Le uniche cose certe, in Italia, sono la morte, le tasse e la promessa di costruire il ponte sullo Stretto di Messina. L’ipotesi di un attraversamento stabile di questo tratto di mare era stata avanzata già con l’Unità d’Italia, ma è soprattutto nel secondo dopoguerra che ritorna nel dibattito sull’ammodernamento e sul rilancio del Sud Italia.
Il percorso di progettazione inizia ufficialmente nel 1969, quando prendono il via i primi studi di fattibilità, e si trascina tra stop e riprese fino allo scorso giovedì 16 marzo, quando il consiglio dei Ministri ha approvato un nuovo decreto Ponte. Il ministro delle Infrastrutture, Matteo Salvini, in un tweet ha manifestato soddisfazione e ha parlato di «un’infrastruttura che ha l’ambizione di diventare la più moderna e sostenibile al mondo e che porterà lavoro, sviluppo e futuro».
Nello specifico, il decreto approvato ricostituisce la società Stretto di Messina SPA, nata nel 1981 per realizzare l’opera e poi messa in liquidazione nel 2013. Secondo il ministro delle Infrastrutture, il progetto esecutivo del ponte sullo Stretto dovrebbe essere presentato e approvato entro la fine di luglio 2024, poi dovrebbero iniziare i lavori. Almeno, in teoria: il percorso progettuale si preannuncia in realtà più lungo e complesso.
Ci sono varie questioni che rendono da sempre l’idea di un ponte sullo Stretto particolarmente dibattuta e controversa: il costo elevato (più di otto miliardi), l’effettiva necessità e priorità dell’opera, le reali ricadute sociali ed economiche, le notevoli complessità tecniche, il rischio di corruzione e infiltrazioni mafiose e il fatto che l’area ha un elevato rischio sismico.
Ultime ma non meno importanti, le criticità per l’ambiente. «L’opera ricade in un’area particolarmente fragile dal punto di vista ecosistemico, in cui ci sono parecchie interferenze naturalistiche, geologiche, ambientali e paesaggistiche», conferma Aurelio Angelini, professore ordinario di Sociologia dell’Ambiente e del Territorio all’Università Kore di Enna e autore del libro “Il mitico ponte sullo Stretto di Messina – Da Lucio Cecilio Metello ai giorni nostri: la storia, la cultura, l’ambiente” (FrancoAngeli).
Il ponte sullo Stretto: un’opera sostenibile?
Partiamo da una premessa: non è possibile dire già oggi né in termini assoluti se il progetto del ponte sullo Stretto sarà sostenibile dal punto di vista ambientale. Per accertarlo esiste una procedura apposita, la Valutazione dell’impatto ambientale (VIA), il cui scopo è l’analisi preventiva dell’insieme degli effetti di un’opera nei confronti dell’ambiente geofisico, della salute, del benessere umano e animale, del patrimonio culturale, dell’ecosistema, eccetera.
«Il fine è identificare le misure per la prevenzione, eliminare o rendere minimi gli impatti negativi prima che questi si verifichino», spiega Angelini. «La valutazione d’impatto è sostanziata dalla cosiddetta Opzione Zero, prevista dalla normativa, cioè l’alternativa che prevede la non realizzazione di un’opera. L’Opzione Zero costringe a ribaltare completamente la prospettiva e a valutare le possibili alternative al progetto presentato, compresa l’ipotesi della non realizzazione. Assieme alle alternative, per trasparenza e chiarezza devono essere indicate anche le ragioni della scelta effettuata», aggiunge l’esperto.
Il decreto Ponte del 16 marzo è stato approvato «salvo intese»: significa che il progetto definitivo non è ancora disponibile. Al momento non si può ancora fare una pre-valutazione dei possibili impatti. L’idea del governo Meloni, però, è quella di ripartire dal progetto definitivo del ponte del 2012, che nel marzo 2013 era già stato considerato “invalutabile” dalla commissione VIA-VAS per le tante carenze contenute e un’incidenza negativa sui sistemi naturali. «La strada non è in discesa. Nel progetto dal quale si intende ripartire erano già state evidenziate numerose criticità a cui dare una risposta per ottenere il via libera sotto il profilo ambientale, posto che rimane come un macigno il richiamo della corte dei Conti sull’impatto economico dell’opera e sul rapporto costi-benefici», commenta.
