In “Siccità”, lo stralunato e forse profetico film di Paolo Virzì ambientato in una Roma da incubo dove non piove da tre anni e il Tevere è una distesa di zolle, l’emblema del lusso strafottente, politicamente scorretto e umanamente detestabile è il bagno notturno nella gigantesca vasca idromassaggio dove la diva svampita (Monica Bellucci) e lo scienziato ambientalista corrotto dalla tv (Diego Ribon) brindano con daiquiri ghiacciato alla loro reciproca seduzione, mentre in città si vende l’acqua al mercato nero e le blatte invadono il centro.
Le piscine potrebbero essere il nuovo emblema dello spreco inutile e offensivo, incompatibile con un’emergenza, quella climatica, che sta rimodellando il rapporto dell’essere umano con tutto ciò che è considerato lussuoso. E se ne stanno accorgendo anche i ricchi, che con i loro consumi hanno un impatto ambientale decisamente superiore alle fasce meno abbienti della popolazione. Il recente cambio di sensibilità è testimoniato dalla campagna “Green rider”, sostenuta da più di cento attori britannici (da Bella Ramsey a Paapa Essiedu) che stanno chiedendo accordi televisivi e cinematografici più rispettosi dell’ambiente. Il loro obiettivo è convincere le aziende ad aggiungere clausole contrattuali per rendere l’industria dello spettacolo più ecosostenibile.
Tornando alle piscine, i dati disponibili confermano il loro impatto sulle crisi idriche delle nostre città: sette su dieci sprecano acqua, la sola evaporazione ne abbassa quotidianamente il livello di due centimetri e ogni giorno il ricambio di acqua varia tra l’uno e il due per cento, una quantità pari a una vasca e mezza ogni quattro mesi.
Anche se in media il consumo idrico pro capite ammonta a duecentocinquanta litri al giorno suddivisi per manutenzione del giardino (trenta per cento), bagno (venticinque per cento), toilette (venticinque per cento), mentre il riempimento o il rabbocco di una piscina consuma solo lo 0,5 per cento dell’acqua di un’abitazione, sono elementi di spreco da non sottovalutare nel Paese dove, anche quando l’acqua viene centellinata, le perdite delle reti idriche obsolete sono una realtà e il quaranta per cento dell’acqua si perde durante il suo percorso in acquedotti pieni di falle.
In sintesi, un tuffo in piscina è un lusso che potrebbe diventare presto proibitivo dal punto di vista ambientale, anzi forse lo è già. Fin da marzo nelle province di Siena e Grosseto, nei Comuni serviti dall’Acquedotto del Fiora, è stato deciso, tra molte proteste, che dal primo giugno e fino al 30 settembre sarebbe stato vietato l’utilizzo dell’acqua potabile per le piscine degli agriturismi.
Già da mesi sei Comuni della Bergamasca hanno emanato ordinanze contro lo spreco di acqua che vietano di innaffiare orti e giardini e di riempire le piscine e coinvolgono alcune frazioni di Nembro, Alzano Lombardo, Valbrembilla, Albino, Gandellino e Oneta. Mentre sono a un livello di attenzione “elevato”, con “possibili criticità a breve”, altri trentasei Comuni sempre della Provincia di Bergamo.
Anche il Veneto ha giocato d’anticipo con un’ordinanza relativa alla possibile carenza di disponibilità idrica nel territorio. Il governatore Zaia l’ha motivata come «un livello di allerta che non richiede di imporre razionamenti, punto al quale speriamo di non arrivare». L’invito, però, ai cittadini e a tutte le istituzioni, è di «non sprecare acqua in nessun modo, intervenendo, fra le altre misure, nell’irrigazione dei giardini, chiudendo i pozzi a gettata continua, evitando sprechi nelle acque a uso pubblico».
Alfa Varese, la società pubblica che gestisce il servizio idrico integrato della Provincia di Varese ha deciso che per tutte le piscine di dimensioni superiori ai dieci metri cubi, prima di procedere al riempimento, è necessario compilare un modulo online o inviare una mail indicando i propri dati e il giorno e gli orari indicativi nei quali si intende operare.
Il rischio da evitare è quanto accaduto a Lenzari, una piccola frazione di Vessalico, in Valle Arroscia (nell’Imperiese), dove – malgrado un ordinanza dell’anno scorso che vieta l’uso di acqua potabile per tutti gli usi non essenziali – un forse ignaro turista tedesco arrivato nella sua casa delle vacanze ha pensato bene di riempire una piscina le cui dimensioni superano quelle della vasca che alimenta la rete idrica, svuotandola. E se in Italia la situazione è fluida e quasi interamente affidata agli enti locali, nei Paesi vicini ci si attrezza in vista dell’emergenza.
