Per qualcuno è il più veloce e banale pranzo “al volo” da bar e Autogrill, a base di pane rinsecchito, spalla cotta e scialbe fette di formaggio più o meno filante, e per altri è un escamotage per mettere insieme la cena in famiglia quando il frigo è quasi vuoto, magari dandogli un’aura di “serata senza regole” esonerata dalla noiosità delle raccomandazioni nutrizionali per i più piccoli (e non solo per loro). Per altri ancora rappresenta una vera e propria madeleine proustiana, tra ricordi d’infanzia spalmati di burro e affetto, o anche il simbolo della conquistata indipendenza adolescenziale, perlomeno sotto il punto di vista gastronomico.
Così è stato per chi scrive e sua sorella, le cui prime serate a casa da sole furono all’insegna di birre “speciali” scelte con cura sugli scaffali del supermercato più fornito – all’epoca quelle artigianali erano ancora un miraggio – e deliziosi toast opportunamente bruciacchiati in cui potevamo dare libero sfogo alla nostra creatività culinaria per ovviare alla monotonia di Sottilette e cotto (la specialità di cui andavamo più fiere: toast ai quattro formaggi ed erbe di Provenza, o almeno così avevamo ribattezzato l’insieme di prodotti caseari vari disponibili nel frigo, impreziosito dal mix di aromi nel vasetto di coccio che troneggiava sullo scaffale con allure esotica).
Tra storia, letteratura e leggenda
Eresia o avanguardismo gastronomico? Per molti, il toast non esce dal recinto squadrato delle due fette di pane in cassetta con prosciutto e formaggio. In realtà nasce ancora più semplice di così: se già Columella raccomandava di spalmare sul pane tostato “un velo di miele” e pecorino Caciofiore (antica specialità della campagna romana), all’inizio era per lo più una semplice fetta di pane tostato – tostum, in latino – che accompagnava le bevute. E ha continuato a farlo: dal vino aromatizzato medievale, servito nella coppa comune coperta dalla fetta che spettava all’ospite d’onore, fino alla Russia odierna, dove la vodka è accompagnata da fette di pane da annusare ripetutamente.
Non a caso, in inglese e in francese il toast è tanto il pane – in fetta singola – quanto il brindisi. In particolare quelli dedicati alle donne, usanza che si fa ricondurre ad Anna Bolena per via di un aneddoto citato da Alexandre Dumas nel suo “Grande Dizionario di Cucina” del 1870 (è solo un caso, invece, che in Catalogna il toast attuale si chiami bikini: il nome viene da quello di un locale, il Bikini di Barcellona, e dall’abitudine di mangiarli dopo i concerti. Mentre in America è semplicemente grilled cheese sandwich, o anche solo grilled cheese, con burro e Cheddar).
Non si sa bene quando le fette siano diventate due, cingendo prosciutto e formaggio e dorandosi in superficie: di certo ha aiutato l’invenzione del tostapane, ascritta allo scozzese Alan MacMasters, nel 1893, ma in realtà brevettata e perfezionata dall’americano Charles Strite nel 1919, con tanto di timer (ma com’è, allora, che ancora oggi è così difficile avere un toast tostato al punto giusto, né tiepidino e moscio né bruciato?). Ma già prima ci s’ingegnava con padelle o forni, e nei bistrot di Parigi il Croque Monsieur – variante locale e opulenta, che la tipica grandeur francese ha genialmente arricchito di besciamella o pastella a base di crème fraîche e formaggio da far gratinare o perfino di uovo, nella versione del Croque Madame – era già diffuso agli inizi del Novecento.
Marcel Proust lo cita pure nella sua “Recherche”, anche se a passare alla storia letteraria è stato soprattutto il dolcetto alle mandorle. Mentre risalirebbe al 1724 il French Toast che, a dispetto del nome, sarebbe nato negli Stati Uniti per mano di Joseph French: fetta di pane in cassetta inzuppata nelle uova sbattute, spesso con aggiunta di latte o panna, e poi fritta, è un must della ipercalorica colazione a stelle e strisce ma va bene anche come dessert (anche qui però, ci avevano già pensato i Romani, come nel Pan Dulcis tramandato da Apicio, e in generale le tante ricette di recupero del pane vecchio).