La posizione delle associazioni ambientaliste
Nel 2021, Legambiente, Wwf e Kyoto Club hanno espresso contrarietà al progetto del ponte, definendolo – tra le altre cose – dannoso per l’ambiente. Il parere faceva parte del commento alla relazione del gruppo di lavoro istituito nel 2020 dal ministero delle Infrastrutture e della Mobilità sostenibile allo scopo, appunto, di analizzare la fattibilità dell’opera e le possibili alternative. Oltre a definire tale relazione carente e «irricevibile», le tre associazioni si erano schierate a favore del miglioramento e del potenziamento dei servizi di traghettamento esistenti e, in generale, del sistema infrastrutturale e logistico della zona.
In seguito alla recente approvazione del decreto Ponte, il Wwf si è espresso nuovamente sulla questione ribadendo che si tratta di «un’opera dagli elevatissimi e insostenibili costi ambientali». L’associazione FareAmbiente, invece, è di parere diverso: il suo presidente Vincenzo Pepe ha dichiarato in un’intervista che il ponte «ridurrebbe drasticamente le emissioni di CO2».
Emissioni e tempi di percorrenza: un calcolo incerto
Non è immediato capire a quanto ammonterebbe effettivamente questo risparmio di CO2, sia perché manca il nuovo progetto definitivo dell’opera sia perché i fattori da considerare sono diversi e i dati a disposizione eterogenei. Sicuramente i traghetti hanno un’impronta carbonica elevata e questo è un tema su cui, come sta già accadendo, bisognerà comunque intervenire in un’ottica di decarbonizzazione dei trasporti.
Secondo uno studio, i traghetti rappresentano circa il tre per cento di tutte le imbarcazioni che toccano i porti dell’Area Economica Europea, ma nel 2018 sono stati responsabili del dieci per cento delle emissioni di CO2 di tutte le navi prese in esame. I fattori che determinano queste emissioni sono variabili: giocano un ruolo determinante le dimensioni e l’età dell’imbarcazione, il sistema di propulsione e altre caratteristiche come numero di veicoli, cabine e servizi per i passeggeri.
Come riporta La Stampa, ogni anno lo Stretto di Messina è attraversato da oltre dieci milioni di persone, una parte delle quali è a bordo di un milione e ottocentomila autovetture e quattrocentomila mezzi pesanti. Il 76,2 per cento dei passeggeri viaggia senza auto al seguito. Per trasportare queste persone e questi mezzi servono circa centomila corse tra traghetti, navi ferroviarie e aliscafi. Attualmente ci sono cinque compagnie che operano nello Stretto con servizio passeggeri e auto al seguito o treno. Le tratte sono Messina-Reggio Calabria, Messina-Villa San Giovanni e Tremestieri-Villa San Giovanni; le partenze avvengono indicativamente ogni quaranta-sessanta minuti.
Se il ponte venisse realizzato, presumibilmente il numero di corse via mare calerebbe. Ma di quanto? Anche in questo caso ci sono più fattori da considerare. Tra le soluzioni più accreditate per la realizzazione dell’opera, infatti, c’è il ponte sospeso a campata unica di tre chilometri, che però andrebbe posizionato nel punto meno esteso dello stretto, abbastanza lontano sia da Reggio Calabria che da Messina: i tempi di percorrenza a quel punto non sarebbero competitivi con la più breve traversata in traghetto (circa trenta minuti). Inoltre, il ponte così realizzato non sarebbe presumibilmente utilizzabile nelle giornate di forte vento, perché molto flessibile. Il trasporto navale, dunque, in qualche misura dovrebbe rimanere.
