Questo articolo di Viktoriya Amelina è stato pubblicato originariamente su Eurozine il 31 marzo 2022 in inglese.
Testo tradotto in italiano da Flavia Bevilacqua.
Mentre il popolo ucraino sta difendendo da un mese a questa parte il proprio Paese da una superpotenza atomica, la comunità culturale occidentale discute se rompere i rapporti con la Russia o no. Ci si potrebbe chiedere tra i due chi sia il più esausto. Gli intellettuali occidentali sono alla ricerca di russi buoni da “salvare” dalla Russia cattiva – forse perché “salvare” gli artisti ucraini sarebbe molto più difficile.
Anche se Wikipedia dice che sono una «pluripremiata scrittrice ucraina», ora passo le mie giornate a fare volontariato in un magazzino di aiuti umanitari a Leopoli. Tuttavia, non posso fare a meno di notare l’ironia di queste “operazioni di salvataggio”.
Per esempio, dopo aver ballato per anni per l’élite assassina russa, la ballerina russa Olga Smirnova ha improvvisamente denunciato la guerra e ha lasciato la Russia per ballare con il Balletto Nazionale Olandese. A differenza di lei, la stella del balletto ucraino Artem Datsyshyn è morto dopo che i russi hanno bombardato Kyjiv. Non lo vedrete sul palco.
Dopo aver prodotto per anni fake news in difesa dell’aggressione russa, la propagandista russa Marina Ovsyannikova è apparsa improvvisamente sullo schermo per pochi secondi con un manifesto che diceva “No war” e ha ottenuto milioni di sostenitori.
La giornalista ucraina Oleksandra Kuvshinova è morta quando il fuoco russo ha colpito il suo veicolo alla periferia di Kyjiv, dove stava rischiando la vita per raccontare la verità al mondo. Non vedrete Oleksandra sullo schermo.
Dopo aver scritto libri intrisi di sentimento imperiale che hanno insabbiato la storia russa e ispirato l’ennesimo omicidio di massa degli ucraini, gli autori russi vorrebbero essere visti come appartenenti a “un’altra Russia” e riscuotere il sostegno del mondo. Ma autori come Boris Akunin sono pronti a smettere di promuovere la visione russo-centrica della storia dell’Europa orientale e a riconoscere che la Crimea appartiene indiscutibilmente all’Ucraina e ai nativi tartari di Crimea, che fanno parte della nazione politica ucraina?
Al contrario, il regista ed ex prigioniero politico Oleg Sentsov, anch’egli originario della Crimea, e i romanzieri Artem Chekh e Artem Chapaye rischiano attualmente la vita servendo le truppe ucraine.
Il poeta Serhiy Zhadan è rimasto in una Kharkiv assediata per sostenere i suoi concittadini. Molti altri scrittori ucraini hanno intrapreso il lungo e pericoloso viaggio verso l’ovest del Paese dopo aver trascorso settimane nelle scantinati e nei rifugi antiatomici con i loro figli. Tutti loro sono stati testimoni di qualcosa che non sanno ancora descrivere o ricordare con chiarezza; sono ancora troppo disorientati dalle scene apocalittiche piene di cadaveri dei loro vicini.
Eppure, riceviamo ripetutamente inviti a partecipare a discussioni russo-ucraine sulla pace. Non solo dobbiamo assistere all’omicidio di massa e alla distruzione del nostro patrimonio ucraino, ma anche, parallelamente, al dibattito su se il mondo debba tagliare i legami culturali con la Russia o meno. Non ho nulla da aggiungere a questa discussione russo-centrica; voglio solo che finisca.
Il dibattito sul boicottaggio della cultura russa non è ciò di cui i circoli artistici e intellettuali occidentali dovrebbero preoccuparsi ora. Almeno non se hanno a che fare con l’Europa e i suoi valori di diritti umani, dignità e solidarietà. Perché mentre il mondo discute se cancellare o accogliere artisti e scrittori che improvvisamente hanno voglia di lasciare la Russia in mezzo al suo collasso economico, trascura la questione cruciale: la Russia riuscirà a giustiziare la cultura ucraina ancora una volta?
Prima dell’nvasione su larga scala, quando la minaccia era già nell’aria, continuavo a pensare al Rinascimento Giustiziato dell’Ucraina. Negli anni Trenta, il regime sovietico-russo uccise la maggior parte degli scrittori e degli intellettuali ucraini. I pochi sopravvissuti erano spaventati e non erano liberi. E ovviamente non era la prima volta che l’élite ucraina veniva cancellata o costretta ad assimilarsi alla cultura imperiale russa. Le purghe e secoli di pressioni inimmaginabili sono il motivo per cui non si sente spesso parlare di grande letteratura, teatro e arte ucraina. Quando si guarda alla mappa dell’Europa, si vede Dante qui e Shakespeare, ma solo un grande vuoto dove la cultura ucraina avrebbe dovuto essere, per rendere l’Europa intera e sicura.
Ora c’è la concreta minaccia che i russi riescano a uccidere un’altra generazione di cultura ucraina – questa volta con missili e bombe. Per me, significherebbe che la maggior parte dei miei amici verrà uccisa. Per un occidentale medio, significherebbe solo non vedere mai i loro quadri, non sentirli leggere le loro poesie e non leggere mai i romanzi che devono ancora scrivere.
«I manoscritti non bruciano», dice il diavolo nel Maestro e Margherita di Mikhail Bulgakov. Poi il diavolo si rivolge al suo servitore, un gatto: «Vieni, Behemoth, prendiamo il romanzo». I manoscritti russi non bruciano; questo potrebbe essere vero. Ma agli ucraini non resta che una risata amara. Sono i manoscritti imperiali a non bruciare; i nostri sì.
Avete mai letto “Le beccacce di bosco” dello scrittore ucraino Mykola Khvylovy? Nemmeno io. E il diavolo del libro russo non ci aiuterà. I russi hanno distrutto la seconda parte del manoscritto di Khvylovy, confiscando tutte le copie della rivista ucraina che ne parlava. Non è mai stata ritrovata una sola copia. La rivista fu confiscata nel 1933, lo stesso anno in cui Khvylovy morì a Charkiv.
A quel tempo, agli ucraini della città erano stati confiscati tutti i generi alimentari dal regime. Milioni di persone morirono nell’Holodomor, oggi riconosciuto come genocidio. Il crimine “minore” di confiscare la rivista e distruggere un’altra opera della letteratura ucraina passò inosservato per anni. La maggior parte di coloro che potevano esserne a conoscenza furono giustiziati.
Vite, dipinti, musei, biblioteche, chiese e manoscritti ucraini bruciano. Stanno bruciando adesso. Forse è giunto il momento di spostare il dibattito dalla questione se il mondo debba “perdonare” l’arte e la letteratura imperiale russa a come evitare che una delle culture europee diventi un altro Rinascimento Giustiziato.
Non sono mai stata una fan della Cancel Culture. Ma forse la Cultura dell’Esecuzione che i russi hanno ripetutamente esercitato sugli ucraini liberi è qualcosa che il mondo vorrebbe fermare prima che sia troppo tardi, un’altra volta.