C’è stato un momento – due giorni, per la precisione – in cui è sembrato che anche la sinistra, in Austria, andasse a destra. Il congresso della Spö, la principale forza di centrosinistra del Paese, sabato scorso ha eletto segretario Hans Peter Dosksozil, governatore del Burgenland noto per le sue posizioni anti-migranti. Ma avevano sbagliato a contare i voti dei seicento delegati, invertendo le percentuali dei candidati, pare per un errore con le tabelle Excel in cui erano stati trascritti i risultati. Finalmente martedì, dopo un ulteriore riconteggio, è stata confermata la vittoria di Andreas Babler, sindaco di Traiskirchen dell’ala sinistra del partito.
La corrente Brennero del Pd
Leggiamo ogni giorno delle traversie dei progressisti nostrani, quelli austriaci non se la passano meglio. Chissè se al Nazareno avranno tirato un sospiro di sollievo. Babler si è scusato per il danno d’immagine, ma nei sondaggi è secondo, un punto sopra i Popolari al governo (Övp). Al primo posto si attesta, al ventotto per cento, il famigerato Partito delle libertà (Fpö) sovranista, riemerso dagli scandali, sempre filorusso ed euroscettico. Nei due giorni in cui è stato segretario, e in cui parlava come tale, Dosksozil prometteva una rimonta nei settori dell’elettorato passati ai populisti. «Non ho bisogno dell’Fpö, ma dei suoi voti», teorizzava a maggio.
Il congresso dei socialdemocratici è stato a suo modo traumatico. Ha archiviato la leadership più centrista di Pamela Rendi-Wagner, alla loro guida dal 2018, negli anni all’opposizione. L’ex ministra, classe 1971, ha addirittura annunciato il ritiro dalla politica dopo essere arrivata terza nelle preferenze degli iscritti, dietro Babler e Dosksozil. Il corpo del partito, insomma, ha premiato gli estremi: il governatore anti-migranti alla fine ha perso contro il sindaco della cittadina con il più ampio centro d’accoglienza dell’Austria. Babler che nel 2020 definiva l’Unione europea «un’alleanza militare aggressiva» e «peggiore della Nato».
Ritorno di fiamma
Smaltita la figuraccia, va scritto il programma targato Spö per le prossime europee. A Strasburgo appartiene al Pse, la stessa famiglia politica del Pd italiano, e quindi al gruppo dei Socialisti e democratici. Il possibile, anzi secondo molti probabile, vincitore del voto nel giugno 2024 potrebbe essere il Partito delle libertà (affiliato invece a Identità e democrazia, come la Lega). L’Fpö sembrava non potersi riprendere dall’IbizaGate, costato le dimissioni a Heinz Christian Strache che aveva portato i sovranisti al potere nella coalizione con Sebastian Kurz. Quattro anni dopo è risorto, intercettando probabilmente il voto di protesta.
Il ritorno di una formula turchese-blu, dai colori di Övp e Fpö, si è già visto dopo le elezioni nel Land di Salisburgo. Neppure un mese fa, i Popolari per governare hanno preferito allearsi con i sovranisti rispetto alle larghe intese con il centrosinistra. È il terzo Länder (gli altri due sono Alta e Bassa Austria) a passare a una coalizione di destra-centro: oggi a livello locale, domani forse a Ballhausplatz, la sede della cancelleria federale a Vienna. L’attuale inquilino è Karl Nehammer, ex ministro dell’Interno promosso nel 2021 dopo l’implosione della stella di Kurz e la reggenza di Alexander Schallenberg, con un tandem Övp-Verdi.
Un impresentabile per la «fortezza» alpina
Gli elettori dei due partiti sarebbero a favore di un nuovo apparentamento, secondo un sondaggio di Atv. Qui entra in scena Herbert Kickl, il capo dell’Fpö. Chiama se stesso «il cancelliere del popolo», con un frasario da Anschluss. La xenofobia ha pagato. L’Austria, l’anno scorso, ha registrato centomila richieste d’asilo: più del 2015, piena «crisi» migratoria. Durante la pandemia, il Partito delle libertà ha contestato le restrizioni e bollato le vaccinazioni come «un esperimento genetico». Vantava (come la Lega) un accordo di cooperazione con Russia Unita di Vladimir Putin, a cui è rimasto fedele a giudicare dall’avversione dimostrate nelle dichiarazioni pubbliche per l’Ucraina.
Kickl definisce «senza senso» le sanzioni alla Federazione russa. Al posto del cancelliere, ha detto, avrebbe speso il veto di Vienna al Consiglio europeo per bloccarle. «Il sostegno all’Fpö in passato è stato volatile e questo rimbalzo sembra dettato più dalla frustrazione per le disfunzioni dell’attuale esecutivo che non dalle speranze di un rinnovamento sotto l’estrema destra», ha scritto Politico in un profilo sulle sintonie «austro-ungariche» ai danni di Kyjiv. Da ministro dell’Interno del governo Scholz I, Kickl aveva fatto parlare di sé a Bruxelles per aver ribattezzato «centri di partenza» gli hotspot per rifugiati. Una delle ultime proposte del suo programma identitario è sussidiare le taverne dei piccoli centri, ma solo «se servono piatti tradizionali e tipici».
La neutralità che scricchiola
Viktor Orbán è un riferimento per questa classe dirigente. Nella stessa area geografica, in Slovacchia sta vivendo un revival populista anche Smer, il partito socialdemocratico di nome ma populista di fatto dell’ex primo ministro Robert Fico. È primo nelle intenzioni di voto (si va alle urne a fine settembre) e, se eletto, Fico ha promesso di interrompere il sostegno militare all’Ucraina. Per l’Austria, che è neutrale per costituzione, gli aiuti non umanitari si sono limitati all’invio di elmetti. Vienna ha esitato persino sullo sminamento. È una violazione della neutralità?
Il governo si è spaccato, è stato richiamato all’ordine dal presidente della Repubblica Alexander Van der Bellen e alla fine ha stanziato due milioni di euro. Per capire queste titubanze, bisogna guardare la Storia nazionale: nel 1955 la neutralità viene recepita in cambio del ritiro delle truppe sovietiche, poi per decenni l’Austria si pone come un ponte tra Russia ed Europa. Sotto la superficie, ha denunciato questa settima Politico, «i legami commerciali tra i due Paesi restano intatti, specialmente nei settori dell’energia e della finanza» in virtù di un approccio opportunistico da parte di Vienna.
Mosca rimane il secondo investitore straniero in Austria dopo la Germania. Le imprese austriache si sono ritirate dalla Federazione in una proporzione minore di quelle di altri Stati membri: due terzi sarebbero ancora attive. Il colosso energetico Omv non ha stracciato il contratto, firmato nel 2018 da Kurz e Putin in persona, per una fornitura di gas fino al 2040 nonostante il governo, che ne controlla il trenta per cento, intenda azzerare le importazioni dal Cremlino entro il 2027. «Per fare da ponte, servono due sponde e al momento non esistono», ha risposto a Politico il ministro degli Esteri Schallenberg.
«Quando una nazione è in preda al wishful thinking neo-imperialista e crede di poter ridisegnare i confini con i missili e i carri armati e di negare l’esistenza di un Paese confinante, allora non ci sarà un’altra sponda», ha messo in chiaro Schallenberg. Il suo partito, a livello locale, sta risperimentando alleanze con i sovranisti che credono alla propaganda putiniana e sconfesserebbero frasi sacrosante come le sue. Specie se tornassero al potere, magari con la benedizione dell’Övp. Esauriti i cromatismi delle coalizioni arcobaleno, sull’Austria si allungherebbero nuvole nere.
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