Che fretta c’era Meno male che arriva il carrozzone di Sanremo (e la conferenza stampa di Coletta)

Speriamo che il Festival sia pieno di vestiti bruttissimi, di canzoni che era meglio quella di mio cugino e di tutti quegli altri riti di cui nessuno dei mitomani di questo paese può fare a meno, in modo da distrarci dalle polemiche scialbe di questi mesi

LaPresse

Meno male che Sanremo c’è, almeno abbiamo un argomento di conversazione che non sia il gravissimo calo delle iscrizioni al liceo classico, le cui prefiche ci tengono a dirti che solo il classico ti apre la mente, costringendo il pubblico non pagante a censurarsi battute su menti così aperte che ne sono usciti tutti i neuroni.

Meno male che ad avere tedesco come prima lingua al linguistico siamo stati in quattordici in tutto il Novecento, non abbastanza da fare massa critica e far morire di noia il pubblico non pagante con le nostre lagne su come una volta che hai dovuto imparare decine di casi e le desinenze e quella minchia di neutro come vuoi che possa farti impressione la schwa.

Meno male che Sanremo c’è, almeno spazzerà via tutti gli altri temi di discussione e tutte le noie saranno sanremesi, e le noie sanremesi sono migliori delle altre noie: per quanto voialtri possiate bestemmiare alle polemiche su Zelensky, non saranno mai bestemmie vigorose quanto le mie quando sento gli appropriatori di cadavere dirci le certissime ragioni per cui una ragazzina s’è ammazzata.

Meno male che Sanremo c’è, e speriamo sia come sempre pieno di vestiti bruttissimi, e di canzoni che era meglio quella di mio cugino, e di aspiranti autori televisivi che dal loro divano spiegano ai professionisti cos’avrebbero dovuto fare per essere all’altezza della professione.

Men male che Sanremo c’è, e finirà stremantemente tardi tutte le sere, e noi sul divano sapremo con certezza che potevano andare più veloci, e gli autori retropalco riceveranno messaggi risentiti della cugina supplente che la mattina dopo si deve svegliare e del cognato notaio che voi non pensate alla gente che lavora, e borbotteranno oh ma io l’ultimo nero ce l’ho a mezzanotte e mezza che minchia volete da me, ma non lo metteranno per iscritto – un po’ perché devono lavorare e non hanno tempo per i messaggi; un po’ perché sanno che noialtri dilettanti della scaletta a casa non sappiamo che «nero» è l’interruzione pubblicitaria e come minimo li cataloghiamo come razzisti.

Meno male che Sanremo c’è, e soprattutto che la conferenza stampa di Sanremo c’è, e comincia già lunedì, e sarà come sempre il mio programma preferito dell’anno, e neanche quest’anno avrò le mensole perché il tizio che veniva a montarmele la settimana prossima poteva solo di mattina e no scusi la mattina c’è la conferenza stampa, al massimo può venire la sera mentre cantano ché a Sanremo le canzoni sono un di più.

Meno male che Sanremo c’è, e la conferenza stampa di Sanremo c’è, e la Rai e i suoi deliri ci sono, e anche se hanno eliminato i direttori di rete hanno fatto in modo che il personaggio più favoloso dello star system italiano, Stefano Coletta, ci sia sempre, in quanto responsabile delle prime serate: la conferenza stampa di Sanremo non sarebbe stata la conferenza di Sanremo, senza i cascami di liceo classico di Coletta (non so nulla della vita di Coletta ma non può non aver fatto il liceo classico, non deludetemi smentendomi).

Meno male che Sanremo c’è, perché sì, Fiorello va in onda tutti i giorni, ma di conferenza stampa di Viva Rai 2 ne hanno fatta solo una, e quindi dallo scorso Sanremo noialtre del ceto medio riflessivo, noialtre piccole fan di Coletta, abbiamo avuto un solo Coletta da delibare, e io vi confesso che il Coletta della conferenza stampa di Fiorello lo rivedo almeno una volta a settimana, e ormai so a memoria quei «Fiore, lo sappiamo tutti, ha un talento complessivo», «l’artista forse europeo, non voglio andare oltre l’Europa», «vi ricordate quando a scuola studiavamo il fanciullino di Pascoli». (Ora voi direte ma Fiorello va la mattina, che c’entra con la prima serata; ma la Rai sa che noi abbiamo bisogno di più Coletta in più conferenze stampa, e quindi l’ha fatto anche responsabile dell’intrattenimento: meno male che la Rai c’è).

Meno male che la settimana di Sanremo non mi attaccano neanche le mensole, non ho preso impegni, perché mi sa che oltre alla conferenza stampa e alle prime serate toccherà guardare pure Fiorello, che vuoi che sadicamente non svegli alle sette Amadeus che sarà andato a dormire alle quattro (un anno un tizio che conosco, tornando da Sanremo, si è addormentato alla guida: se l’è semimiracolosamente cavata, e quindi i neurologi continuano a non studiare la privazione del sonno sanremica e l’ostinazione dell’Inail a non farsi carico delle invalidità che quello specifico posto di lavoro procura).

Meno male che Sanremo c’è e c’è solo quello, anche se Mediaset fa finta di controprogrammare, cioè manda una serata di frattaglie avanzate da “C’è posta per te”, che non guarderà neanche la De Filippi stessa che essendo una persona di buonsenso quella sera guarda Sanremo (quella sera è il sabato in cui, se ho capito bene le polemiche, Zelensky canta Sapore di sale vestito Schiaparelli).

Meno male che Sanremo c’è e darà soddisfazione ed esposizione a tutti, alla deputata che dice che Rosa Chemical è diseducativa, a noialtre che ci sentiamo intelligenti a vantarci di non sapere chi diavolo sia Rosa Chemical, ai giovani che si sentono à la page a dire che Gino Paoli è boomer, al Moige o altra organizzazione parimenti inesistente che vuoi che non polemizzi quando scoprirà che la tal cantante in gara è anche testimonial del tal sponsor, ai trentenni che potranno illudersi d’essere cinquantenni nostalgici illudendosi che Paola e Chiara siano il loro “Anima mia”, ai giornalisti che si sentiranno Woodward e Bernstein facendo una domanda scomoda sulla serata delle cover, alle conduttrici cui nessuno ha chiesto di condurre che possono comunicare il loro rifiuto, ai mariti delle conduttrici effettive i quali faranno Cristiano Ronaldo in platea. A tutti. Sanremo, l’unico ascensore sociale che funzioni in questo derelitto paese. Meno male che c’è.