Il ministro degli Esteri ungherese Péter Szijjártó, la scorsa settimana, si è recato a Mosca in una delle rare visite di un governo europeo in Russia da quando Vladimir Putin ha invaso l’Ucraina. L’incontro ha portato a una nuova intesa sulle forniture di gas e sull’ampliamento del sito nucleare di Paks, oltre a evidenziare ancora una volta i solidi rapporti tra Budapest e il Cremlino. Szijjártó, che è stato in Bielorussia appena due mesi fa, ha incontrato il vicepremier russo Alexander Novak e Alexey Likhachev, amministratore delegato della compagnia nucleare statale Rosatom.
L’annuncio sui social dell’esponente dell’esecutivo ungherese sembra celare una certa soddisfazione: «È stato raggiunto un accordo sulla modifica del contratto di costruzione e finanziamento per l’espansione di Paks. Indipendentemente dalla guerra e dalle sanzioni, la vita e la tecnologia sono cambiate così tanto che i contratti hanno dovuto essere ritoccati. Abbiamo attraversato lunghe trattative raggiungendo un accordo su tutte le questioni necessarie».
Le due parti hanno quindi sbloccato la partita che riguarda l’estensione dell’insediamento nucleare di Paks, il progetto affidato all’azienda di Stato russa Rosatom rimasto in naftalina per diversi anni, che prevede la costruzione di due reattori Vver da 1,2 gigawatt in aggiunta ai quattro reattori esistenti. L’intesa prevede anche che Budapest potrà acquistare più gas rispetto a quello pattuito nel contratto del 2021.
Dopo le sanzioni imposte da Bruxelles negli ultimi mesi, le forniture di gas russo in Europa sono crollate al tredici percento del totale e alcuni Paesi sono riusciti ad azzerare totalmente la loro dipendenza da Mosca. Non è però il caso dell’Ungheria che continua a importare dalla Russia l’ottantacinque percento del gas e l’ottanta percento del petrolio. Budapest riceve già 4,5 miliardi di metri cubi di gas all’anno e la modifica dell’accordo consentirà, se necessario, l’acquisto di volumi ancora maggiori trasportati attraverso il gasdotto TurkStream.
L’Unione europea sta facendo enormi sforzi per isolare economicamente il Cremlino, mentre il primo ministro magiaro Viktor Orbán continua a intensificare le relazioni con l’amico Putin. E ora il leader di Fidesz, che è riuscito a bloccare l’inserimento del nucleare all’interno delle sanzioni europee, è passato all’incasso con Putin ottenendo un miglioramento delle condizioni di fornitura. Strette di mano, ringraziamenti e affari a gonfie vele, come se la Russia non avesse riportato la guerra in Europa dopo settant’anni.
Il commento di Kyjiv non si è fatto attendere: «Se avete visto il video in cui i russi tagliano la testa a un soldato ucraino, gli ungheresi stanno pagando per il coltello», ha dichiarato a Politico Oleg Ustenko, consigliere economico del presidente Volodymyr Zelensky.
Ma Orbán sta giocando una partita più ampia. Il leader dell’unica «autocrazia elettorale» dell’Unione europea è impegnato su diversi fronti e punta a capitalizzare il più possibile il rapporto con lo “zar” alzando la posta con Bruxelles. L’Europa, nel frattempo, continua ad incalzare Budapest sulle leggi interne.
Lo scorso luglio la Commissione europea ha deferito l’Ungheria alla Corte di Giustizia dell’Ue a causa di una legge che vieta la «promozione dell’omosessualità» ai minori, sui media e nelle scuole. A Budapest viene contestata la violazione delle norme del mercato interno dell’Ue sulla libera prestazione di servizi e dei diritti fondamentali degli individui e dei valori dell’Unione.
Una normativa in palese contrasto con il diritto comunitario, che è ritenuta responsabile dell’aumento in Ungheria dei reati d’odio contro le persone omosessuali e che ha molte affinità con la legge voluta da Putin in Russia. L’azione della Commissione è stata seguita da altri quindici governi europei. Il termine ultimo per aderire all’azione legale era il 6 aprile.
Nel gruppo manca l’Italia che continua a non voler disturbare Orbán, isolandosi di fatto dal blocco dei Paesi più influenti come Francia, Spagna e Germania (la cui adesione è arrivata negli ultimi giorni utili). Un atteggiamento non ostile nei confronti di Budapest che ormai non fa più notizia.
La legge contro l’omosessualità (oggetto di referendum) è stata seguita da altre normative in contrasto con i principi comunitari che hanno portato negli ultimi mesi al congelamento dei fondi da parte di Bruxelles. La strategia del premier magiaro per provare a sbloccare una parte di quei fondi si è basata principalmente sul potere di veto nelle questioni di rilevanza internazionale: qualche mese fa bloccando il pacchetto di aiuti all’Ucraina e la normativa sulla tassazione dei Big tech e nelle ultime settimane, seguendo la linea della Turchia, ritardando il recepimento della richiesta di adesione alla Nato di Finlandia e Svezia, ancora in attesa.
Formalmente l’Ungheria sta temporeggiando con Stoccolma a causa delle critiche nei confronti di alcune misure di Budapest. Zoltán Kovács, portavoce dell’esecutivo ungherese, qualche settimana fa ha scritto sui social che la Svezia si è seduta su un «trono fatiscente di superiorità morale». Il primo ministro sta ricalcando passo dopo passo l’ostruzionismo di Recep Tayyip Erdogan su Finlandia e Svezia ed è facile prevedere che quando cambierà la posizione turca su Stoccolma, Budapest andrà a ruota.
Sembra evidente che Orbán stia utilizzando queste situazioni per spuntare le condizioni migliori con Bruxelles e allo stesso tempo rafforzare l’asse con Turchia e Russia. Una strategia che porta l’Ungheria sempre più lontana dalle democrazie occidentali e sempre più vicina a regimi autoritari o ibridi. Giorgia Meloni dovrebbe prenderne atto e, nonostante le numerose affinità, allontanarsi da chi si siede a fare affari al tavolo di Putin.