Mentre mi accingo a scrivere questo articolo, mi passa davanti un dibattito, su Twitter, tra intellettuali americani (un ossimoro se mai ce n’è stato uno) che scrivono di televisione e che dibattono di Jeremy Strong, l’attore che in “Succession” fa Kendall e che è spesso accusato di tromboneria.
Quelli che lo difendono dicono che sì, in un’intervista ha detto «drammaturgicamente», ma è perché lui parla proprio così, non è perché se la tira usando paroloni. Entrambe le fazioni convengono infatti che «drammaturgicamente» sia una parola difficile, e questo è un dato che tocca tenere presente di qualunque cosa vogliamo parlare oggi.
Di come si fa la tv? Di come si fanno i giornali? Di cosa si rischia stimando il proprio pubblico? O magari del fatto che forse non sbagliamo mica, noi italiani, a fare giornali ai quali puoi cambiare la preposizione (da, su, per) tenendo sempre identico ciò che segue: giornali fatti da imbecilli, su imbecilli, per imbecilli.
Quando sono arrivate ai critici le prime puntate della stagione finale di “Succession”, quelle di cui vi ho parlato tre settimane fa (oltretutto utilizzando allora la parola «drammaturgia», esibizionista che non sono altro), le accompagnava una letterina di Jesse Armstrong, il tizio che “Succession” se l’è inventato e che in questo momento è il più invidiato al mondo da chiunque scrive qualunque genere di cosa.
La letterina pregava di non svelare il colpo di scena della terza puntata acciocché il pubblico potesse esserne sorpreso, e ora che la terza puntata è su Sky da tre giorni, e se non l’avete ancora vista non avete scusanti, ora posso dirvelo: io pensavo che quella letterina fosse una truffa.
Pensavo, ho pensato per buona parte della terza puntata, la prima volta in cui l’ho guardata, che la morte di Logan Roy fosse una messinscena per fregare i figli. L’ho pensato perché sarebbe stato in character; l’ho pensato perché la terza puntata è un po’ presto (ora gli eredi imbecilli devono tener su la baracca da soli per sette puntate); ma soprattutto l’ho pensato perché quale diavolo di colpo di scena?
Una serie intitolata alla successione ereditaria, che comincia col patriarca che sta morendo e non si sa chi debba succedergli, come diamine può finire se non col patriarca che muore davvero? Mi scuso per il bullismo lessicale ma: se muore davvero non è una sorpresa, se muore davvero stai applicando le nozioni di base della drammaturgia.
E invece. E invece lunedì mattina gli americani, che fanno giornali per un pubblico che non esiste più (un pubblico intelligente, informato, spiritoso, famelico di idee), hanno fatto ciò che fanno sempre quando un prodotto pop è al centro della conversazione collettiva: decine di pezzi con decine di idee. Due dei quali, sul Los Angeles Times e su Vulture, erano coccodrilli di Logan Roy. Il personaggio di finzione trattato come una persona vera, i quattro anni di dialoghi di “Succession” usati per l’aneddotica da articolo funebre.
E il pubblico reale – quello che guarda solo i titoli, quello cui urge dire la disinformata sua, quello che ha inventato il concetto di «spoiler», che in confronto il concetto di «cis» ha quasi senso – quel pubblico lì è insorto. Una cosa scandalosa, io non l’avevo ancora visto, ma non vi vergognate, lo spoiler nel titolo. Ma tu pensa, Logan Roy è morto. Stava così bene un attimo fa.
