Il ritorno dalle ferie può essere traumatico. Per questo motivo ho deciso di ripartire dalle basi. Le leggi e gli accordi che regolano i rapporti di lavoro hanno un preciso ordine gerarchico che deve essere rispettato se non si vuole andare incontro a brutte sorprese in tribunale. La prima legge in ordine di importanza è sicuramente la Costituzione, che al suo interno contiene i principi fondamentali destinati a governare il rapporto tra imprese e lavoratori. Il diritto a ricevere una retribuzione dignitosa previsto dall’articolo 36, la parità tra uomo e donna sul luogo di lavoro enunciata al successivo articolo 37 e la libertà sindacale sancita dall’articolo 39 sono soltanto alcuni dei principi generali contenuti nella nostra carta costituzionale.
Le leggi approvate di volta in volta dal Parlamento devono quindi rispettare i paletti fissati dai padri costituenti. Il nostro è un Paese in cui si registra una incessante proliferazione di nuove norme, anche in materia lavoristica. Sarebbe davvero impossibile elencarle tutte. Quello che si può sintetizzare, però, è la cornice normativa formata dalle leggi più importanti che sono state varate nel corso del tempo. La prima ovvia menzione è allo Statuto dei Lavoratori approvato nel 1970 che, dopo più di mezzo secolo, rappresenta ancora la pietra angolare su cui poggia il lavoro subordinato. Negli ultimi decenni si sono susseguite una serie di riforme con l’obiettivo di aumentare la flessibilità (o la precarietà, dipende dai punti di vista) del mercato del lavoro. Tra le più importanti si possono annoverare il Pacchetto Treu del 1997, la Legge Biagi del 2003, la Riforma Fornero del 2012 e il Jobs Act del 2015; riforme che hanno vissuto alterne fortune al vaglio della Corte Costituzionale.
Ai contratti collettivi è affidato il compito di regolare i rapporti di lavoro dei dipendenti di un determinato settore produttivo. In generale, gli accordi raggiunti tra associazioni datoriali e sindacati non possono prevedere condizioni peggiorative rispetto a quelle stabilite dalla legge. Ad esempio, il Ccnl applicato in azienda non può stabilire un numero di giorni di ferie inferiore al minimo stabilito dalla legge. Alla stessa logica soggiacciono i contratti individuali stipulati tra datore di lavoro e dipendente. Questi accordi non possono intaccare i diritti garantiti dalla contrattazione collettiva. In definitiva, quindi, i contratti individuali di lavoro possono stabilire condizioni di miglior favore rispetto ai diritti di base garantiti rispettivamente dalla Costituzione, dalle leggi e dai contratti collettivi applicati al rapporto di lavoro.
Sperando di aver messo un po’ di ordine nel caos legislativo italiano, vi auguro un rientro dalle ferie costituzionalmente legittimo.
*La newsletter “Labour Weekly. Una pillola di lavoro una volta alla settimana” è prodotta dallo studio legale Laward e curata dall’avvocato Alessio Amorelli. Linkiesta ne pubblica i contenuti ogni. Qui per iscriversi