Rimandati a settembreLa melina del governo, i musi lunghi delle opposizioni, la maturità di Calenda

Il vertice sul salario minimo non ha prodotto niente, come prevedibile, e se da un lato Meloni prende tempo, dall’altro Pd-M5s-Sinistra non si fidano e fanno la faccia cattiva. In ogni caso, la discussione verrà ripresa nei prossimi mesi

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La notizia non è tanto come sia andato il vertice, da cui non poteva uscire nulla di concreto, ma è interessante quello che le opposizioni (sempre senza Matteo Renzi) si sono dette dopo, nella riunione tra di loro. Tra i musi lunghi e i sopraccigli incrociati di Elly Schlein, Giuseppe Conte, Nicola Fratoianni, Angelo Bonelli e un insolitamente rigido Riccardo Magi, senza giri di parole Carlo Calenda ha detto: «Ragazzi, se volete rompere io non vi seguo».

Perché qui gli stati d’animo sono due: la sinistra che ritiene che Giorgia Meloni voglia scaraventare la palla in tribuna (soprattutto Conte è di questo avviso) e il leader di Azione che ritiene che ieri, pur senza risultati concreti, si sia avviato un processo: Giorgia «non ci ha sbattuto la porta in faccia».

Perché in effetti la premier ieri è stata molto affabile con tutti – in fondo, cosa le costava? – ha aperto e chiuso la riunione ribadendo che la ricetta del salario minimo non è quella giusta salvo poi non riuscire a chiarire quale sia, questa ricetta giusta, ed è per questo che ha proposto di allungare il brodo – sessanta giorni – per studiare una pratica «complessa»: e questa appare un po’ una presa in giro perché il governo ha avuto molti mesi per elaborare una propria proposta.

Il Partito democratico non si fida e teme un rinvio sine die incamerando però il risultato, come ha detto Schlein, di aver obbligato il governo a «guardare negli occhi tre milioni di lavoratori», che è certamente una bella frase ma questo resta, una frase. Diciamo che Meloni ha buttato la palla in avanti ma non proprio in tribuna, ha preso atto che la questione del lavoro povero si pone, ha fatto riferimento al coinvolgimento dei sindacati, ha chiamato in causa un’istituzione terza come il Cnel: non è esattamente uno zero assoluto.

Ma è chiaro che sul piano della propaganda prevale la narrazione di protesta di Pd-M5s-Sinistra con l’aggiunta un po’ a sorpresa di Più Europa. Ora l’“Estate militante” di Elly Schlein ha una freccia in più al suo arco e lo stesso dicasi per Giuseppe Conte, i due ballano sulla stessa mattonella col rischio di pestarsi i piedi, ma queste sono le parti in commedia che i due hanno deciso di autoassegnarsi.

Il vertice di ieri, al di là degli elementi di colore più o meno ridicoli, come quello scelto dalle opposizioni di parlare in ordine alfabetico come alle elementari, ha sancito la distanza con il governo. L’avvocato ha provato a innalzare il tono dello scontro mentre la segretaria del Partito democratico è stata più pragmatica. Ma a quanto sembra di capire, il no di Meloni al salario minimo non sembra irremovibile, magari il concetto verrà assunto condendo la pietanza con altri elementi che potrebbero ingolosire i sindacati. Lo si capirà nei prossimi mesi, se ne riparlerà. Chissà se sempre in ordine alfabetico.

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