Le due leader non si fidano più delle rispettive squadre. Hanno dinanzi un anno complicatissimo e decisivo per le loro carriere e per le loro vite ma sono insoddisfatte del lavoro di parlamentari e ministri. Si avverte una specie di loro solitudine sulle plance di comando del Nazareno e di Palazzo Chigi. È spesso il destino dei capi: a un certo punto si guardano intorno dalle alture e vedono campi dissestati, truppe in affanno, generali introvabili, problemi di ogni sorta. Disertori ancora no ma chissà.
Elly Schlein e Giorgia Meloni stanno condividendo esattamente questa sgradevole sensazione di non essere comprese proprio dai “loro”. Che spesso paiono e forse sono realmente scarsi, come si dice nel calcio, non scattano a tempo quando loro due lanciano la palla avanti, pasticciano col pallone, non azzeccano un tocco: troppa rilassatezza nel caso dei seguaci di Elly, troppa confusione in quello degli amici di Giorgia.
Naturalmente quest’ultimo è un problema molto più rilevante, trattandosi del governo del Paese: e inquieta un tantino venire a sapere che la premier ha detto in pieno Consiglio dei ministri che «è difficile spiegare all’opinione pubblica quello a cui si assiste» in fatto di immigrazione, la qual cosa suona evidentemente come un’elegante reprimenda a Matteo Salvini e Matteo Piantedosi per la totale insipienza sulla materia in questione. Altro che difficile spiegare: è tutto chiarissimo, non sanno cosa fare.
Ecco perché la premier ha pensato di mettere il tema dell’immigrazione nelle mani di una cabina di regia guidata da Alfredo Mantovano (ormai un vicepremier ombra, altro che Salvini&Tajani) e in quelle dei servizi segreti di Elisabetta Belloni, forse una mossa filosoficamente affine a quella dell’affidamento al Cnel della pratica sul salario minimo.
Sintomi di un voler cercare altrove giocatori che ti capiscano. Quel che appare certo è infatti che la squadra non va, nemmeno le “riserve” del partito di Meloni, troppe uscite ridicole, troppe sovraesposizioni, troppe banalità, troppe parole dal sen fuggite: e qui ha chiamato la sorella a mettere un po’ d’ordine, vedremo con quali risultati.
Schlein invece ha affidato a delle «collaboratrici» – verosimilmente l’apparato tecnico del Nazareno – il compito di chiedere ai parlamentari del Partito democratico se questa estate oltre a prendere un po’ di sole hanno fatto anche qualcosa di utile per il Partito e che cosa: i compiti per le vacanze, insomma, sono stati fatti o no?
Un’iniziativa mai vista prima, almeno in questi termini: forse non ingiustificata dato il criticato (da dentro) fancazzismo di troppi deputati e senatori, ma abbastanza inelegante («ti contatterà una collaboratrice»).
All’epoca dei partiti veri si tenevano riunioni serie sulle cose fatte e quelle da fare ma erano altri tempi. In effetti però è vero che nel Partito democratico pare esserci solo Elly (secondo alcuni, purtroppo) con la sua chitarra intonando la “Before you accuse me” di Bo Diddley – mai titolo fu più emblematico – e smerciando improbabili riduzioni delle spese militari e quant’altro come se nei suoi girotondi hippy alla fine si ritrovasse sola a strimpellare il blues dell’opposizione.
Certo, forse è vero che «l’inferno sono gli altri» ma sorge anche il legittimo sospetto che questa solitudine sia colpa principalmente loro, delle due donne al comando, che cominciano a fare il vuoto intorno: un problema di direzione politica per la giovane estranea alla cultura dei partiti Elly, una questione di inesperienza/immaturità politica per la pur più esperta Giorgia. Destini plutarchianamente paralleli, nella vittoria e nella sconfitta almeno di una delle due.