Lezioni di disumanitàL’Europa fa la corte a Saied e paga (ancora) i dittatori per bloccare i migranti

Il presidente tunisino parla di «sostituzione etcnica» come Lollobrigida, ma ha impresso una svolta autoritaria al Paese. Finge di difendere i diritti solo per alzare il prezzo: accompagnando Meloni, ora è anche l’Ue a mettere soldi sul tavolo

Rutte, Saied, Von der Leyen e Meloni
LaPresse

Violenze, abusi, veri e propri pogrom spinti dalle parole del presidente Saied nei mesi scorsi che ha parlato di «sostituzione etnica» del popolo tunisino con quello dei migranti subsahariani che transitano in Tunisia per raggiungere l’Europa o che lavorano nel Paese dei gelsomini da anni, dopo che la Libia è implosa a seguito della caduta del regime di Gheddafi e più recentemente dopo che è stata resa un inferno dal Memorandum d’intesa tra Italia e Libia per la gestione dei flussi migratori: soldi in cambio del blocco dei migranti.

La missione di Ursula von der Leyen, Giorgia Meloni e Mark Rutte aveva questo come obiettivo e poco importa se il modello libico ha generato uno Stato dove non ci sono le condizioni minime per il rispetto dei diritti umani, se i soldi italiani o europei vengono investiti nella gestione di lager dove le torture e gli abusi sessuali sono all’ordine del giorno, usati come arma per il pagamento di un riscatto che rende liberi di prendere la via del Mediterraneo, un grande cimitero a cielo aperto che abbiamo reso nell’ultimo decennio la frontiera più mortale al mondo, che ha visto solo nel 2023 una stima al ribasso dei morti superiore ai mille, numeri enormi destinati ad aumentare con la bella stagione e le numerose partenze in vista.

Questo è il modello che l’Europa porta avanti da quasi un decennio sia a livello comunitario con gli accordi con la Turchia del marzo 2016 sia a livello di singoli Paesi membri: respingere, pagare qualcuno che faccia il lavoro sporco per noi in cambio di soldi. Se poi questo qualcuno non ha problemi di consenso elettorale è ancora meglio, agli occhi di chi paga risulta più affidabile.

Questo è lo schema che l’Italia sta seguendo con la Tunisia di Saied, una nazione che nel 2010 ha dato il via a quelle rivoluzioni che da questo lato del Mediterraneo chiamiamo «Primavere arabe» e che hanno portato una boccata di democrazia in Paesi dove in nome della stabilità venivano tollerate o aiutate dittature liberticide.

Deposto Ben Alì in Tunisia è iniziato un vero percorso democratico, il più avanzato del Maghreb, che ha visto la sua fine poco più di un anno fa, quando il presidente Saied ha sospeso il Parlamento, accentrato i poteri e avviato una svolta autoritaria. Quella Tunisia aveva già un accordo con l’Italia per il blocco dei migranti da parte della marina militare di Tunisi in cambio di soldi per strumentazioni e investimenti, era stato pensato e messo in campo dalla ministra dell’Interno Luciana Lamorgese.

La Tunisia, come già detto, era una Paese di transito ma anche di arrivo, dove potersi fermare qualche mese per lavorare nell’edilizia o in altri settori dove c’è bisogno di manodopera, accumulare qualche soldo prima di prendere un barchino di ferro saldato alla bell’e meglio dai trafficanti poco prima della partenza e sperare di arrivare a Lampedusa.

E poi ci sono i giovani della classe media tunisina, in fuga dal proprio Paese da quando il Covid ha segnato il crollo dell’economia informale tunisina e di quella legata al turismo trascinandosi dietro tanti altri settori. La svolta autoritaria e la netta riduzione dei visti per studio da parte degli Stati europei li ha costretti a mettersi sui barchini.

Fermarli a ogni costo quindi, soprattutto prima che il meteo conceda una lunga finestra di mare calmo e assenza di perturbazioni e a quel punto le partenze si moltiplicheranno e Lampedusa, ancora una volta, sarà al centro delle cronache. Così la presidente del Consiglio è volata due volte in cinque giorni a Tunisi senza dare la possibilità alla stampa di seguire i viaggi e fare domande.

Nel secondo viaggio però non era solo l’Italia a mettere sul piatto i soldi, c’era l’Unione Europea, capitanata dalla presidente della Commissione e accompagnata anche dal premier olandese Rutte in rappresentanza di quel Nord Europa frugale, preoccupato dai movimenti secondari e da un potenziale eccesso di riconoscimento politico di Saied che rischierebbe di mettere in imbarazzo i governi nordici.

Tema che sembra non interessare al cognato-ministro Lollobrigida che invece sul riconoscimento di Saied dice che «bisogna essere pragmatici» e elogiano l’iniziativa che «ha messo l’Italia al centro dell’Europa».

Un nuovo accordo con un dittatore, sulla scia di quello turco del 2016 con Erdogan, «il dittatore del quale abbiamo bisogno», cit. Mario Draghi, e di quello libico, fatto con una delle tante fazioni in campo anche attraverso la riorganizzazione della Guardia Costiera libica, la stessa che ha legami stretti con i trafficanti di esseri umani che dovrebbe combattere.

Tutto bene quindi, se non fosse che proprio l’autocrate si è preso la soddisfazione di dare lezioni di diritti umani facendo notare che «la soluzione che alcuni sostengono segretamente di ospitare in Tunisia migranti in cambio di somme di denaro è disumana e inaccettabile, così come le soluzioni di sicurezza si sono dimostrate inadeguate, anzi hanno aumentato le sofferenze delle vittime della povertà e delle guerre».

Una mossa per alzare il prezzo rispetto ai duecentocinquanta milioni di euro proposti da Bruxelles e per parlare alla pancia del suo Paese dopo mesi in cui lo stesso Saied ha spostato l’attenzione dalla crisi economica ai migranti. L’estate è lunga, le partenze aumenteranno e con loro la necessità di fermare la rotta tunisina. Il tempo, quindi, è dalla parte di Saied.

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