Considera l’appetito La scrittura di M.F.K. Fisher raccontata nel documentario “The Art of Eating”

«Quando parlo di appetito» rispose Fisher a una domanda a proposito della sua scrittura «in realtà, scrivo di amore e della voglia che abbiamo di provarlo, e del suo calore, e di come ci fa sentire… e poi di quella sensazione di benessere e ricchezza una volta che ne siamo pieni»

MFK Fisher working Last House copy, Courtesy of Gregory Bezat/The Art of Eating

A tavola con M.F.K. Fisher ci si siede pensando che sarà il cibo l’argomento principale e, poi, bastano poche pagine per rendersi conto che in ogni piatto e in ciascun piccolo morso a mescolarsi agli ingredienti c’è molto di più. Nei suoi libri e nell’infinita lista di articoli che caratterizzano la sua produzione si è ospiti di un banchetto goloso e riflessivo, di storie e ricette, in cui un’ostrica sa di desiderio, le paste sono ripiene d’attesa e di festa, e vengono serviti una serie di vini perfetti per ricordare, piangere o celebrare. Questo perché nel piatto e nei bicchieri ci sono – più in generale – la vita di chi li prepara e di chi, attraverso la scrittura di Fisher, li assapora: «Quando parlo di appetito», risponderà Fisher a una domanda a proposito della sua scrittura, come riportato dall’amica Julia Child nell’introduzione ai 50 anni di The Art of Eating”, «in realtà, scrivo di amore e della voglia che abbiamo di provarlo, e del suo calore, e di come ci fa sentire… e poi di quella sensazione di benessere e ricchezza una volta che ne siamo pieni».

M.F.K. Fisher è da considerare fra le madri della letteratura gastronomica perché è stata in grado di mettere al centro del discorso gli appetiti e il godimento. Mentre i libri di cucina di metà Novecento parlavano alle donne come protettrici del focolare, Fisher parlava loro di vergogna, di fame ed eccitazione. Attraverso libri come The Gastronomical Me”(«Un’autobiografia di viaggi, amore e perdita, ma soprattutto di appetito»), Consider the Oyster”, o in How to Cook a Wolf”, un omaggio alla magia del cibo nel dare splendore all’ingrediente più semplice in tempi di razionamento, Fisher ha anticipato i tempi, parlando di emancipazione degli appetiti e della necessità di cibo “vero” contro la rapida crescita del fast food. Messaggi che hanno ispirato generazioni di scrittrici e ristoratrici a utilizzare la materia per trasmettere emozioni immediate – dice lei – ma destinate ad attaccarsi ai ricordi per sempre.

Courtesy of Gregory Bezat/The Art of Eating

Questo dialogo continuo fra vita, cibo e scrittura è al centro di The Art of Eating, il documentario di Gregory Bezat, uscito a fine 2022 e presentato in anteprima al Biografilm di Bologna. Per farlo Bezat decide di nascondersi, lasciando a Fisher il compito di raccontarsi attraverso riletture dai libri e una serie di interviste originali in cui la scrittrice americana ragiona attorno all’importanza che hanno avuto le parole nella sua vita: «La sfida più grande», mi racconta il regista, «è stata quella di creare un film senza narratore. È stata sin da subito una scelta precisa, perché fosse Fisher a raccontare la sua storia, nonostante questo abbia significato ragionare sulla linearità. Ho letto e riletto le sue lettere, i diari e i libri, partendo da piccoli estratti per utilizzarli e ritagliarli fino a trovare una continuità narrativa fra vita e opere».

Si parte così dall’infanzia in California, si passa attraverso il primo matrimonio e al trasferimento in Francia dove avviene l’incontro epifanico fra parola e cibo, fino al lutto per la morte del secondo marito e la necessità di continuare a vivere e, quindi, a scrivere. Il risultato è una densa narrazione visiva e sentimentale in cui si viene catapultati all’interno dei libri e dei pensieri di Fisher stessa: «M.F.K. parlava di cibo, vita, amore, perdita e piacere con una voce chiara e appassionata, in un modo che prima non era stato esplorato da molte persone», prosegue Bezat: «Contribuì a plasmare la rivoluzione gastronomica degli Stati Uniti che, dal pane bianco e le zuppe in scatola, avrebbe portato al riconoscimento, l’interesse e l’orgoglio per la cultura gastronomica americana. Non è un film a proposito dei dettagli della vita di Fisher, che possono essere letti nei suoi libri. È un film sulle sue parole, la loro bellezza e l’influenza che hanno avuto. È un film sulle emozioni che le sue parole hanno lasciato in noi. Per tutta la vita è rimasta fedele a un’idea: imparare a mangiare è essenziale per imparare a essere umani».

Courtesy of Gregory Bezat/The Art of Eating

Una sezione centrale del documentario, necessaria per ricostruire e comprendere l’universo di M.F.K. Fisher, viene affidata alle persone che hanno condiviso una parte del suo percorso. C’è la figlia Kennedy, che ripercorre l’infanzia e la sfida di Fisher come scrittrice e madre single, l’impatto avuto nella scrittura e per l’emancipazione femminile raccontato dalla scrittrice Ruth Reichl, l’elogio di Jacques Pépin, l’ispirazione per la cucina e i valori che ha poi continuato a trasmettere Alice Waters al suo Chez Panisse di Berkeley: «Prima del food blogging e delle storie di Instagram, prima di Anthony Bourdain, prima del biologico e dei ristoranti farm-to-table, c’era M.F.K. Fisher», conclude Bezat. «Fisher è stata la prima scrittrice di narrativa gastronomica, scrisse forti, brillanti prose a proposito della forza degli appetiti personali e del piacere della tavola. John Updike la definì poetessa degli appetiti, questo perché la sua influenza va oltre il food writing. Credo che la forza delle interviste presenti nel documentario sia che queste persone avevano profondamente a cuore M.F.K. Perché fu – ed è tuttora – una fonte di ispirazione, di incoraggiamento e di influenza per tutti coloro che la leggono».

Nonostante alcune scelte di regia che richiedono un’attenzione costante (per la decisione di non avere il narratore e alcuni temi fondamentali coperti forse troppo velocemente), The Art of Eating” è un tributo indispensabile alla figura di una scrittrice quasi sconosciuta in Italia (l’ultima traduzione italiana risale al 2014, per Neri Pozza Editore) e, soprattutto, di una donna che ha saputo fare del cibo la chiave con cui dare spazio ai propri appetiti e alle proprie idee, interpretando se stessa e gli altri una pagina dopo l’altra.

«Tutti gli esseri umani sono affamati», spiegava Fisher in How to Cook a Wolf”. «Lo sono sempre stati. Dobbiamo mangiare, e quando ci neghiamo il piacere di soddisfare questo bisogno, stiamo tagliando fuori la nostra possibile pienezza, la nostra naturale realizzazione».