Lo scorso 5 maggio, il ministro per la Transizione ecologica della Francia, Christophe Béchu, ha presentato una delle nuove misure per limitare l’uso dell’acqua nei Pirenei orientali, un dipartimento che per più di un anno non ha conosciuto un giorno intero di pioggia. «Quando sei in una crisi come questa, è davvero molto semplice: c’è l’acqua potabile e nient’altro. Si possono concedere deroghe a margine, ad esempio per irrigare alberi appena piantati. Il divieto di vendita di piscine fuori terra è per evitare che le persone siano tentate di fare ciò che in realtà non gli è permesso fare comunque, ovvero riempirle. Non è una decisione del governo, è la realtà della natura e la situazione in cui ci troviamo, dobbiamo abituarci all’idea che il riscaldamento globale è cambiamento climatico, qui e ora. Dobbiamo uscire dalla nostra cultura dell’abbondanza».
Restrizioni idriche simili, anche se meno drastiche, sono in vigore in diverse parti del Paese e riguardano campi da golf, autolavaggi e, appunto, piscine. E anche i proprietari di pozzi, che non potranno sfruttare le riserve acquifere per innaffiare i propri giardini. In molte aree della Francia è parzialmente vietata anche l’irrigazione dei campi: si potrà fare, ma a giorni alterni. Infine, «le regole minime devono essere messe in atto dai prefetti in base ai livelli di restrizione – evidenzia Béchu –. Ma un prefetto può andare oltre».
Passando invece alla Spagna, nel Paese nei primi quattro mesi del 2023 è stato monitorato l’inizio d’anno più secco da quando sono iniziate le registrazioni negli anni Sessanta. La Catalogna e l’Andalusia meridionale sono state le più colpite. Di conseguenza sono state adottate diverse misure: rubinetti chiusi durante la notte, docce vietate nelle spiagge, piscine pubbliche svuotate, divieto di lavare l’auto per strada e di usare acqua potabile per irrigare piante e giardini.
La situazione, del resto, non è meno grave in Italia, dove i livelli delle acque sotterranee risultano pericolosamente bassi e il consumo pro capite di acqua potabile si attesta sui duecentoquindici litri per abitante al giorno, rispetto ai centoventicinque litri della media europea. Secondo Antonello Fiore, presidente Nazionale della Società italiana di geologia ambientale, quella di limitare all’indispensabile l’erogazione e il consumo di acqua potabile «è una decisione sacrosanta che andrà necessariamente estesa ad altri territori e che si sarebbe dovuta prendere anni fa, se davvero si pensa che l’acqua sia un elemento naturale prezioso e non inesauribile».
L’ottimizzazione dei consumi, aggiunge Fiore, «è una delle misure fondamentali per contrastare la siccità: in futuro andranno realizzati degli impianti di depurazione affinché le strutture che possiedono una piscina evitino di riempirla con acqua potabile. Detto ciò, non illudiamoci che questo basti. Non risolveremo la crisi idrica semplicemente vietando ai proprietari di piscine di riempirle con acqua buona da bere: si tratta di un segnale culturale e politico importante, ma siamo molto lontani dalla soluzione del problema».
Promuovere un uso efficiente dell’acqua, incentivando ulteriormente la riduzione delle perdite e i comportamenti virtuosi, è una strada: gli investimenti sono in costante aumento (crescita del ventidue per cento negli ultimi cinque anni) con un valore pro capite di quarantanove euro l’anno, che però è ancora lontano dalla media europea che è di circa cento euro.
Diversificare la strategia di approvvigionamento è un altro modo, con la produzione complementare di acqua potabile anche attraverso la dissalazione: in Italia le acque marine o salmastre rappresentano solo lo 0,1 per cento delle fonti di approvvigionamento idrico, contro il tre per cento della Grecia e il sette per cento della Spagna. E ancora, raccogliere le acque piovane sui tetti, come in uso nei paesi del Maghreb dove la scarsità idrica è una realtà da sempre.
Per le piscine, poi, c’è una piccola cosa da fare, molto semplice: evitare di svuotarla al termine della stagione calda, in modo da ridurre le spese di gestione ed evitare un inutile consumo di acqua. Basta una adeguata copertura affinché l’acqua rimanga più pulita e non evapori eccessivamente. E un’acqua pulita fa lavorare meno gli impianti di filtrazione e disinfezione. I produttori di piscine ormai propongono di routine soluzioni per impianti a risparmio energetico con vari sistemi per limitarne l’impatto. Basterà?