Poco più di dodici mesi fa, Emmanuel Macron e Mario Draghi firmavano il trattato del Quirinale, un accordo tra Francia e Italia che formalizza in dodici punti la cooperazione tra i due Paesi. A distanza di un anno, una caduta di un governo, le elezioni legislative in Italia e in Francia, un presidente rieletto e un nuova premier in carica a Palazzo Chigi, il trattato del Quirinale è entrato in vigore il primo febbraio, ma è rimasto come cristallizzato e anzi, ad oggi sembra servire a poco.
E in questa partita tra Italia e Francia, la Spagna ha giocato la sua carta. Il 19 gennaio scorso il governo di Pedro Sanchez ha firmato un accordo di cooperazione con Parigi: il trattato di Barcellona. Non solo Madrid vuole rafforzare le relazioni bilaterali con l’Esagono, ma soprattutto intende fare leva su un partner pesante per aumentare la sua influenza nell’Unione europea. Il governo di Macron, invece, punta a solidificare i rapporti con i Paesi mediterranei dell’Ue, Italia e Spagna, per primeggiare sul piano europeo.
In realtà, Parigi e Madrid si erano trovate in disaccordo negli ultimi mesi sull’approvvigionamento di gas e di elettricità attraverso i Pirenei. Soltanto una volta raggiunto l’accordo sul gasdotto di idrogeno verde H2Med, che collegherà Barcellona a Marsiglia, Sanchez ha potuto tornare alla carica ottenendo quell’alleanza con la Francia che cercava dal 2019.
Dalla sfera culturale, economica, universitaria, al coordinamento giudiziario, a riunioni periodiche del Consiglio dei ministri alla presenza di omologhi dell’altro Paese e la creazione della figura di un diplomatico di collegamento nei rispettivi ministeri degli Affari esteri, i punti di cooperazione tra i due Stati sono molto simili a quelli descritti nel Trattato del Quirinale. La Spagna sembra così rivendicare un atteggiamento da protagonista.
Il rapporto prioritario, tra Francia e Italia, era stato voluto inizialmente da Macron, racconta a Linkiesta il professor Marc Lazar, esperto in storia e sociologia politica dell’Italia dopo il 1945, professore Sciences Po e all’Università Luiss di Roma, oltre che professore all’Università Luiss di Roma. «A conti fatti, il Trattato è stato celebrato in pompa magna al Quirinale e ha visto protagonisti i presidenti, firmare, stringersi la mano e posare per i ritratti istituzionali. Le frecce tricolori hanno sorvolato Roma e tutti i media italiani ne hanno parlato. Cosa che in Francia non è avvenuta», spiega Lazar.
«Parigi ha accordato grande importanza a questo Trattato, ma la priorità non è l’Italia – continua il professore –. Lo è invece sempre stata e rimasta la Germania e ciò è stato chiaramente mal visto e mal vissuto dal governo, ma specialmente dall’opposizione di allora, oggi ai vertici di Palazzo Chigi».
Ciò che è certo è che l’accordo è nato in un clima di opinioni pubbliche divergenti. Il tutto effettivamente complicato dal risultato delle elezioni in Italia del 25 settembre scorso: è evidente che Meloni e Macron non vanno d’amore e d’accordo.
Gli incidenti tra Italia e Francia, così come le incomprensioni, non sono mancati negli ultimi mesi, prima sul fronte migranti e la questione della Ocean Viking, poi sul mancato invito di Meloni all’Eliseo da parte di Macron, per una cena con il presidente ucraino Volodymyr Zelensky e il cancelliere tedesco Olaf Scholz.
A distanza di un anno, un accordo istituzionale studiato proprio per sviluppare e maturare le relazioni sembra servire a poco. Prima dell’entrata in vigore del trattato, l’attuale premier Meloni aveva affermato di saper poco o nulla dell’operatività della cooperazione e che per lei i contorni dell’accordo non erano ancora chiarissimi e che non aveva avuto modo di approfondirlo.
In questo clima di tensioni, si rischia che il patto bilaterale franco-italiano funzioni ai minimi e venga velocemente sorpassato da quello franco-spagnolo.
Ma mentre opposizioni, politici e media scalpitano per le divergenze tra Macron e Meloni e per le scaramucce diplomatiche quotidiane, «diversi ministeri francesi e italiani si stanno rimboccando le maniche per avviare cooperazioni strette e collaborare efficacemente», ci tiene a sottolineare Lazar. «I ministri dell’Agricoltura, Francesco Lollobrigida e Marc Fesneau, lavorano insieme per una cooperazione transfrontaliera, così come quelli della Difesa, Guifo Crosetto e Sébastien Lecornu, la cooperazione transfrontaliere è ottima e c’è il progetto di creare un servizio civile francoitaliano, che consenta ai giovani di fare volontariato in uno dei due Paesi».
Recentemente il ministro per il Turismo Daniele Santanché ha visitato le fiere Thermalies e Maison et Objet di Parigi, dove erano presenti anche aziende italiane, e ha incontrato il suo corrispettivo francese Jean-Baptiste Lemoyne. Si è anche svolta la prima riunione del Forum di Consultazione ministeriale tra Italia e Francia, ed è stata anche redatta una dichiarazione congiunta tra il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, e il ministro dell’Economia, delle Finanze e della Sovranità industriale e digitale francese Bruno Le Maire. Infine, le relazioni culturali tra i due Paesi vanno a gonfie vele, e le cooperazioni tra università, licei, sezioni Esabac e corsi italo-francesi sono sempre più in voga.
«Ciò che è certo – ribadisce Lazar – è che per ragioni di politica interna i due leader giocano in squadre avverse: l’opposizione francese di sinistra considera Meloni una fascista e non può permettere che il presidente della Repubblica lavori con lei. Anche perché Madame Le Pen ha già storto il naso: perché dovreste accogliere una “fascista” e trattare male me?»
Allo stesso tempo, anche la premier italiana vuole tenere in considerazione quel trentotto per cento dei suoi elettori che due anni fa, in un sondaggio condotto dal professore, aveva dichiarato di non simpatizzare per i francesi. Ma l’intenzione non è quella di creare ulteriori fratture: «Francia e Italia condividono interessi comuni per la rinegoziazione del Trattato di Maastricht e per il Patto di stabilità europeo; parteggiano entrambe per un’Ucraina libera e in pace, sono favorevoli alla difesa comune europea, e a favore di stabilire dei tetti ai prezzi dell’energia».
Non ci sarà la stessa complicità e fiducia che esisteva tra Macron e Draghi, certo, ma come si dice in francese, e per chiudere l’intervista, Lazar torna alla sua lingua madre: «nécessité fait loi» («La necessità è la madre dell’invenzione»).