L’India sta preparando la sua moneta, la rupia, a giocare un ruolo sui mercati internazionali simile a quello dello yuan. Pur essendo parte importante nel gruppo dei Paesi Brics, l’India non vede di buon occhio l’espansione cinese in Asia e non intende essere trainata dall’attivismo di Pechino. Pensare, però, di giocare l’India contro la Cina, a nostro avviso, sarebbe la solita politica miope e perdente.
La riflessione indiana parte dall’energia, come riportato anche da un documento dell’Istituto Gateway House, un centro studi di Mumbai. Si afferma che negli ultimi due decenni lo scenario energetico globale è cambiato a livello di domanda, offerta e prodotti energetici.
L’unica costante è stata il dollaro americano come valuta usata nel commercio di energia. Ultimamente lo yuan cinese è emerso per sfidare il dollaro e Nuova Delhi adesso si chiede se la rupia indiana possa essere un terzo giocatore. Una petro rupia?
Com’è noto, l’India è il terzo consumatore mondiale e il secondo importatore di energia. Gli indiani lamentano che il commercio mondiale di petrolio e di gas si svolga quasi interamente in dollari sulle borse occidentali e con prezzi che non rappresentano la domanda reale.
Una serie di fattori politici, economici e finanziari stanno creando un nuovo equilibrio nell’ordine e nella finanza globali. Uno di questi è il cambiamento nella bilancia del commercio energetico.
Mentre negli Usa, in Europa e in Giappone il consumo di petrolio sta diminuendo o si sta stabilizzando, in India, con la sua economia in crescita, il consumo energetico aumenta. Si prevede, infatti, che il fabbisogno passerà dagli attuali quattro milioni di barili al giorno ai dieci milioni entro il 2040.
Viene anche fatto notare che i due benchmark petroliferi globali, il Wti e il Brent, sono datati e che spesso sono anche manipolati. Oggi i due maggiori importatori, Cina e India, fanno riferimento a produttori e mercati totalmente diversi. È implicito che il nuovo orientamento vada a intaccare antiche posizioni di privilegio occidentale o, meglio, del vecchio colonialismo.
L’India sostiene che la crisi finanziaria del 2008 abbia messo in discussione il ruolo del dollaro come moneta unica globale e che la sua instabilità avrebbe fatto raddoppiare il debito degli Usa, inducendo Washington a una ritirata dai processi di globalizzazione. Si rileva che le sanzioni unilaterali e motivate geopoliticamente avrebbero suscitato forti risentimenti nei confronti del potere americano.
Secondo lo studio succitato, il processo dell’Unione europea e dell’euro, che si sarebbe accontentato di controllare il venti per cento degli scambi monetari e commerciali e delle riserve mondiali, si è fermato.
Di conseguenza, l’India, come la Cina prima, vede l’opportunità per più di una valuta di svolgere un ruolo internazionale importante: New Delhi è consapevole che sui due mercati principali, quello di New York e quello di Londra, la stragrande maggioranza delle operazioni finanziarie future e altri derivati riguardanti l’energia sia di carattere puramente speculativo.
I contratti futuri sono almeno dieci volte il volume del petrolio realmente trattato. Secondo gli esperti indiani anche sul mercato di Shanghai, creato nel 2018, dominerebbe incontrastata la speculazione finanziaria.
Inoltre, Nuova Delhi vede che la Cina, attraverso l’Asian infrastructure development bank e la Belt and road iniziative (la nuova Via della seta) starebbe penetrando in molti Paesi dell’Asia, nell’Oceano Indiano e in altri continenti.
Con lo yuan vorrebbe anche influenzare l’architettura finanziaria globale: un processo che pone dei problemi, ma che offre anche delle nuove opportunità per l’India.
Da qui nasce l’azione per l’internazionalizzazione della rupia attraverso la creazione di un hub per un nuovo mercato internazionale del petrolio e del gas, eventualmente collegato alle borse di Mumbai. Così il governo indiano potrebbe far sentire il suo peso sulla formazione dei prezzi dell’energia.
È un processo in grande movimento. Recentemente, la Reserve Bank of India ha autorizzato alcune banche indiane a operare in rupie in sessanta contratti commerciali che coinvolgono diciotto Stati, tra cui la Gran Bretagna e la Germania.
Con la Malesia detto meccanismo è già a uno stadio più avanzato. Al prossimo summit del G20 di Nuova Delhi, sotto la presidenza indiana, saranno annunciati nuovi passi verso l’internazionalizzazione della rupia.
L’Europa non può rimanere indifferente ai mutamenti dello scenario globale e dovrebbe relazionarsi meglio anche con la nuova emergente superpotenza economica e politica indiana.