La rivincita all’insegna della qualità, e il ranking
Come che sia, il toast è restato e resta ancora spesso ai margini del “discorso gastronomico”, nemmeno preso in considerazione come argomento di discussione, sperimentazione o desiderio. Ma non per tutti è così, e anzi negli ultimi anni anche il quadrato farcito ha conosciuto la sua rivincita. Sono nate addirittura catene dedicate: dalla Toasteria Italiana nata a Peschiera del Garda nel 2013 (e oggi con una decina di indirizzi in Nord Italia) a ToasTiAmo (con una manciata di locali in Campania e Lazio) e CapaToast, la più diffusa con una quarantina di indirizzi in tutta Italia. Tutte puntano sulla versatilità di questo “format gastronomico” basico ma rivisto in chiave attenta alla qualità e alla salubrità e liberato dall’egemonia del ripieno binario: pani diversificati, senza alcol etilico, ingredienti spesso locali e identitari, grande fantasia nei ripieni che vanno dalle proposte healthy, light e veg a quelle più opulente. Basta poco, in effetti, a trasformare un panino dozzinale in una vera delizia.
Levoni, azienda italiana specializzata nella produzione dei salumi, ne ha proposto la sua “versione perfetta” da preparare a casa: il soffice e delicato shokupan – pane giapponese al latte, in cassetta, leggero ma dagli aromi burrosi – della bakery milanese Pan, formaggio vaccino dolce e il prosciutto cotto L’Artemano, succoso e moderatamente sapido. Ma si può giocare a piacere, rispettando (perlomeno nel caso della versione base) l’unica regola fondamentale: distanziare il prosciutto dal pane con due strati di formaggio, per evitare l’effetto asciutto.
La mappa dei toast di Milano
Delizioso e sano, se ben fatto, il toast è anche la scelta ideale per chi ama la colazione salata, accompagnato da caffè o spremuta. Non sempre è facile, però, trovare una proposta interessante nei bar italiani né segnalazioni a riguardo. Così Caterina e Niccolò, due amici e colleghi milanesi appassionati di cibo e con quest’abitudine in comune, hanno deciso di mappare i toast della città – con una particolare concentrazione nel quadrante di Milano Est, dove vivono e lavorano – perlustrando baretti “genuini e sinceri” e locali più blasonati alla ricerca della tostatura perfetta. È nata così, nell’autunno 2022, la pagina Instagram @vitetoaste_, che raccoglie ad oggi oltre 115 recensioni, con tanto di mappa e valutazioni.
Quattro i criteri qualitativi presi in esame, ciascuno con una emoji e un voto da 1 a 5: il pane, che sia soffice e poco “chimico”; il formaggio, ben filante; il prosciutto, lontano dalle proposte più scadenti; e la tostatura, rappresentata dalla fiammetta: «A noi piacciono ben tostati e croccanti», spiega Caterina. «Sembra una stupidaggine ma conta molto, spesso i locali accendono le piastre tardi e soprattutto al mattino è difficile trovare un toast caldo e ben piastrato». C’è poi una quinta voce, per cui il punteggio è inverso, vale a dire il prezzo: più è basso il voto, più il toast è costoso. Così ad esempio sandwich molto buoni, come quello di Marchesi o del bar della Fondazione Prada, si beccano un bel due da questo punto di vista.
Il loro preferito? «Difficile da dire, ce ne sono tanti di buonissimi Milano. Ma ci sentiamo di consigliare quello della Pasticceria Sissi in piazza Risorgimento: l’idea di @vitetoaste_ è nata proprio con questo toast. È un’attività storica, un punto di riferimento nel quartiere dove abitiamo e lavoriamo e il toast è davvero buono anche se non troppo economico: il pane è fatto da loro, il prosciutto è delizioso, c’è moltissimo formaggio ben filante e il pane è caldo ma non eccessivamente abbrustolito». Il feed è una carrellata di pani geometrici o artigianalmente irregolari, stagnole e tovagliolini griffati, tostature uniformi o a strisce, cascate di formaggio o tiepide gocce, accompagnate da brevi ed efficaci descrizioni che al freddo gergo tecnico sostituiscono le sincere emozioni di chi ama affondare il morso. E l’obiettivo è ampliare la ricognizione a tutta la città e raccontare un’abitudine (e un prodotto) che dà tanta soddisfazione.
