Niente flash Chi lavora in sala ha diritto alla privacy?

Si può chiedere a un cliente pagante di non usare lo smartphone per foto o video che riprendano o anche registrino viso e voce di chi serve in sala? Vale anche se si tratta di influencer o giornalisti? Ecco cosa dicono la legge e i professionisti dell’accoglienza

Foto di Valentin B. Kremer su Unsplash

Andrea Silvello, proprietario del profilo Instagram @topchampagne.it, ha prenotato, consumato e pagato una cena presso il ristorante Lido84. Durante il servizio al tavolo una delle persone che se ne stava occupando gli ha chiesto di non essere filmato, né che la sua voce fosse registrata. L’influencer ha subito smesso di riprendere. Ma sembra che lo stesso concetto in seguito gli sia stato nuovamente ribadito, più volte, rovinando l’esperienza di quello che resta comunque un cliente pagante. Terminata l’esperienza, Silvello ha raccontato la vicenda in alcune stories. 
Nasce la classica domanda spontanea. In un tempo in cui chi sceglie di fare un’esperienza enogastronomica impugna il cellulare sin dalla porta del ristorante per riprendere e fotografare tutto, dai piatti sino al toilet selfie, chi lavora in questo campo può chiedere di esercitare il proprio diritto alla privacy? Chi si “esibisce” al guéridon ha il diritto di chiedere di non essere ripreso?

Diritto alla privacy del personale di sala: cosa dice la legge
Maître, sommelier e camerieri sono, prima di tutto, delle persone. In quanto tali, sono tutelati come tutti noi dalle leggi che disciplinano il trattamento dei dati personali. «Se registro una voce o ritraggo una persona in modo che sia identificabile, anche in un luogo aperto al pubblico come un bar o un ristorante, sto trattando dei dati personali» spiega Sarah Ungaro, avvocato e consulente senior dello Studio Legale Lisi. «Se faccio una foto o un video e resta nello smartphone per tenerne memoria, la cosa finisce lì. Ma se foto o video vengono fatti per motivi professionali e ritraggono il personale di sala in modo da poterli identificare, questi soggetti devono prestare il loro consenso, anche oralmente. Se non ci fosse questo passaggio, non si dovrebbe procedere alla registrazione, poiché fotografare o registrare una persona, anche solo registrare un audio in cui questa è identificabile tramite la voce, integra un trattamento di dati personali».

I riferimenti di legge in cui si inquadra il fenomeno sono il famoso Gdpr 2016/679, il decreto legislativo 196/2003, il codice in materia di protezione dei dati personali e la legge sul diritto d’autore. Infatti, se un influencer o un giornalista pubblicano una foto del personale di sala, in cui i soggetti sono riconoscibili, su un articolo o in un profilo professionale, scatta la tutela della legge 22 aprile 1941, in particolare degli artt.96 e 97 che disciplinano la pubblicazione delle immagini che ritraggono le persone.
Inoltre, il video o la registrazione della descrizione minuziosa di un piatto potrebbe diffondere informazioni che l’azienda destina ai clienti, ma che non vuole escano dal ristorante. «Non c’è una legge specifica che andiamo a infrangere, ma si potrebbe arrecare un danno al ristoratore, divulgando informazioni che potrebbe voler riservare ai propri avventori per motivi commerciali, al fine di evitare che magari alcuni dettagli relativi alla preparazione di un piatto del suo locale siano divulgati ai suoi competitor».

Casa propria, regole proprie
Per Matteo Zappile, general manager di Il Pagliaccio, ristorante due stelle Michelin di Roma, tutto inizia dal buon senso. «Chi sceglie di venire in un ristorante come il nostro si prepara a vivere un’esperienza, che noi costruiamo dal momento in cui prenota sino a quando esce. L’esperienza deve essere anche intima e rispettare la privacy degli altri. Ciò che permettiamo è la ripresa o la fotografia di tutto ciò che attiene al proprio tavolo, i propri piatti, le proprie bottiglie, senza audio. Non è concesso riprendere ciò che avviene in cucina, gli altri clienti presenti nel ristorante, gli altri ambienti. Poi basta chiedere: “Scusi, posso riprenderla durante il servizio?”. Se c’è un consenso, allora può farlo».