«Il ponte che si vuole realizzare dovrebbe avere due torri da quasi quattrocento metri su cui appoggiare una campata sospesa di 3.666 metri», aggiunge Angelini. «Avrebbe una “luce” di circa settanta metri che, secondo Federlogistica, non permetterebbe l’attraversamento dello Stretto di gran parte delle grandi navi che solcano il Mediterraneo. È un’altezza che implica, inoltre, un lungo percorso per realizzare i collegamenti stradali all’aperto e in galleria, per ventiquattro chilometri complessivi sulle due contrapposte sponde dello Stretto di Messina, nonché raccordi ferroviari all’aperto e in galleria, per 36,5 chilometri complessivi sui due versanti».
L’impatto sulla biodiversità
Molte preoccupazioni ambientaliste legate alla realizzazione del ponte sullo Stretto sono dovute alla delicatezza dell’area dal punto di vista naturalistico. Qui ci sono, infatti, due Zone di Protezione Speciale e undici Zone Speciali di Conservazione, ossia aree caratterizzate da ecosistemi fragili, con un’elevata concentrazione di biodiversità o importanti per il transito di mammiferi marini e avifauna.
Nel 2005, tra l’altro, l’Unione europea aveva annunciato l’avvio di una procedura di infrazione nei confronti dell’Italia perché lo studio sull’impatto ambientale del ponte non era stato effettuato correttamente, mancando in particolare misure idonee per la salvaguardia degli uccelli.
«L’ecosistema dell’area vasta dello Stretto verrebbe interessata, direttamente o indirettamente, dalla costruzione del ponte, con il conseguente annichilimento della biodiversità che ci alimenta. Noi dipendiamo dall’economia della natura e oggi Oïkos è sempre meno in grado di supportare Bios. Non possiamo continuare a segare il ramo su cui siamo seduti, perché prima o poi precipiteremo», commenta Angelini.
Priorità di interventi e alternative
Il ponte sullo Stretto è stato più volte definito «un’astronave nel deserto». Anche ammettendo di collegare la Sicilia alla terraferma, sia l’isola che la Calabria sono caratterizzate da una grave e cronica carenza di infrastrutture rispetto al resto del Paese.
Chi è contrario o scettico nei confronti del progetto del ponte, quindi, ritiene che ci siano altri interventi prioritari in quest’area e che sia più vantaggioso, oltre che urgente, migliorare i sistemi di trasporto già esistenti, anche favorendo gli investimenti per decarbonizzare il trasporto marittimo. Anche Legambiente, nel 2022, aveva proposto un pacchetto di proposte alternative al ponte, il cui obiettivo era di fatto migliorare, ampliare e ammodernare le linee ferroviarie e il trasporto via mare, così da rendere gli spostamenti più rapidi e semplici.
Queste e altre proposte simili vanno tra l’altro nella direzione già indicata dal Green deal europeo. Tra le azioni previste per azzerare le emissioni entro il 2050, infatti, c’è anche il trasportare le merci usando sempre meno camion e tir e sempre più navi e treni. Anche il Piano per la transizione ecologica italiano prevede un taglio del sessanta per cento del parco autoveicoli nei prossimi decenni. Il progetto di costruire un ponte sullo Stretto, pensato soprattutto per tir e auto, sembra andare invece nel verso opposto rispetto a questa auspicabile trasformazione del sistema dei trasporti.
«Quando il ponte è diventato un’idea, in Sicilia c’erano solo due aeroporti. Oggi sono sei e quello di Catania è il terzo per movimento di persone a livello nazionale», conclude Angelini. «I treni a lunga percorrenza dalla Sicilia erano numerosi, mentre oggi quelli che attraversano lo Stretto sono due al giorno. Il porto di Messina, inoltre, ha meno traffico di merci di quello di Palermo, Catania e Augusta. Molti pensano al Ponte ancora con la testa dell’Ottocento, con la mentalità di chi attraverso la continuità fisica voleva realizzare l’Unità d’Italia, rilanciare l’economia e far funzionare bene l’amministrazione, cosa che oggi si realizza più che altro con reti e sistemi informatici adeguati e non contenitori per gli uffici amministrativi».