il tempo le bande di mercenari sono diventate un sostituto usa e getta delle truppe regolari.
Gli uomini della Wagner hanno svolto compiti di combattimento chiave in diverse battaglie, tra cui la cattura di Palmira in Siria, e hanno guadagnato una fama inaspettata dopo il disastroso attacco a una postazione delle forze speciali statunitensi a Est di Deir al-Zour nel febbraio 2018. Il Cremlino, inoltre, ha apprezzato i contractor militari privati come strumento di politica estera, dalla Repubblica Centrafricana alla Libia al Venezuela.
Proprio gli interventi della Russia in Siria, Venezuela e più recentemente in Libia hanno sollevato la questione se Mosca sia ancora opportunista o se abbia rivisto la sua strategia militare. Abbiamo da poco assistito a un ulteriore sviluppo dell’arsenale della guerra ibrida con l’introduzione di ondate migratorie forgiate ad hoc, come quella del governo bielorusso, che ha ammassato i migranti al confine con la Polonia nel tentativo di destabilizzare il Paese ed esercitare pressione sull’Europa.
Mosca sta unendo mezzi militari e non, gestendo efficacemente due delle variabili essenziali nella sua strategia: il tempo e il rischio. Il risultato è una forma di competizione strategica in cui la Russia semina il caos per realizzare la sua agenda al di là dei suoi confini. Questa strategia fa in modo che un Cremlino relativamente indebolito possa evitare la competizione diretta con i suoi avversari spaccando le alleanze globali, causando divisioni interne ai singoli Stati e minando i sistemi politici occidentali.
Le tattiche ibride russe intendono provocare una destabilizzazione generale, in Ucraina e altrove. Ad esempio, il settore energetico è stato strategicamente preso di mira come mezzo di guerra ibrida alternativa, in un’Europa caratterizzata da una vorace necessità di petrolio e gas. Il sabotaggio del Nord Stream è la conferma più importante fino ad ora.
Le tecniche di guerra ibrida, in particolare la propaganda e la disinformazione, possono provocare fratture profonde e pericolose a lungo termine nelle società occidentali. Per questo motivo, i paesi della Nato (e non solo) dovrebbero rafforzare la cooperazione e condividere l’intelligence su queste minacce.
Allo stato attuale abbiamo in Occidente diversi esempi critici sull’uso della guerra ibrida: l’Ucraina, che ora subisce le conseguenze dell’aggressiva azione militare russa; l’Estonia, la cui resistenza ai cyberattacchi ha prodotto importanti cambiamenti politici; infine, istituzioni come l’Unione Europea e la Nato, che vedono la loro coesione interna messa a dura prova dalle operazioni non lineari russe.
Ciò che lega questi scenari è il fatto che sono tutti obiettivi della strategia del caos. Un elemento chiave per comprenderla è il funzionamento a cerchi concentrici: più un Paese è lontano dalla Russia, meno diventa esposto in termini di diversità e impatto degli strumenti ibridi impiegati contro di esso. Le risposte devono quindi essere elaborate per adattarsi agli specifici contesti nazionali e istituzionali.
Mosca ha seminato il caos con mezzi asimmetrici attraverso la disinformazione, i cyberattacchi, la sovversione politica, i legami commerciali e la guerra economica, tra gli altri. L’approccio ha unito vecchio e nuovo, traendo insegnamento dall’uso delle strategie asimmetriche dell’era sovietica, ma amplificato dalla potenza della tecnologia e dei social media. Tali mezzi rappresentano uno sforzo coordinato a livello strategico per rimodellare la situazione interna – sia essa politica, economica o sociale – delle nazione bersaglio.