Il Paese della lagna continuaLe manine di Palazzo Madama, i sospetti della Lega e le manfrine interne alla maggioranza

Sull’autonomia differenziata Calderoli e tutto il partito del Carroccio se la prendono con il Servizio bilancio del Senato per mandare un messaggio a Fratelli d’Italia (che non ha mai amato la devolution). Le solite sceneggiate già viste, che però stavolta potrebbero diventare qualcosa di più grave

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Nel Paese della lagna continua c’è sempre una parte del Palazzo che accusa un’altra parte del Palazzo di ingerenza nella politica. È il caso sollevato da Roberto Calderoli, che si lamenta della relazione del Servizio bilancio del Senato, reo di avere messo in evidenza quello che tutti sanno: l’autonomia differenziata voluta dalla Lega e smussata con la cancellazione della spesa storica, che porterà disuguaglianze crescenti.

Ne sanno qualcosa i governatori siciliani e calabresi del centrodestra, Renato Schifani e Roberto Occhiuto. Anche se dobbiamo riconoscere che al sud qualche problema di classe dirigente e di capacità di spesa c’è sempre stata, soprattutto nel settore sanitario. Vecchie questioni, ataviche. Ma qui il problema è la lagna dei politici del nord, che sospettano una manina dispettosa che si aggira come Mano Mano della famiglia Adams a Palazzo Madama.

Proprio di “manine” parla Massimiliano Romeo, che lancia il sospetto a tutto campo. «Ci sono manine – afferma il capogruppo del Carroccio – che ci vogliono fermare, non sappiamo se di centrodestra o di centrosinistra». Ma con chi ce l’hanno i leghisti? Apparentemente con il Servizio bilancio del Senato, una struttura super partes che ha toccato un nervo scoperto.

In effetti, Matteo Salvini non crede che su una questione così delicata non ci sia il controllo preventivo dei livelli politici e istituzionali prima di essere divulgato. Non è un caso che sul più alto scranno del Senato sieda Ignazio La Russa, il quale fa parte di un partito che non ha mai amato in passato la devolution e oggi non digerisce questa forma di federalismo all’italiana. Per cui i sospetti esplodono, i veleni scorrono a fiumi tra le pareti damascate e i parquet scricchiolanti di Palazzo Madama.

Il nome di La Russa non viene mai accennato, certo. Meglio accusare, come fa Roberto Calderoli, gli «interessi del centralismo che cercano di intromettersi, utilizzando qualsiasi tipo di strumento». È la vecchia tesi secondo cui gli alti burocrati ministeriali temono di perdere potere e competenze da trasferire alle Regioni.

Poi, per quanto riguarda le osservazioni del Servizio bilancio del Senato, il ministro per l’Autonomia sostiene che si tratta di «criticità ipotetiche», non specificate e quantificate. Insomma, per lui è solo aria fritta. Che però diventa sospetto politico quando la tempistica per l’approvazione dell’autonomia differenziata incrocia quella della discussione sulle riforme costituzionali, aperta da Giorgia Meloni.

Per Salvini è inaccettabile che il progetto regionale venga approvato dopo le europee del prossimo anno. Magari valutando sulla base dei risultati dei partiti della colazione. E manda avanti Alessandro Morelli, il quale in un’intervista alla Stampa avverte che se una riforma è più rapida di altre bisogna farsene una ragione. «È inaccettabile ributtare tutto in caciara: la coalizione ha firmato un programma e deve rispettarlo».

Anche i ministri leghisti dovrebbero evitare invasioni di campo e rispettare le competenze dei colleghi, soprattutto se in mezzo c’è la premier. Spetta a lei fare una proposta di riforma costituzionale. E invece lo stesso Calderoli lancia la sua, quella del «governatorato»: un presidente del Consiglio eletto direttamente sul modello delle Regioni, con alcuni contrappesi come la «fiducia costruttiva».

L’irritazione di Fratelli d’Italia è forte e anche quella del ministro di Forza Italia Elisabetta Casellati, che ha competenza per le Riforme. Per il momento si tratta di manfrine interne alla maggioranza, che potrebbero diventare qualcosa di più grave se l’autonomia differenziata finisse su un binario a scartamento ridotto in attesa dei tempi lunghi delle riforme costituzionali. Se questo dovesse accadere, o addirittura si arenasse tutto, il ministro delle Regioni giura che abbandonerà la politica, «sul serio, non come disse Renzi». Non si vedono in giro persone che si stracciano le vesti per questa ipotesi.

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