La Grande Occasione o la Grande Illusione? «Spero che Giorgia Meloni colga questa occasione per dire senza ambiguità e reticenze che la destra italiana i conti con il fascismo li ha fatti fino in fondo quando è nata An». L’occasione che Gianfranco Fini ha evocato cade oggi, 25 aprile 2023, possibile data dello sdoganamento senza se e senza ma di Giorgia Meloni dal passato. Dalle reticenze. Dalle ambiguità. E dal più clamoroso e ostentato non detto: la parola “antifascismo”.
Sì, se oggi la premier pronunciasse quelle sillabe davanti all’Altare della Patria, accanto a Sergio Mattarella, nascerebbe una nuova leader del conservatorismo europeo. Farebbe il giro del mondo una sua dichiarazione come quella che le ha suggerito Fini: «Libertà, giustizia, solidarietà sono valori antifascisti».
È una Grande Illusione? Probabile. Se quella parolina non l’ha scandita sinora, perché dovrebbe farlo adesso, solo perché glielo chiede il suo ex capo? Un capo – non dimentichiamolo – che certo fu fatto fuori da Silvio Berlusconi («Che fai mi cacci?», e quello lo cacciò) ma che venne isolato dal gruppo dirigente del partito che lui aveva creato a Fiuggi, Alleanza Nazionale, infatti pochissimi lo seguirono, e non i big, nell’avventura di Futuro e libertà.
Fini, forse meno amato di quanto si riteneva ai tempi, forse motivo di gelosie e invidie nel piccolo mondo dei postmissini, divenne un avversario, se non un nemico, e oggi è più chiaro che Fratelli d’Italia fu una risposta antitetica a lui, l’esatto opposto del “revisionismo” finiano in chiave democratica e antifascista, fu un salto all’indietro che in realtà scavalcava Fiuggi, che da molti era stata assorbita per convenienza, per tattica, per doppiezza. Forse anche lui ne era consapevole, sperava che il tempo lenisse i contrasti, che i ragazzi maturassero. Forse fu troppo indulgente, come capita ai capi che non vogliono perdere le truppe. Resta il fatto che non seppe creare un nuovo gruppo dirigente capace di convincere l’elettorato di destra. Sarebbe stato un miracolo, c’era quasi riuscito ma non venne aiutato da nessuno.
Oggi ha deciso di provare a squarciare il velo imponendo un aut aut a lei, la presidente del Consiglio che giunta oggi alla guida del governo di uno dei maggiori Paesi occidentali non si sente di fare quel passo che spiazzerebbe amici e soprattutto i tanti avversari in Italia e in Europa.
Ma che cosa la frena? Perché, come ha detto Fini, questa «ritrosia»? È probabile che in lei scatti un meccanismo che ha un tratto infantile, quello di non darla vinta a chi per anni ti ha massacrato con questa storia del fascismo: lei la vive così, in un mix poco controllato di psicologia e storia politica e dentro un deficit di maturità anche personale. Lo dice agli interlocutori antifascisti: ci avete impedito di parlare per anni e ora pretendete abiure – è il senso della sua rimostranza.
Forse è anche ipotizzabile che davanti ai suoi – i La Russa, i Lollobrigida, i Rampelli eccetera – non intenda passare per una debole che infila la testa nel cappio allestito dagli antifascisti, perché la premier vive questo 25 aprile come un esame di maturità a cui non intende sottoporsi, nemmeno se lo chiede “Gianfranco”, il quale è uno che che ha fatto il suo tempo, come ha cortesemente mandato a dire il ministro dell’Agricoltura, quello della sostituzione etnica, definita da Fini «una colossale sciocchezza».
Tanti grumi passionali – la politica è anche questo, forse sopratutto questo – vengono dunque ad addensarsi attorno alla questione dell’antifascismo, tanti rancori mai sopiti, sospetti e scetticismi di decenni fa che ancora volteggiano nell’aria e sfociano in una domanda: ma che vuole, Fini? E in effetti la domanda si pone e rimanda alla lettura della traiettoria di un leader che negli ultimi anni si era volutamente tenuto lontano dalla politica ma che evidentemente sente forte il richiamo della foresta; e che dopo il silenzio ha detto di aver votato Fratelli d’Italia evidentemente convinto che i ragazzi guidati da “Giorgia” sapessero portare la destra italiana al di là del guado ideologico per un approdo limpido e definitivo sulle sponde liberali, ed è quello che ritiene tuttora, malgrado le cose stiano andando diversamente, come dimostrano le uscite tragicomiche di Ignazio La Russa, quelle grottesche di Fabio Rampelli e i silenzi eloquenti di Meloni.
Spera in lei, l’ex presidente di An, gli altri li considera come li considera. Sa bene, Gianfranco Fini, di essere già stato tradito dai suoi una volta. È possibile, se non probabile, che non lo ascolteranno nemmeno adesso, e sarebbe un secondo tradimento e forse più doloroso, per uno come lui.