Anni fa mi raccontarono che Pier Silvio Berlusconi diceva che la sua vita era cambiata quando aveva scoperto che, sulla barca, poteva far mettere una palestra. Se hai modo di non far sgonfiare il deltoide, allora sì che puoi restare in crociera un mese.
La presi per una fissazione di quelle da, appunto, palestrato: fisicamente, Pier Silvio non era in effetti dissimile da quelli che vedevi in palestra fare esercizi che li rendevano sempre più gonfi, e che la gente normale guardava chiedendosi «ma veramente pensi di essere tanto più figo quanto più somigli a un culturista?».
Poi è arrivato il mondo come è oggi, la gente ha iniziato a filmarsi, la palestra è diventata una tappa fissa della fotogenia, e sul mio Instagram non c’è tizio, da Paolo Stella a Luis Sal, che non sia devoto al muscolo e non s’instagrammi facendo pesi. Le femmine, da Donatella Versace a Gwyneth Paltrow, s’instagrammano facendo pilates.
Forse vi ricordate di quando esisteva l’estate. Ne avrete trascorse anche voi: erano quelle in cui la nostra vita cambiava. Non nel senso filosofico di «ho cambiato vita», proprio nel senso della scansione delle giornate.
Si andava perlopiù al mare, e c’erano piccole differenze (in albergo, in una casa, dai parenti, in affitto) ma le giornate funzionavano così: la mattina si andava al mare con la borsa frigo, il che già dice che era un altro secolo. Ieri ho letto che uno stabilimento balneare di Pozzuoli vieta l’ingresso se hai una borsa frigo, e ho pensato che neanche del meridione ci si può più fidare: mia nonna e la lasagna e la parmigiana che portava sotto l’ombrellone si stanno rivoltando nella tomba.
Si faceva il bagno, si pranzava, poi, visto che tanto c’erano da aspettare tre ore per fare il bagno, si risaliva a casa a fare il pisolino. A volte si scendeva di nuovo al mare nel pomeriggio, a volte si faceva un giro in paese, si prendeva il gelato, ci si procurava un sacchetto di gettoni e si telefonava a qualcuno lontano.
Non si faceva nessuna delle cose cui si era abituati in città: il pianoforte, il tennis, la televisione, il fast food. Giusto il cinema, ogni tanto, se all’arena estiva c’era un film che ti eri persa in prima visione. La vita aveva una stagionalità.
Ho un’amica emigrata (nel senso troisiano del termine) che non si capacita della vita a Milano. I suoi amici rimasti al sud, si lagna da anni, da maggio a ottobre fanno la pausa pranzo al mare. Lei mangia il poké di fianco all’ufficio, e le pare una cosmica ingiustizia impoetica: a Milano, dice, a novembre e a luglio si fa la stessa vita.
Il Grande Indifferenziato della stessa vita sempre e comunque mi è chiarissimo in quest’estate piersilvista in cui non c’è video di Instagram da barche altrimenti invidiabili che non smetta di sembrare paradisiaco nel momento in cui ti rendi conto che i ricchi di questo secolo, in barca, vanno sul tapis roulant.
Dalla barca degli eredi Del Vecchio a quella di Afef, è tutt’una navigazione filmata oltrebordo dai telefonini mentre fuori c’è il mare e sul ponte ci sei tu, inutilmente ricco, che sollevi pesi, allunghi elastici, sballonzoli sugli attrezzi.
Potrebbe essere una pagina del dossier «sarei un ricco migliore di te», questa delle palestre a bordo, o forse è una perversione ancora più da manuale delle malattie psichiatriche. L’altro giorno Beppe Sala ha instagrammato con struggimento la cyclette, e fuori non c’era una prua ma un terrazzino milanese. Sala lamentava di doverla abbandonare fino a settembre, e quindi siamo a questo: l’amore romantico per gli oggetti da palestra.
Temo non sia una malattia esclusiva della classe dirigente di sinistra: Ascanio Pacelli, già figaccione d’un Grande Fratello di vent’anni fa durante il quale s’innamorò della donna con cui è ancora sposato, instagramma la loro vacanza in America filmando con più voluttà di qualsiasi attrazione turistica gli attrezzi delle palestre in cui si fermano. C’entra il dovere della fotogenia e l’impossibilità di rischiare, in un mese senza allenamenti, di perdere il tono muscolare e quindi i cuoricini?
Adesso che viviamo nel Grande Indifferenziato in cui in città non ci sono le stagioni, e sempre lo stesso poké mangi, e al mare non ci sono le stagioni, e sempre la Virgin di corso Como ti porti pure sullo yacht, non mi sono meravigliata quando, giorni fa, mi è arrivato un video filmato da un bagnante a Portofino.
In acqua si riconosceva chiaramente Pier Silvio, in piedi su quella che una volta avrei creduto fosse una tavola da surf ma recentemente ho appreso chiamarsi sup: una tavola di quelle sulle quali ti muovi con un remo, come fossi Tom Hanks in “Cast Away” ma meno emaciato.
Pier Silvio pagaiava, ma c’era qualcosa di metropolitano nel suo profilo. Perché un uomo così evidentemente in un contesto marittimo mi sembrava invece un uomo nell’open space di Cologno Monzese? Che cos’aveva di indifferenziato quel tizio in canotta e bermuda e occhiali da sole? Ho ingrandito l’immagine e ho compreso.
Come un agente di “Mission: Impossible” che si sia dimenticato un pezzo di travestimento, Pier Silvio in bermuda e pagaia ha però in bocca la cosa meno acquatica che ci sia: il mezzo sigaro.
Ormai è andata così: per quanto ci allontaniamo e fingiamo che sia estate, resta sempre un pezzo di scenografia o di costumi o di trucco a tradirci. Tanto vale la prossima villeggiatura organizzarla direttamente alla Virgin di corso Como, dove hanno anche la nostra scheda gambe addominali glutei già pronta. Se sono furbi, per la prossima estate si equipaggiano d’un servizio sfondi marittimi da imprestarci per fare l’Instagram, e non ci sarà più bisogno di partire.