Quesiti linguisticiCome coniugare il verbo «mantecare», spiegato dall’Accademia della Crusca

Nasce dalla lingua spagnola, dove «manteca» significa «burro». Passato poi al napoletano «mantechìglia» e al siciliano «mantechìggia» per indicare un prodotto cosmetico grasso come la pomata

Tratto dall’Accademia della Crusca

Sono arrivate molte domande in Accademia circa la parola manteca, la sua origine, il suo significato e i suoi derivati tra cui il verbo mantecare di cui ci si chiede la corretta accentazione nelle forme coniugate al presente indicativo.

Risposta
Spesso quando parliamo di forestierismi in italiano, l’immaginario comune si volge subito all’inglese, oppure al francese, ignorando invece la presenza di molti lessemi che provengono da altre lingue oltre a queste. Aggiungiamo anche che la parola forestierismo sembra riferirsi a un termine che attualmente si avverte come “forestiero”, tralasciando così tutte quelle parole che un tempo erano estranee alla lingua italiana e che ora invece vengono avvertite come autoctone. Il lessico di una lingua ripercorre anche la storia di un popolo: la maggior parte del lessico italiano è formato da parole di origine latina, a cui si sono aggiunti nel tempo termini appartenenti ad altre lingue parlate da popolazioni che hanno conquistato, assoggettato o semplicemente affascinato la nostra penisola. Mantèca è una di queste parole: vediamo nello specifico prima i suoi significati e poi la sua storia.

Anzitutto la parola mantèca deriva dallo spagnolo mantèca ‘strutto, burro, pomata’ (ne ripercorreremo la storia più avanti) e in passato, più che oggi, indicava una “pasta grassa e profumata, usata un tempo come cosmetico dei capelli e della pelle” (Devoto-Oli 2023, consultato il 18/11/2022; la data si riferisce a tutte le successive citazioni dello stesso dizionario, che nell’ultima edizione, disponibile solo in rete, viene continuamente aggiornato); con questo significato viene registrata per la prima volta nella III edizione del Vocabolario degli Accademici della Crusca (1691) e sempre con questa accezione ricorre almeno fino al primo Novecento, tanto che troviamo la parola nel saggio L’Umorismo di Pirandello (1908) quando si riferisce all’anziana signora “coi capelli ritinti, tutti unti non sa di quale orribile manteca” (Luigi Pirandello, L’Umorismo, a cura di Salvatore Guglielmino e Simona Costa, Milano, Mondadori, 1994, p. XIV). Partendo dal significato che aveva nella lingua d’origine, confrontato con la definizione che si legge nella V edizione del Vocabolario degli Accademici della Crusca sappiamo che la base della sostanza usata come cosmetico era “lardo o altra specie di grasso”, arricchita poi “con diversi ingredienti e odori, che serve ad usi varj, e più spesso per medicare, o per ungere i capelli”. Facendo alcune rapide ricerche su Google e sui quotidiani nazionali online possiamo senz’altro dire che ai nostri giorni questa accezione si sia quasi del tutto persa mentre quella più diffusa oggi è quella, derivata per estensione dalla prima, di “composizione che abbia la consistenza di una pomata o di una crema” (Devoto-Oli 2023) cioè “composto di sostanze omogenee dalla consistenza cremosa” (GRADIT). Sebbene la maggior parte dei dizionari contemporanei registri questo significato come non comune, possiamo oggi dire che è quello maggiormente diffuso e che viene frequentemente utilizzato in ambito gastronomico per indicare un amalgama il cui elemento coesivo è dato da una sostanza grassa:

[…] in casa le nocciole si coltivano o si acquistano crude dall’ultimo raccolto disponibile, si tostano (uno, due o al massimo tre giorni prima dell’utilizzo) si trasformano in granella o in manteca, la base della Nutella, o si impiegano intere. (Isabella Fantigrossi, Viaggio (saporito) di una nocciola diventata molto preziosa, “Corriere della Sera”, 1/12/2016, p. 13)

Rispondiamo ora ai lettori che ci chiedono se la parola manteca (e il verbo derivato mantecare) si possa riferire a un composto omogeneo in cui non c’è necessariamente la presenza di una sostanza grassa. Premettiamo subito che non siamo esperti del settore eno-gastronomico e quindi diciamo che semanticamente questa estensione di significato è già registrata dai dizionari (che infatti, come abbiamo visto, parlano di “sostanza cremosa” in maniera generica) e che effettivamente molti sono gli esempi reperiti in cui la parola manteca si riferisce a un amalgama omogeneo di sostanze non necessariamente legate da un grasso, soprattutto, ma non solo, nell’ambito dei gelati, sorbetti e simili:

Gli arabi, che lo inventarono, nella Sicilia conquistata trovarono l’Etna, preziosa riserva di neve ghiacciata che fungeva perfettamente alla bisogna. Il sorbetto, diversamente dalla granita (i cui cristalli di ghiaccio sono più grossi) e della cremolata (manteca di acqua, frutta e zucchero), richiedeva grana finissima, come appunto quella della neve, da aromatizzare poi con succo di frutta, miele, anche vino. (Il sorbetto alla araba, repubblica.it, 18/7/2002)

Come nuovo alter ego di cucina si trova Ciro Scamardella, un ragazzo napoletano dal curriculum solido, e insieme decidono di abolire la carbonara che ha fatto la fortuna della casa per puntare sui piatti più arditi come la zolla di manzo con mandorla e acetosa, o come il risotto con manteca di cozze, cagliata di limone e ficoide. (Enzo Vizzari, Paolo Vizzari, Pipero, da Monosilio a Scamardella, repubblica.it, 28/10/2018)