C’è chi, pagando, sente di avere il diritto di fare un po’ ciò che desidera del tempo e dell’esperienza gastronomica vissuta. Ma non è così. «A meno che non sia concordato con lo staff per ragioni professionali, non permettiamo di riprendere gli addetti di sala. Pagare non dà diritto a riprendere tutto ciò che c’è nel ristorante, ma a vivere un’esperienza legata ai singoli clienti». La professionalità del personale in sala sta anche nell’invitare i clienti ad abbandonare la pedissequa documentazione del proprio pasto, invitando a vivere la propria di esperienza ed evitando di accendere i riflettori su chi magari non lo desidera.

A Zappile fa eco Achille Sardiello, maître sommelier del ristorante stellato Pipero a Roma. «La buona educazione deve esserci anche nel cliente, che non deve pensare che chi va al ristorante e paga può fare quello che gli pare. Si va in un ristorante, magari stellato, per vivere un’esperienza di piacere. Il telefono dovrebbe passare in secondo piano. Chi viene per mettere stories o fare recensioni ha solo voglia di esibire la propria presenza in quel posto. Anche se la comunicazione è molto importante per un ristorante, bisogna saper rispettare dei limiti, come quello imposto dalla presenza di altri clienti, di cui è necessario tutelare la privacy».

Parlare di servizio fa bene alla ristorazione
Sul suo profilo Instagram Carlo Maldotti si definisce “sommelier, presenza ingombrante di sala”. Dopo esperienze importanti come quella da Spazio, il bistrot di Niko Romito a Milano, Maldotti è ora il maître e sommelier di La Sala Bistrot. «In questo momento storico della ristorazione, la sala ha bisogno di essere raccontata, anche più della cucina» sottolinea. «È curioso vedere come la polemica sorta attorno a questo servizio presso Lido84 sollevi attenzione. È stato probabilmente un attrito tra loro non strettamente legato all’esercizio professionale, eppure ha condizionato tutta l’esperienza di un ristorante molto famoso, dove molti di noi sono stati benissimo».

Per Maldotti riprendere o fotografare una persona che sta lavorando in un ristorante è ormai una cosa normale per i clienti. «Non chiedono più il permesso e, nel momento in cui non ci sono minorenni o altri impedimenti, non c’è alcun riguardo. Il paradosso sta nell’obbligo per il ristoratore di dichiarare la presenza di telecamere di videosorveglianza, mentre non viene in mente a nessuno di chiedere il permesso di filmare chi sta lavorando. Tuttavia, il ristoratore sa che le foto e le riprese producono contenuti che aiutano l’attività stessa. Ormai la comunicazione è il terzo reparto di un’attività. Più che dell’accaduto, dovremmo parlare maggiormente dei servizi fatti bene, raccontare quanto è importante il nostro lavoro, trasmettendo ai giovani quanto possa essere soddisfacente raggiungere gli obiettivi con la giusta cura e passione. Ci hanno insegnato a coccolare il cliente, a mantenerlo rilassato affinché i sensi siano attivi per recepire l’esperienza. Quello che stiamo creando è un ricordo: il cibo si digerisce, il vino lo bevi, il resto è memoria. Qualcosa può sempre andare storto: un imprevisto, un errore, un irrigidimento, non bisogna mai abbandonare il campo prima che finisca la partita, fino a quando il cliente lascia il ristorante c’è sempre tempo per poter recuperare e riportare la corretta distensione. Fabio Catino non faceva che ripeterlo e negli anni di lavoro passati sotto la sua direzione abbiamo sempre gestito situazioni complesse in questo modo».

Poi per le persone di sala c’è ancora un mistero da risolvere. «In tutti questi anni in cui il telefono è diventato un’estensione dei nostri arti, ogni volta che apparecchiamo, che serviamo una portata, riesce sempre ad essere nella posizione esatta in cui non dovrebbe mai essere in quel momento».

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