Unfit to leadLe ripicche anti-antifasciste di Meloni dimostrano che i Fratelli d’Italia, purtroppo, non sono ancora cresciuti

Qual è il senso di tante ritorsioni polemiche, se non il desiderio, appena camuffato dietro il solito atteggiamento passivo-aggressivo, di arrivare a una sorta di pari e patta, a una sostanziale equiparazione dei torti degli uni e degli altri?

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Se Giorgia Meloni avesse davvero voluto mettere fine a ogni polemica sul 25 aprile, non avrebbe avuto bisogno di occupare un’intera pagina del Corriere della Sera, come ha fatto ieri, infliggendo ai lettori una lettera di ben ottomilasettecentonove caratteri, spazi inclusi. Gliene sarebbero bastati ottantacinque: «Mi riconosco pienamente nei valori antifascisti della Resistenza e della Costituzione». Una riga e mezzo, neanche due.

Non lo ha fatto. Ha preferito usare mille altre circonlocuzioni, la più forte delle quali è la seguente: «Da molti anni infatti, e come ogni osservatore onesto riconosce, i partiti che rappresentano la destra in Parlamento hanno dichiarato la loro incompatibilità con qualsiasi nostalgia del fascismo». Accipicchia.

La scelta è tanto più significativa in quanto giusto domenica scorsa Gianfranco Fini aveva invitato Meloni a dichiarare pubblicamente «che libertà, giustizia sociale, uguaglianza sono valori democratici, sono i valori della Costituzione, sono valori antifascisti». E aveva anche aggiunto: «Non capisco la ritrosia nel pronunciare questo aggettivo… o meglio, la capisco ma non la giustifico». A due giorni di distanza, dopo un invito così esplicito, è difficile credere sia una coincidenza se nel lungo articolo della presidente del Consiglio si trovano le parole «antidoto» e «anti ebraiche», ma non «antifascismo» (né il sostantivo, né l’aggettivo). Come conferma il fatto che nei due giorni precedenti all’invito di Fini non abbia voluto rispondere in alcun modo, facendo finta di non sentire.

Eccettuato l’antifascismo, però, la presidente del Consiglio ha avvertito il bisogno di metterci un sacco di altre cose, nel suo articolo. E anche questo è significativo. Nel suo lungo testo c’è infatti il riferimento alle violenze e agli episodi di giustizia sommaria accaduti dopo il 25 aprile; c’è il riferimento alle foibe e all’esodo degli italiani da Istria, Fiume e Dalmazia; c’è il riferimento al fatto che la costruzione di una democrazia liberale era un esito «non unanimemente auspicato da tutte le componenti della Resistenza»; c’è il riferimento all’uso strumentale dell’antifascismo come arma di lotta politica nel dopoguerra e agli episodi di intolleranza nei cortei del 25 aprile, come le aggressioni alla brigata ebraica; c’è il riferimento alla risoluzione votata dal Parlamento europeo nel 2019 «contro tutti i totalitarismi» (che la sinistra non ha votato).

Qual è il senso di questo interminabile elenco di doglianze, tutte direttamente o indirettamente mirate a sottolineare le malefatte degli antifascisti (in particolare dei comunisti), se non l’ovvio desiderio, appena camuffato dietro il solito atteggiamento passivo-aggressivo, di arrivare a una sorta di pari e patta, a una sostanziale equiparazione dei torti degli uni e degli altri?

Il vero obiettivo di questa retorica non mi sembra infatti difendere il fascismo, che è indifendibile, quanto piuttosto trascinare allo stesso livello anche l’antifascismo. In pratica, non avendo più il coraggio, la forza o la reale convinzione per sostenere che il fascismo fosse cosa buona, si fa l’elenco di tutte le cose brutte fatte, dette o pensate dagli antifascisti.

Discutere ciascuna di tali affermazioni sarebbe ovviamente ozioso. Personalmente, non ho difficoltà a darle anche tutte per buone, non ha nessuna importanza. Quello che è significativo è il riflesso che impone ai fascisti di ieri, che non si dicono più fascisti oggi, ma nemmeno antifascisti, di continuare a combattere gli antifascisti, di ieri e di oggi, con i soliti frusti argomenti.

Il 25 aprile è la Festa della Liberazione. Voi, quando andate alla festa di compleanno di qualcuno, fate per caso gli auguri a tutti gli altri presenti, per i loro compleanni passati o futuri? Quando andate a un funerale fate forse le condoglianze ai famigliari di altri defunti, morti mesi o anni prima? Per quale ragione, dunque, il 25 aprile dovremmo onorare la memoria di Jan Palach, eroe della resistenza antisovietica in Cecoslovacchia, che nel 1945 non era neanche nato, come ha provocatoriamente scelto di fare il nostro presidente del Senato, Ignazio La Russa, seconda carica dello Stato (per tacere di tutte le sue provocazioni precedenti)? Per quale motivo la nostra Presidente del Consiglio deve sottoporci il lungo elenco di tutte le piccole e grandi nefandezze commesse dagli antifascisti, o da una parte di loro, nel giorno in cui sarebbe chiamata a celebrarli?

Sono ripicche infantili, indegne di una discussione tra persone adulte, che dimostrano solo una cosa: che i Fratelli d’Italia non sono ancora cresciuti. Sono numeri da avanspettacolo, che ricordano celebri personaggi dei fratelli Guzzanti, come la ragazza che a ogni obiezione, quando non sapeva come uscirne, gridava: «E allora le Foibe?».

In compenso, nella conclusione del suo articolo, Meloni fa un parallelo estremamente pertinente tra l’attualità dei valori della resistenza italiana e l’eroica resistenza ucraina. Un parallelo che poggia sulla base di un’analisi totalmente condivisibile, che voglio citare per esteso.

«In tutto il mondo – scrive Meloni – le autocrazie cercano di guadagnare campo sulle democrazie e si fanno sempre più aggressive e minacciose, e il rischio di una saldatura che porti a sovvertire l’ordine internazionale che le democrazie liberali hanno indirizzato e costruito dopo la fine del secondo conflitto mondiale e la dissoluzione dell’Unione Sovietica è purtroppo reale. In questo nuovo bipolarismo l’Italia la sua scelta di campo l’ha fatta, ed è una scelta netta. Stiamo dalla parte della libertà e della democrazia, senza se e senza ma, e questo è il modo migliore per attualizzare il messaggio del 25 Aprile. Perché con l’invasione russa dell’Ucraina la nostra libertà è tornata concretamente in pericolo».

Analisi perfetta: questo è infatti il nuovo bipolarismo mondiale, in cui l’Italia ha fatto la sua giusta scelta di campo, dalla parte della democrazia e della libertà.

Sarebbe chiedere troppo, dunque, invitare Meloni a chiarire per quale motivo fino a ieri, quando la Russia di Vladimir Putin invadeva la Crimea, lei non solo si guardava bene dal fare la stessa scelta di campo, ma al contrario si batteva per togliere le sanzioni europee a Mosca, con gli stessi argomenti di Matteo Salvini e della Lega, ma anche di Marine Le Pen in Francia e di tutte le formazioni di estrema destra del mondo?

Proprio perché oggi il fascismo sta da quella parte, ed è un problema attualissimo, non è questione da poco la facilità con cui la nostra Presidente del Consiglio non solo cambia posizione al riguardo, ma al tempo stesso reclama il diritto di farlo senza dare e senza che nessuno si permetta nemmeno di chiederle alcuna spiegazione. Un modo di fare che in altri tempi qualcuno avrebbe definito «unfit». E non a torto.

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