Il 21 aprile, quello dei mezzi pesanti a Milano lo definivamo un «problema irrisolto». Erano passate ventiquattro ore dalla morte di una ragazza di trentanove anni, travolta mentre pedalava da una persona alla guida di una betoniera. Una soluzione parziale è arrivata nel pomeriggio di giovedì 4 maggio, quando il consiglio comunale – approvando all’unanimità un ordine del giorno di Marco Mazzei (Lista Sala) – ha impegnato la giunta a rendere più sicura la circolazione dei camion entro il luglio 2024.
In che modo? Imponendo il divieto alla circolazione “diurna” (dalle 6 del mattino alle 22) in Area B ai mezzi pesanti sprovvisti di sensori per eliminare l’angolo cieco, responsabile della maggior parte degli incidenti che coinvolgono tir, camion, betoniere e simili nelle città. Luglio 2024 è anche la data entro in cui tutti i mezzi pesanti venduti nell’Unione europea dovranno avere queste tecnologie. Risulta però fondamentale intervenire sui mezzi già in circolazione, anche grazie all’installazione di kit da poche centinaia di euro.
Non c’è stato nemmeno il tempo di sorridere per l’approvazione di una proposta importante, ma purtroppo non vincolante, che lunedì 8 maggio è successo di nuovo: nella periferia nord di Milano, in via Comasina, un cinquantacinquenne è stato travolto, trascinato per trecento metri e ucciso dal conducente di un tir. È la quarta persona (tre ciclisti e un pedone sul marciapiede) in circa quattro mesi a morire a Milano a causa di un mezzo pesante. Il vaso era già traboccato, ma ora il tema della sicurezza dei ciclisti ha toccato vette inesplorate nel dibattito pubblico meneghino e nazionale.
Su questo argomento, Beppe Sala e la sua giunta si giocano e giocheranno una fetta di consensi. Se nel suo primo mandato, tra nuove corsie ciclabili in punti strategici e strade a trenta all’ora, era riuscito a incentivare la mobilità ciclistica, ora il sindaco deve fornire più risposte alle persone che pedalano anche per merito delle sue misure.
A Milano, la sicurezza stradale è un’emergenza? La risposta è assolutamente irrilevante, perché ogni singola morte è una tragedia, figlia di un mix di più elementi: carenza di norme e negligenza delle istituzioni, assenza o inadeguatezza delle infrastrutture, mancanza di cultura ciclabile e di rispetto verso gli elementi più vulnerabili della strada. Il problema della vulnerabilità dei ciclisti non è di certo limitato alla presenza dei mezzi pesanti. Ed per questo che, a gennaio, è passato un ordine del giorno che punta a rendere Milano una Città 30 entro il 2024. Il primo firmatario della proposta è stato, ancora una volta, il consigliere Marco Mazzei, appoggiato sulla carta da tutti i consiglieri di maggioranza e sostenuto anche dal sindaco Sala.
Città 30, poi protagonista di una proposta di legge nazionale, non significa solo ridurre la velocità urbana dai cinquanta ai trenta chilometri orari: vuol dire rendere più appetibile e sicura la mobilità attiva, stimolare interventi (urbanistici e infrastrutturali) in grado di trasformare le strade in luoghi democratici, cambiare la cultura dello spazio pubblico e potenziare i controlli.
Milano, insomma, avrebbe gli strumenti per proteggere pedoni e ciclisti, ma non li sta applicando con il senso d’urgenza necessario. La città si trova in una fase intermedia in cui le misure (non tutte, ovviamente) per risolvere parte dei problemi sono nel cassetto, in attesa di essere implementate e applicate. È una questione di tempistiche, ma anche un dilemma figlio di un consiglio comunale e di una giunta che viaggiano a due velocità diverse: da una parte arrivano proposte al contempo ambiziose e realizzabili, dall’altra ci sono spesso frenate, anche in termini di comunicazione.
Lo dimostra Beppe Sala che, il giorno dopo l’approvazione dell’ordine del giorno di Marco Mazzei sulla Città 30, anziché esultare ha rassicurato sul fatto che alcune strade rimarranno con il limite a cinquanta. Insomma, ha minimizzato l’importanza della misura ed enfatizzato l’unico punto utile per tenere a bada gli automobilisti (già sul piede di guerra). Non è affatto scontato che Milano diventi tutta “a trenta all’ora” dal primo gennaio del 2024, e qui la responsabilità cadrebbe sull’assessorato. In ogni caso, quest’estate si farà il punto per capire l’avanzamento dei lavori.