Una quindicina d’anni fa vidi su Entertainment Weekly (glorioso settimanale americano di spettacoli che nel frattempo ha chiuso, perché per come siamo messi tra un po’ in edicola ci saranno solo fascicoli da colorare dentro i bordi) quella che all’epoca mi sembrava la lettera più stupida di tutti i tempi. Non ricordo i dettagli perché non ho mai guardato “Lost”, ma sul numero precedente c’era uno strillo di copertina sulla morte di non so che personaggio di “Lost”. Morte andata in onda prima dell’uscita in edicola del settimanale, e la cui segnalazione risultava tuttavia inaccettabile: il lettore che si era preso il disturbo di scrivere al giornale l’aveva registrata e non ancora vista, quella puntata, come osavano non tener conto di lui e della sua agenda. «Spoiler» è stato il primo modo in cui abbiamo deciso di sentirci tutti speciali, e se io non ho mai visto “Via col vento” tu devi rispettare la mia verginità e non dirmi come finì la guerra civile.
Per il resto molta invidia per un posto dove si ostinano a trattare tutti, spettatori e lettori, come fossero intelligenti, e i giornali fanno articoli chiedendosi quanto costerebbero le lettere di Napoleone a Giuseppina che Logan dice di aver regalato al primogenito che si sposa, o cosa ci fosse nella lista di nozze di Connor e Willa.
Certo, noi non abbiamo prodotti televisivi così incisivi, ma anche quando li abbiamo il massimo della nostra idea di copertura giornalistica è intervistare gli attori (cioè: chiedere di dirci cose a gente il cui mestiere è dire cose con parole altrui).
Non ho mai visto “Mare fuori”, ma vorrei tantissimo leggere un articolo su come “Gomorra” abbia reso cool il napoletano, e il successo di “Mare fuori” s’inserisca in questa scia. E su come il prossimo dialetto che farà sentire fighi i ragazzini sarà il siciliano di “The Bad Guy”, prodotto dall’insuperata coolness percepita dell’ultima stagione. E invece sto ancora aspettando un articolo che mi racconti che bar frequentava Genny Savastano in Honduras.
E intanto mi tocca leggere lagne sullo spoiler che non capisco come mai non siano ancora iniziate in Italia. Spero che quelli che aspettano la puntata doppiata (Sky la carica una settimana dopo l’originale) vorranno prendersela col presente articolo, che svela loro che perché ci sia una successione ereditaria qualcuno deve morire.
Speravo di poter dirottare la loro ira su Sky, ma mi sono accorta che solo la mia ottusità mi aveva fatto pensare che avessero rintuzzato l’isteria da spoiler intitolando “Giorni rimanenti” la puntata che in originale s’intitola “Connor’s Wedding”: i giorni rimanenti sono quelli in cui resterà disponibile sulla app di Now, ho ormai la comprensione dei dettagli d’una lettrice media.
Al cui proposito: quando vi avevo parlato di queste puntate, avevo accennato a una scena (è nella quarta puntata, non l’avete ancora vista) in cui c’è la terza moglie di Logan, la libanese. Avevo detto che le donne in “Succession” sono come le azioni di Mediobanca: non si contano, si pesano. Una lettrice ha scritto su un social che io voglio privare le donne del privilegio di pesare e contare allo stesso tempo, e io più che semplificare esplicitando la citazione non so che fare, forse mi ritiro a vita privata, forse vi merito, forse mi meritate.
D’altra parte “Succession” fa, in America, un decimo degli spettatori del “Trono di spade” (in Italia non oso immaginare), e insomma forse tutta questa stima per il pubblico è mal riposta, forse al pubblico devi dargli il livello di complessità dei draghi.
D’altra parte i giornali americani hanno fatto fare tutte le interviste a commento della puntata del colpo di scena a uomini, e il risultato è che nessuno ha chiesto come mai Shiv, al matrimonio del fratello, fosse vestita di nero. Se persino loro il giornalismo di costume sanno farlo solo fino a un certo punto, cosa possiamo aspettarci io da voi e voi da me.
Se e quando moriremo (ma la cosa è insicura), chi dei due resta vivo – io o voi, non so nel decesso di chi sperare prima – potrà dire quel che dice Connor quando lo avvisano che è morto il padre. «Non gli sono mai piaciuto». Che almeno è una frase che non contiene parole difficili.