Caos regnanteLa miopia e i ritardi del governo Meloni nel contrasto alla siccità

Tra invasi, laghetti e un commissario straordinario dalla dubbia utilità, l’esecutivo è intenzionato ad adottare misure che cavalcano l’onda emotiva della crisi attuale e delle prospettive estive. Ora più che mai bisogna promuovere il riuso irriguo delle acque reflue, contrastare la cementificazione ed essere realisti sui dissalatori, perché l’emergenza non svanirà in autunno

LaPresse

Più di tre settimane fa, il 1° marzo, si è tenuto a Palazzo Chigi un incontro sulla crisi idrica presieduto da Giorgia Meloni. I temi sul tavolo sono stati essenzialmente quattro: l’istituzione di una cabina di regia per stilare un «piano idrico straordinario nazionale d’intesa con le Regioni e gli Enti territoriali per individuare le priorità di intervento»; una campagna di sensibilizzazione sull’uso responsabile dell’acqua; la nomina di un commissario straordinario con poteri esecutivi rispetto alle misure della cabina di regia; la pubblicazione di un provvedimento normativo urgente.

È passato quasi un mese, è iniziata la primavera, lo scorso weekend è cambiata l’ora ma ancora non c’è traccia – a livello governativo – di nessuna di queste novità. Tant’è che Regioni come il Veneto e il Friuli-Venezia Giulia stanno decidendo di procedere per conto proprio con ordinanze ad hoc, per prepararsi a un’estate che si preannuncia nefasta senza delle adeguate precipitazioni primaverili. 

Da parte dell’esecutivo è un segnale di forte sottovalutazione di problema che non è più di natura emergenziale, ma cronico, sistemico e aggravato dalla crisi climatica, come conferma questo studio condotto da due ricercatori del Centre national de la recherche scientifique (Cnrs). Una crisi climatica che, come sottolinea l’ultimo e spaventoso report dell’Ipcc, è «inequivocabilmente» causata dalle attività antropiche.

Quando a Roma si parla di siccità – che sta minacciando il diciotto per cento del Pil nazionale – il livello del dibattito tocca spesso livelli come quelli raggiunti il 22 marzo alla Camera, durante le comunicazioni in vista del Consiglio europeo del 23 e 24 marzo. Il co-portavoce di Europa Verde, Angelo Bonelli, che mostra in Aula dei sassi presi da un annaspante fiume Adige e la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, che replica dicendo di non essere Mosè, scaricando la colpa sui governi precedenti. Non è stato uno spettacolo degno di una crisi complessa (anche a livello di ripartizione delle competenze tra ministeri) che va affrontata al contempo con urgenza e prospettiva, senza limitarsi a risposte contingenti e di breve periodo. 

Tra queste c’è l’istituzione dell’ennesimo commissario straordinario, deputato (teoricamente) a superare gli scogli burocratici che ritardano gli interventi necessari a contenere l’emergenza. Qualcosa pare si stia muovendo: la riunione del 21 marzo dovrebbe aver sbloccato l’immobilismo delle ultime settimane, e nel consiglio dei ministri di martedì 28 marzo potrebbe essere votato il decreto che – tra le altre cose – stabilirà il nome di quello che non va concepito come una specie di salvatore della patria. Tuttavia, secondo il Giornale, al momento non c’è ancora traccia della bozza del decreto: potrebbe esserci l’ennesimo rinvio. 

«Il nome è l’ultimo dei problemi, perché può essere tizio o può essere caio. Deve però avere a disposizione normative più snelle, personale numericamente plausibile per progettare, appaltare e mettere a terra tutti gli investimenti», ha detto Matteo Salvini, perfettamente consapevole che il “super commissario” potrebbe proprio essere lui

«L’unica decisione certa è quella del decreto che verrà portato in consiglio dei ministri probabilmente la prossima settimana (questa settimana, ndr): ci saranno delle semplificazioni importanti. Per quanto riguarda il commissario, ancora non si è deciso nulla: potrebbe essere un’unica persona o potrebbero esserci più commissari ad acta per qualche opera», ha spiegato Vanna Gava, viceministra dell’Ambiente e della Sicurezza energetica. 

Il commissario potrà intervenire sui territori considerati a rischio elevato e potrà sbloccare interventi di breve periodo: dallo sfangamento e lo sghiaiamento degli invasi di raccolta delle acque all’aumento della capacità degli stessi, passando per misure sulla gestione delle acque reflue. Sarà poi questa figura ad avere un ruolo di mediazione tra Regioni e Comuni in caso di conflitti sulla gestione della risorsa idrica. Le parole chiave sono: uniformare e sburocratizzare. 

Il commissario alla siccità avrà un incarico rinnovabile che inizialmente scadrà il 31 dicembre 2023, e il perimetro delle sue competenze risulterà molto circostanziato. Anche per questo, diversi esponenti dell’opposizione si sono espressi in modo contrario in merito alla sua nomina. 