Le discrepanza di ambizioni tra consiglio e giunta fa parte di una serie di dinamiche fisiologiche all’interno delle istituzioni. Ora, però, si sta parlando di morti, di vite segnate per sempre (comprese quelle di chi guida i camion e le auto che investono i ciclisti). E c’è chi inizia a spazientirsi di fronte ai tempi, alle relazioni, alla burocrazia e al desiderio di consensi che caratterizzano l’universo politico.
Gli esponenti delle associazioni Sai che puoi, Legambiente, Clean Cities Italia, Cittadini per l’aria Onlus, Fiab, Genitori Antismog e Massa Marmocchi hanno inviato un comunicato congiunto per chiedere alla giunta di approvare un provvedimento per la circolazione dei camion entro il 1° luglio 2023 e di «affrontare in maniera globale e più incisiva il tema della nuova mobilità urbana in tutti in tutti i suoi aspetti, dal potenziamento della rete ciclabile, all’accessibilità dei mezzi pubblici, alle strade scolastiche senza auto».
«La Giunta Sala non si muove con l’urgenza necessaria per impedire che ci siano nuove vittime e per costruire una vera “città delle persone”, prima che dei mezzi e delle merci», si legge nella dichiarazione. Paolo Pinzuti, direttore editoriale di Bikeitalia e CEO di Bikenomist, è poi arrivato a chiedere le dimissioni dell’assessora alla mobilità Arianna Censi, accusata di immobilismo e incompetenza.
Il 9 maggio, Censi e il sindaco Sala hanno promesso un’accelerazione per portare in giunta la questione dei sensori ai camion e dare continuità all’ordine del giorno approvato settimana scorsa: «Non lo si fa dall’oggi al domani, ma dobbiamo rapidamente portare in giunta una delibera che li renda obbligatori, ma è chiaro che daremo del tempo affinché i mezzi si adeguino», ha detto Sala, che non ha saputo fornire informazioni in merito alle tempistiche. Da una parte l’apertura, dall’altra la frenata.
C’è poi una questione da non sottovalutare: il rischio che il Comune trasformi la norma sui mezzi pesanti in una scusa per accantonare altre misure (più impopolari ma altrettanto importanti) per rendere la città a misura di persona, a partire dalla logistica green, dalla sosta a pagamento per i residenti e dalle politiche contro i parcheggi selvaggi. Lavorare gradualmente sulla sosta è fondamentale per disincentivare l’uso del mezzo privato, ma per ottenere risultati bisogna avere l’audacia di fare la prima mossa.
Sui sensori ai camion, ma anche su altre questioni relative alla mobilità urbana, la giunta Sala è a un bivio: approvare rapidamente provvedimenti autonomi o lavorare con Roma per chiedere, per esempio, l’apertura di una fase di sperimentazione (come avvenne nel 2020 per la regolamentazione dei monopattini elettrici). Al momento, infatti, i kit per gli angoli ciechi non sono presenti nel codice della strada italiano.
Il rischio della prima via – che pare quella imboccata da Sala – è quello di scontrarsi con il ministero dei Trasporti e delle Infrastrutture, spesso influenzato dalle varie associazioni di categoria (Automobile club d’Italia su tutte), ricevendo bocciature su bocciature. Il rischio della seconda via, invece, sono le tempistiche infinite e la miopia di un ministro come Matteo Salvini, che al posto di schierarsi dalla parte dei ciclisti preferisce aumentare il limite di velocità in autostrada.
Nessun sentiero è privo di insidie, ma la Milano “apripista” non può sottrarsi a questa sfida. Beppe Sala, che si è presentato in prima persona a Bruxelles, è stato il volto della battaglia dei sindaci contro lo stop del governo alla trascrizione dei figli di coppie omogenitoriali all’anagrafe. Temi diversi, certo. Allo stesso modo, però, ora dovrebbe superare la negligenza di Roma sulla mobilità sostenibile e lanciare un segnale forte e non fraintendibile.