Més que una propostaLa crociata di Sánchez per il catalano come lingua ufficiale dell’Ue

Gli idiomi dell’Unione sono ventiquattro e per aggiungerne nuovi (che comportano costi di traduzione) serve il consenso unanime dei ventisette Stati membri. È una richiesta degli indipendentisti, con vista sulle trattative per il governo, ma per ora la questione è rinviata a data da definirsi

Il primo ministro spagnolo Pedro Sanchez
(AP Photo/Manu Fernandez)

È sceso in campo perfino Pep Guardiola, l’allenatore del Manchester City campione d’Europa, in una squadra formata anche dal presidente del Barcellona Joan Laporta e dal maratoneta Kílian Jornet. L’obiettivo della campagna, promossa dall’organizzazione Plataforma per la Llengua, è fare pressione per rendere il catalano lingua ufficiale dell’Unione europea sfruttando un momento politico molto particolare.

Il governo spagnolo ha infatti ufficialmente avanzato lo scorso agosto la proposta di includere catalano, basco e galiziano fra le lingue ufficiali dell’Ue. Il 19 settembre a Bruxelles si è tenuta la prima riunione dei ministri degli Affari europei sul tema: né un successo, né un fallimento, ma un rinvio a data da destinarsi, per una questione che potrebbe avere un impatto diretto sulla formazione del nuovo esecutivo di Madrid.

Il sistema multilinguistico dell’Ue
Al momento gli idiomi ufficiali nell’Unione sono ventiquattro e per aggiungerne di nuovi è necessario il consenso unanime di tutti i ventisette Stati membri.

Le varie lingue sono state aggiunte con il procedere dell’integrazione europea: nel 1958 erano solo quattro (italiano, francese, tedesco e olandese), per poi aumentare con l’ingresso di nuovi membri. Non tutti i Paesi hanno una lingua esclusiva (a Cipro ad esempio si parla greco; in Belgio francese, tedesco e fiammingo, una variante dell’olandese) e l’ultima arrivata è il gaelico, idioma ufficiale della Repubblica d’Irlanda, divenuto ufficiale solo nel 2022.

In concreto, ufficializzare una lingua significherebbe la traduzione di tutti i documenti con valore giuridico dell’Ue e la presenza di interpreti che la parlano nelle istituzioni comunitarie, per poter tradurre in tempo reale in dibattiti al Parlamento europeo o tra i ministri.

Ogni nuova lingua, dunque, ha un costo: le istituzioni dell’Ue non hanno fornito dettagli specifici utili a quantificare un aumento di budget per catalano, basco e galiziano, ma basta pensare che solo la Commissione spende 355 milioni all’anno in interpretariato e traduzioni, con oltre tremila persone impiegate a vario titolo nei dipartimenti coinvolti.

Le implicazioni economiche sono dunque uno degli argomenti sollevati dai ministri dell’Ue al governo spagnolo, che pure si è offerto di pagare tutti i costi relativi alle tre nuove lingue.

Un’altra obiezione, sottolineata ad esempio dalla ministra svedese Jessika Roswall, riguarda la possibilità che altre lingue regionali aspirino allo stesso riconoscimento. Catalani, baschi e galiziani, inoltre, hanno comunque accesso a documenti e traduzioni comunitarie visto che conoscono il castigliano, cioè la lingua parlata in tutta la Spagna.

Ma, sostiene Plataforma per la Llengua, questo non è un buon motivo per rinunciare all’ufficializzazione, visto che la stessa situazione si ripropone per i maltesi, che hanno a disposizione maltese e inglese come idiomi ufficiali, o per gli irlandesi con inglese e gaelico.

Anzi, come ricorda la stampa locale, il catalano è parlato da oltre nove milioni di persone tra Catalogna, Comunità Valenciana e isole Baleari: ha cioè più individui madrelingua nell’Unione dell’inglese e di tante altre lingue ufficiali, dal lituano al danese.

Anche le altre due lingue regionali della penisola iberica contano su un discreto numero di parlanti: 2,5 milioni il galiziano, diffuso nell’omonima regione della Spagna nord-occidentale e circa 750mila il basco, o euskera, che non ha origine dal latino come le altre e ancora sopravvive nei Paesi Baschi, in Navarra e in alcune zone del sud della Francia.

In Spagna, catalano basco e galiziano sono lingue «co-ufficiali»: nelle regioni dove vengono parlate, sono assimilate in tutto e per tutto al castigliano, con identica possibilità di ottenere documenti e richiedere servizi amministrativi.

Una scelta politica
L’impegno del governo spagnolo per rendere le sue tre lingue co-ufficiali tali anche nell’Ue ha precise ragioni politiche, difficili da nascondere. Dopo le elezioni del 23 luglio, al presidente del governo in carica, il socialista Pedro Sánchez, serve infatti il supporto dei partiti indipendentisti catalani e baschi per ottenere una nuova investitura.

La «crociata» per l’ufficializzazione può apparire strumentale, ma è una grande vittoria per i partiti secessionisti, oltre a essere tema di grande interesse in Catalogna, Galizia e nei Paesi Baschi.

Tanto da spostare concretamente voti e decidere nomine: nello stesso parlamento spagnolo è da ora possibile intervenire in catalano, basco e galiziano, per la prima volta nella storia. La novità è frutto di un accordo tra i partiti regionalisti e il Psoe di Sánchez, che ha avuto come contropartita l’elezione a presidente del Congreso della socialista Francina Armengol.

Il leader spagnolo spera di replicare questo schema e da tempo sta corteggiando gli indipendentisti catalani sul filo del rasoio, in equilibrio tra la necessità di ottenere i loro voti e quella di schivare le loro richieste più problematiche, come l’amnistia per i protagonisti della rivolta secessionista del 2017.

A confermare l’interessata promozione delle lingue regionali da parte di Madrid sono le parole del suo ministro degli Esteri, José Manuel Albares: «Abbiamo proposto di cominciare dal catalano, e poi procedere con le altre due. Alcuni Stati membri hanno sottolineato che introdurne tre in una volta era più difficile, e abbiamo aperto al fatto che la prima sia quella i cui rappresentanti insistono di più per l’inclusione, parlata da oltre dieci milioni di persone».

Albares rivendica di «aver messo in moto» la modifica del regolamento sul regime linguistico dell’Ue, affermando che nessun Paese ha esercitato il suo potere di veto contro la proposta. In realtà, non si è tenuta nessuna votazione, come spesso accade quando ministri e ambasciatori si rendono conto che non avrebbe esito positivo e preferiscono evitare una débâcle.

La questione è rinviata, ma per Sánchez il tempo stringe. Dopo un primo tentativo del leader del Partido Popular Alberto Núñez Feijóo, previsto in calendario il 26 e 27 settembre e quasi certamente destinato a fallire, scatterà il conto alla rovescia: il presidente avrà due mesi per convincere i deputati a riconfermarlo ed evitare una nuova tornata elettorale. E sembra disposto a chiederglielo in tutte le lingue della Spagna.

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