Tra gli effetti della scomparsa di Silvio Berlusconi ci sono, soprattutto, contrapposizioni. La prima, più profonda, è quella legata alle diverse analisi sulla sua eredità (dibattito che non si esaurirà oggi ma tornerà, ciclicamente, negli anni). La seconda, scontata e inevitabile, è quella che si scatenerà in Forza Italia sulla direzione che prenderà il partito. La terza è quella che riguarda il futuro del Partito popolare europeo (Ppe), ora che una delle sue figure più ingombranti è venuta meno.
In questi giorni, in cui le analisi si concentrano sul piano nazionale, la vicenda rischia di passare in secondo piano, ma potrebbe influenzare il futuro a breve termine del Paese e delle istituzioni europee molto più delle altre.
La figura di Berlusconi nel Ppe, infatti, è sempre stata ambivalente. Da una parte, amava presentare se stesso e il suo partito come unico argine all’estremismo di ogni natura, autentica forza liberale in grado di rappresentare trasversalmente la società. Dall’altra, sul piano nazionale Berlusconi non ha mai disdegnato il dialogo con l’estrema destra, da Alleanza Nazionale fino a Fratelli d’Italia.
Una linea che nei popolari europei non è mai stata accolta all’unanimità: se alcune forze del Ppe nei loro contesti nazionali hanno talvolta creato alleanze con soggetti alla loro destra, non mancano esempi di partiti che hanno fatto del rifiuto di ogni intesa del genere uno dei loro tratti identitari (si pensi ai cristiano-democratici tedeschi).
In generale, la linea dei Popolari europei è sempre stata quella di evitare un dialogo strutturale con la destra al Parlamento europeo, dove oggi questa è divisa tra il gruppo di Identità e Democrazia (dove siede la Lega) e il gruppo dei Conservatori e riformisti europei (Ecr, di cui è membro Fratelli d’Italia).
Con la morte di Berlusconi, la questione è destinata a riproporsi con più urgenza. La scomparsa dell’ex presidente del consiglio italiano, infatti, lascia il Ppe senza una solida base in Italia, dato che Forza Italia è una forza di minoranza nel governo ed è il quinto partito nei sondaggi. Per di più, alle elezioni europee manca solo un anno: e per il Ppe sarà difficile rosicchiare una quota consistente dei voti di Meloni nell’elettorato di destra, per ottenere più seggi di FdI tra quelli previsti per l’Italia al Parlamento europeo.
Un’alleanza tra Ppe ed Ecr, dunque, potrebbe permettere ai due partiti di compensare le rispettive debolezze elettorali, arrivando a contendere ad altri gruppi (soprattutto Socialisti&Democratici e Verdi) le nomine centrali della prossima Commissione europea. L’attuale presidente dei Popolari, il tedesco Manfred Weber, ha dato molti segnali di voler lavorare in questa direzione, e lo stesso Berlusconi, negli ultimi mesi, stava rivalutando positivamente l’ipotesi.
In effetti, lo stesso Berlusconi, in parte, ha favorito quest’avvicinamento. Prima di tutto, con l’alleanza con Fratelli d’Italia, frutto di diatribe nel Ppe. Prima delle scorse elezioni politiche italiane, Weber disse di considerare Forza Italia la garanzia dell’europeismo della coalizione del centrodestra italiano, freno alle posizioni più spigolose di Meloni e Salvini.
All’epoca, non mancò chi chiedeva al partito di sconfessare la linea di Berlusconi, riaffermando un confine netto tra Ppe ed estrema destra. Le critiche a Weber si estesero anche ad altre forze politiche europee, che ribadivano la necessità di mantenere attivo il cosiddetto «cordone sanitario» vigente a Bruxelles contro l’estrema destra.
Ma la nascita del governo Meloni, sancendo la vittoria della linea Berlusconi, ha creato un precedente importante, dato che riguarda uno dei Paesi più rilevanti nell’Ue in termini politici ed economici. Chi, nel Ppe, vorrà ribadire il rifiuto di una collaborazione con Ecr o Id, si troverà più isolato di quanto è avvenuto nelle scorse legislature europee.
Più recentemente, inoltre, le parole di Berlusconi su Volodymyr Zelensky, che rilanciavano di fatto l’interpretazione putiniana dell’origine del conflitto e addossavano a Kyjiv la responsabilità della guerra, hanno favorito un ulteriore avvicinamento tra i popolari, tradizionalmente critici verso Russia e Cina e l’Ecr, dove le delegazioni nazionali più rappresentative sono quella italiana (con FdI schierato nel sostegno all’Ucraina) e quella polacca (da sempre su posizioni antirusse). In quell’occasione, Weber stesso fu costretto a prendere le distanze, e Meloni, ribadendo la sua linea a favore di Kyjiv, potè accreditarsi come garante dell’aderenza italiana al blocco atlantico.
Per capire meglio che strada prenderà il progetto di un’alleanza Ppe-Ecr sarà centrale osservare gli sviluppi interni a Forza Italia. Ad oggi però, il partito orfano di Berlusconi, che ha goduto di una centralità assoluta nella cosiddetta seconda repubblica, è una forza politica minoritaria tanto nel governo quanto nel sistema politico complessivo. Sebbene il suo peso parlamentare lo renda in grado, in alcune occasioni, di influenzare la maggioranza minacciando la rottura, questo non è ancora mai avvenuto.
Le elezioni europee del giugno 2024 potrebbero mostrare un’ulteriore marginalità di Forza Italia, ribadendo la predominanza di Giorgia Meloni nel centrodestra italiano e mettendo il Ppe di fronte all’opportunità (e forse al dilemma) di un’alleanza con l’Ecr, che potrebbe mettere FI ancora più all’angolo sul piano nazionale. Uno scenario che andrebbe ad aggiungersi ai tanti elementi dell’eredità di Berlusconi.