Inoltre manteca nella cultura meridionale si riferisce a un particolare prodotto caseario: i dizionari registrano il significato generico di “scamorza con una noce di burro al suo interno” (GRADIT), ma il referente cambia da regione a regione (o addirittura da paese a paese), come avviene per la maggior parte dei prodotti gastronomici: lo troviamo in Campania (dove può essere una “produzione molto rara di caprini con una specie di crema al mascarpone”), in Basilicata, in Molise, e soprattutto in Puglia:

Tra i formaggi, oltre al caciocavallo podolico diffuso in tutta la Puglia, spicca per tipicità la Manteca, oggi difficile da reperire e prodotta in piccoli numeri. Anche qui, è antica e contadina la storia da raccontare: questo formaggio nasce infatti dalla necessità per le classi più povere di conservare il burro, pregiato, senza la disponibilità di un frigorifero. Nasce così l’utilizzo della pasta di scamorza – tipica anch’essa di queste zone – per avvolgere un nocciolo di burro; il risultato è quello di un formaggio dal gusto molto dolce e il colora ocra carico. Viene solitamente utilizzata come formaggio spalmabile sul pane e altri prodotti da forno, ottima come sostituto del burro classico in abbinamento alle alici salate e ai pomodori secchi, prelibatezza locale. (Laura De Luna, Pietramontecorvino, l’araba fenice dei Monti Dauni e i suoi mille sapori, repubblica.it, 7/12/2021)

Se consultiamo la carta n. 1207 dell’AIS (Atlante italo-svizzero) compilata per i tipi lessicali che individuano il ‘burro’, notiamo a lato un’integrazione per ‘burro racchiuso in una forma di cacio’ per cui si ha il tipo manteca in molte zone del Foggiano, del Barese e del Tarantino ma anche, fuor di Puglia, in alcuni paesi vicino Salerno, Potenza e Matera. Attraverso la carta e grazie ad alcuni video su YouTube, apprendiamo che la pronuncia della parola nel Meridione prevede la e tonica chiusa del tipo mantéca e non mantèca.

Passiamo ora alla storia della parola: infatti la diffusione di un tipo di formaggio dal nome manteca nel nostro Sud ha una motivazione storica precisa. Come abbiamo detto, il termine è un ispanismo e sappiamo che il nostro Meridione è stato soggetto alla dominazione spagnola per secoli. La lingua di maggior prestigio sociale ed economico era allora lo spagnolo e molte sono le parole che questa lingua ha prestato alle varietà linguistiche locali (come il napoletano, la varietà pugliesi ecc.) e che da queste, poi, sono passate all’italiano, come molti altri dialettismi appartenenti all’ambito gastronomico. Per quanto riguarda l’etimologia di manteca, i linguisti spagnoli sembrano ancora non aver trovato una spiegazione unanimemente condivisa. Il Corominas registra la voce oltre i confini spagnoli come diretta esportazione iberica (in Portogallo ma anche in Sardegna e nel Sud Italia), e poi si limita a dichiararne l’“origine incerta, probabilmente da un sostrato preromano, se non addirittura indoeuropeo, forse correlato allo slavo smetana ‘panna’” (traduz. mia di: “Origen incierto, probte. preromano, quizá indoeuropeo y relacionado con el eslavo smatana ‘nata’ […]”; Joan Corominas, Breve Diccionario Etimólogico de la lengua castellana, 3a ediz., Madrid, Gredos, 1987). Segnaliamo che al Nord è distribuito in alcune zone del Veneto il tipo maltèca ‘pomata’, “spesso usato con senso spregiativo anche riferito a ‘persona azzimata’” (DEDI). Inoltre, nella lingua spagnola da manteca è derivato il termine mantequilla, con cui oggi si indica comunemente il ‘burro’, che è passato al napoletano (mantechìglia) e al siciliano (mantechìggia) per indicare un prodotto cosmetico grasso come la ‘pomata’ (DEDI), registrato anche dal GDLI come antiquato nella forma mantechìglia ‘unguento, pomata odorosa’; il primo esempio riportato è di un autore di area centrale, vissuto principalmente in Toscana (Lorenzo Megalotti: Roma 1637 – Firenze 1712).

Arriviamo ora alla datazione del termine manteca: se l’Etimologico si limita ad affermare che la voce risale al XVII secolo, il DELI (così come il GDLI e il GRADIT) propone invece il 1669 (data della seconda edizione del Cannocchiale aristotelico di Emanuele Tesauro, la cui prima impressione risale al 1664: “Annibale si effemminò, sparso le chiome di manteche e di polvere di Cipri”, Emanuele Tesauro, Il Cannocchiale aristotelico, Roma, Guglielmo Hallé, 1664, p. 480). Attraverso una ricerca effettuata su Google libri possiamo, con cautela, retrodatare ulteriormente il termine:

Et come dice il Porcello, che alle volte erano canti benigni, che ponervi solamente rossi d’uova, & molto sale, & poi di sopra scabiosa pestata, o ver minutamente incisa con poco di manteca, mutandole da hora in hora, si son veduti ridutti a mortificatione carboni. (Giovanni Filippo Ingrassia, Informatione del pestifero, et contagioso morbo il quale affligge et have afflitto questa città di Palermo & molte altre città, e terre di questo Regno di Sicilia, nell’anno 1575 e 1576, data allo invittissimo, et potentissimo re Filippo, re di Spagna, Palermo, Mayda, 1576, pp. 182-183)

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