Yevgeniy Prigozhin è stato sepolto in un cimitero alla periferia di San Pietroburgo. Domenica la commissione incaricata di identificare le dieci vittime dello schianto del jet privato del capo della Wagner che si è schiantato il 23 agosto nella regione di Tver, a Nord di Mosca, ne aveva confermato la morte, citando i test del Dna. Quello di ieri, a porte chiuse, è l’ultimo atto dello “chef”.
Diventato un problema già da vivo, a lungo è rimasta un’incognita la sorte che a Prigozhin sarebbe toccata ora. O, meglio, la sorte delle sue spoglie. È stato un canale Telegram a lui affiliato a dare la notizia, a cose avvenute e poche ore dopo che il Cremlino aveva detto di non sapere niente della cerimonia, salvo che il presidente Vladimir Putin non ci sarebbe andato.
Il funerale è stato in «forma privata», si leggeva nel post, mentre «chi desiderasse dirgli addio può visitare il cimitero Pokhorovsky». Da qui il luogo, fortemente presidiato dalla polizia in assetto antisommossa e dalla guardia nazionale. Gli agenti non avrebbero consentito alla gente di entrare: il regime intende, con ogni probabilità, evitare commemorazioni collettive in odore di martirio.
D’altra parte Mosca continua a negare di avere un ruolo nello schianto. Una «menzogna» la definisce, forse alludendo a quella specie di encomio – «persona di talento» ma «ha commesso errori», una specie di “compagno che sbaglia” – pronunciato da Putin in ritardo. Le ricostruzioni preliminari, e a distanza, dell’intelligence americana ritengono a causare l’abbattimento del volo sia stata un’esplosione a bordo.
La segretezza attorno all’ultimo momento pubblico del capo della Wagner, secondo alcuni analisti, riflette un dilemma del Cremlino: evitare che passi la tesi della «vendetta» di Putin per l’ammutinamento del 23-24 giugno senza screditare del tutto una figura assurta, nella Federazione, come una specie di eroe. Che poi era l’etichetta della decorazione ricevuta e avrebbe autorizzato un funerale con la guardia d’onore. Non c’è stato.
Prigozhin godeva di buona stampa soprattutto tra i “falchi”. All’Associated Press, Sergei Markov, un analista filorusso, ha riassunto: «È diventato un problema di comunicazione tra il sistema governativo burocratico, che non ha molto potenziale politico, e un segmento politicamente attivo, quello patriottico, del pubblico russo».
Lo stesso giorno, in un altro luogo, è stato sepolto Valery Chekalov, capo della logistica della Wagner, anche lui tra i morti dell’incidente di una settimana fa. In questo caso, ha partecipato un centinaio di persone e avrebbe officiato un prete ortodosso. Alcuni astanti, con gli occhiali da sole, avrebbero baciato la bara; altri hanno intimato ai reporter della Reuters di smettere di filmare.
È il genere di sostegno pubblico che le autorità vogliono a tutti i costi evitare. Così come i «memoriali» spuntati in numerose città, con fiori, con foto, bandiere della Wagner e fiori. Il Cremlino vuole evitare che la tomba di Prigozhin – di granito scuro – diventi una meta di pellegrinaggio. In un’intervista del 2018, a Putin venne chiesto se fosse in grado di perdonare. «Sì, ma non tutto», la risposta. «Cosa non può perdonare?». «Il tradimento».
«Tradimento», assieme a «pugnalata alle spalle», è proprio il termine utilizzato dal dittatore nel discorso in tv durante la rivolta abortita del suo ex fedelissimo, brevemente «perdonato» – si fa per dire, con il senno di poi – grazie alla mediazione di Lukashenko, all’ombra del quale i mercenari erano riparati, in Bielorussia. Intanto la Bild tedesca fa un pronostico sulla prossima vittima del Cremlino: il ceceno Kadyrov.