«I cambiamenti climatici ci impongono uno sguardo lungimirante sul futuro da troppo tempo rivolto altrove. Fingere un interesse sul tema oggi, annunciando nomine che nel corso dell’anno potranno servire a qualcosa solo se capaci di far piovere, è l’ennesimo atto di spregio nei confronti dei cittadini che vorrebbero una politica finalmente capace di risolvere i problemi davvero», ha scritto Mariella Moccia, segretaria provinciale del Partito democratico a Vercelli, una delle zone più colpite dalla siccità. 

Sulla stessa linea è anche il deputato Angelo Bonelli, co-portavoce di Europa Verde: «Quello che il governo Meloni ha partorito finora sulla siccità è il nulla, ed è francamente imbarazzante. Non abbiamo bisogno di commissari straordinari, ma di un cambiamento delle politiche ambientali del Paese. Le politiche del governo Meloni, in continuità con i governi passati, sono le responsabili delle situazioni che stiamo vivendo». 

Dall’esecutivo di Meloni mancano risposte adeguate e integrate in tema di dispersione idrica: secondo l’Istat perdiamo il quarantadue per cento dell’acqua immessa nella rete di distribuzione. Per affrontare il problema servono tecniche e strategie per riparare rapidamente le perdite, migliorare le infrastrutture e sfruttare le nuove tecnologie, come i sensori intelligenti, i sistemi di monitoraggio remoto e le valvole di chiusura automatiche.

In Italia, però, c’è un gap di investimenti sul “sistema acqua” che, secondo la Società italiana di medicina ambientale (Sima), necessiterebbe di dodici miliardi di euro entro il 2030 per essere colmato. Senza contare i sei miliardi annui per la manutenzione della rete idrica e la depurazione. In media, l’Italia investe sulla rete idrica il cinquanta per cento delle risorse economiche in meno rispetto alla media europea. Il ministro dell’Agricoltura, Francesco Lollobrigida, e il ministro delle Politiche del mare, Nello Musumeci, hanno più volte menzionato i dissalatori, ma senza mai presentare misure concrete.

Il decreto siccità dovrebbe sbloccare 7,8 miliardi di euro per permettere all’esecutivo di intervenire subito per mitigare l’emergenza. La somma sarebbe già disponibile ma, secondo Lollobrigida, è rimasta bloccata «a causa della burocrazia». Si tratta di una cifra elevata ma che potrebbe comunque risultare insufficiente, considerando la gravità e la pervasività della crisi. 

Stando alle parole di Matteo Salvini, ministro dei Trasporti e delle Infrastrutture, le priorità del decreto saranno una ventina di progetti di invasi e tre miliardi per il “piano laghetti”, un progetto di cui si discute dall’autunno del 2021 che concerne la creazione di migliaia di invasi artificiali in cui dovrebbe accumularsi l’acqua necessaria per le irrigazioni nei periodi di forte carenza idrica. 

Il piano prevede la realizzazione di circa diecimila invasi medio-piccoli e multifunzionali (servirebbero anche per installare pannelli solari galleggianti e contenere le eventuali piene dei canali) entro il 2030, ma – stando ai dati del luglio 2022 – sono solo 223 i progetti ad aver ricevuto il via libera per la costruzione. 

In più, secondo Centro italiano per la riqualificazione fluviale e il Wwf, gli invasi presentano diverse criticità: rischiano di aggravare il bilancio idrico delle falde e degli ecosistemi, di compromettere gli habitat naturali e di non portare i risultati sperati a causa dell’evaporazione dell’acqua raccolta. Anche Legambiente ritiene che la costruzione di invasi sia una risposta poco efficace e fornita sull’onda emotiva dell’emergenza.

«Nessuna opposizione ideologica, ma sono una soluzione che ha molte controindicazioni, per cui è semplicemente scriteriato affidarsi esclusivamente ad essi. Occorre mettere in campo una strategia nazionale integrata e a livello di bacini idrografici, allargando e ampliando il ventaglio delle soluzioni tecniche praticabili attraverso la realizzazione di nuove e moderne pratiche e misure per ridurre la domanda di acqua ed evitarne gli sprechi», ha scritto l’associazione in un appello del luglio 2022. 

In un mondo ideale, il governo dovrebbe poi promuovere il riuso in ambito irriguo delle acque reflue; incentivare le coltivazioni fondate sul risparmio idrico; puntare sullo stoccaggio delle acque piovane nel sottosuolo o in cisterne; fare pressione sulle Regioni e i Comuni affinché approvino ordinanze per ridurre i prelievi idrici. Ultima, ma non meno importante, l’approvazione di una legge sul consumo di ruolo, in grado di sbloccare gli interventi necessari per ridurre la cementificazione (incompatibile con le esigenze di un pianeta che soffoca) e fornire più acqua alle falde. I membri dell’esecutivo, però, sembrano avere altre (miopi) priorità.