Se il toast lo firma lo chef
Infine, il nostro amato toast – nella versione più pura, portata all’ennesima potenza di bontà, o in quelle decisamente creative – è arrivato perfino sulle grandi tavole e sui banconi più blasonati. Il più famoso è quello firmato da Niko Romito, che prendendo spunto dai ricordi di famiglia ne dà un’interpretazione ortodossa ma voluttuosamente buona: pane in cassetta a base di profumate farine di grani autoctoni come Saragolla e Solina, farcito con il gustoso prosciutto cotto a vapore e con l’intenso caciocavallo abruzzese dell’azienda Valle Scannese (fondata dal casaro e pastore Gregorio Rotolo e ora portata avanti dai nipoti). Un morso appagante, semplice ma incredibilmente delizioso, che si può assaggiare nei due indirizzi di ALT a Castel di Sangro e Montesilvano, dove il pane usato è quello del Laboratorio Niko Romito. Ma una versione appena diversa – con il pane in cassetta tostato in forno con il formaggio, poi completato dal prosciutto e reso croccante da un passaggio in padella – si trova anche al Reale, dove viene servito nella luculliana colazione.
Il toast è servito anche in vari Bulgari Bar ma con differenza di formaggio (a Parigi Comté, a Tokyo Asiago, per il resto fontina), e da poco anche al Caffè Bulgari di Roma, nel lussuoso hotel aperto a due passi dall’Ara Pacis, dove nel menu breakfast si può scegliere tra la versione cotto e fontina (accompagnato da giardiniera e patatine fritte nella carta all day) e quella con salmone selvatico Red King Alaska e avocado, sempre con pane del Laboratorio Niko Romito.
Lo chef Terry Giacomello, invece, ne propone una versione dolce decisamente spiazzante – ma molto interessante – in uno dei menu degustazione di NIN, il ristorante e “cantiere creativo” aperto a Brenzone sul Garda nella primavera 2023: le “fette” sono a base di latte soffiato, ovvero montato con colla di pesce e poi raffreddato in uno stampo apposito, ricoperto ai lati di meringa all’italiana bruciata; dentro, la gelatina di banana simula il formaggio, con tanto di angolino che esce fuori, e sul lato superiore della polvere di liquirizia disegna le tipiche strisce del tostapane. Accanto, un “ketchup” di ibisco. L’apparenza inganna, sapore e consistenza – cremosa e soffice – vanno da tutt’altra parte. «Lo serviamo come dessert, prima del nostro Limone Dimenticato», spiega Giacomello. «Siamo abituati a mangiare il toast sempre salato, perché invece non farlo in versione dolce?».
Il toast di stagione
Da Pandefrà – la bakery di Francesca Casci Ceccati a Senigallia, che ha affiancato al laboratorio un secondo punto vendita nel centro storico della cittadina marchigiana – la “base” per il toast è la pizza con il formaggio della tradizione. Da specialità pasquale protagonista della colazione accanto a uova sode, ciauscolo, salumi, frittata e altri assaggi salati, il soffice impasto a lievitazione naturale insaporito da Parmigiano Reggiano e da Pecorino Romano in cubetti diventa così un prodotto “all year long”. Da Pandefrà viene infatti proposto da ottobre a maggio, in purezza (da acquistare anche online o da gustare sul posto accompagnandolo con salame, formaggio e calice di vino) o in versione sandwich, tostata e arricchita da farciture mensili che seguono la stagionalità degli ingredienti. Si parte da ottobre, appunto, con cavolo cappuccio viola marinato, prosciutto cotto e robiola aromatizzata.
Pasticceria Sissi
P.za Risorgimento, 6 – Milano
ALT Stazione del Gusto Castel di Sangro
Statale 17, km 150, 3 – Castel di Sangro (Aq)
ALT Stazione del Gusto Montesilvano
Via Palmiro Togliatti – Montesilvano (Pe)
Ristorante Reale Niko Romito
Piana Santa Liberata – Castel di Sangro (Aq)
Bulgari Hotel Roma – Il Caffè
Piazza Augusto Imperatore, 18 – Roma
Ristorante NIN
via Giuseppe Zanardelli, 5 – Brenzone su Garda (Vr)
Pandefrà
Via Gherardi, 65 – Senigallia (An)