Fanalino di codaL’inefficienza patologica del trasporto pubblico italiano (che è sempre più caro)

Un Paese che trascura questo settore è destinato a soccombere sotto il peso delle disuguaglianze, dell’inquinamento e dell’inaccessibilità. I rincari degli ultimi mesi non sono accompagnati da un miglioramento della qualità dei servizi. E le eccellenze europee restano un miraggio

Claudio Furlan/LaPresse

Quarantanove euro al mese. È il prezzo dell’abbonamento ferroviario che la Francia, stando alle parole del presidente Emmanuel Macron, dovrebbe lanciare nell’estate 2024. Con questa cifra, i cittadini potranno viaggiare illimitatamente sui treni regionali (i Ter, Transport express régional) e gli Intercités, ossia tutti i treni diurni e notturni di media-lunga percorrenza sotto l’azienda pubblica Société nationale des chemins de fer français (Sncf). Secondo il ministro dei Trasporti, Clément Beaune, il pass potrebbe includere anche «gli autobus, le metropolitane e i tram nelle  grandi città». 

La proposta è stata avanzata anche per fornire ai cittadini un’alternativa più economica ed ecologica ai voli aerei interni, soggetti a rincari sempre più difficili da sostenere. Proprio in Francia, a fine maggio, è entrata in vigore una legge che ha abolito tre tratte aeree (da Parigi Orly a Bordeaux, Nantes e Lione) che possono essere sostituite dal trasporto ferroviario. 

Il pass di Macron ricalca l’esempio tedesco del Deutschlandticket da quarantanove euro mensili, nato prima dell’estate e acquistato da più di dieci milioni di cittadini nell’arco di un paio di mesi. Il biglietto – che costerà al governo tre miliardi di euro l’anno – garantisce l’accesso illimitato a treni, tram, autobus, metropolitane e traghetti per viaggi urbani e regionali. Dall’abbonamento rimangono esclusi solo gli Intercity, i treni ad alta velocità e gli autobus a lunga percorrenza. Se confermata, anche la misura francese non riguarderà i Tgv. Secondo le stime di Berlino, il pass tedesco porterà a una riduzione delle emissioni di gas climalteranti pari a 22,6 milioni di tonnellate entro il 2030. 

Un miglioramento simile, ma meno ambizioso, è stato introdotto poche settimane fa dal Portogallo, che ha approvato un pass ferroviario mensile da quarantanove euro. Si chiama Passe ferroviário nacional, è valido illimitatamente sui treni regionali del Paese ma non dà la possibilità di accedere ai mezzi di Coimbra, Porto e Lisbona. Restando sulla penisola iberica, anche la Spagna è giunta in cima alla cronaca per le sue agevolazioni sul trasporto pubblico. 

Dal 1 settembre al 31 dicembre 2022, i passeggeri spagnoli sono stati pienamente rimborsati del costo degli abbonamenti ai treni ferroviari locali e di media distanza controllati dallo Stato. Lo sconto per l’alta velocità, invece, si è fermato al cinquanta per cento. In più, dal 1 febbraio 2023, il governo Sanchez ha deciso di rendere gratuiti tutti gli autobus interurbani (compresa la tratta Madrid-Barcellona) grazie a una procedura di rimborso simile a quella lanciata nel 2022 per combattere l’inflazione. 

Perché abbiamo messo in fila questi esempi? In Italia, il trasporto pubblico (non solo locale) continua a fare passi indietro anziché svilupparsi, a fronte di un aumento delle tariffe che spesso non corrisponde a un miglioramento del servizio. Iniziative nazionali come quelle tedesche o spagnole rimangono un miraggio all’interno del nostro Paese, in cui spicca qualche isolato virtuosismo a livello locale. 

A maggio, Greenpeace ha stilato una classifica dedicata allo stato del trasporto pubblico nei Paesi europei, considerando i seguenti fattori: prezzi, efficienza, modulazione dell’offerta, accessibilità alla mobilità pubblica di autobus, treni e metropolitane. L’Italia è stata inserita al ventunesimo posto, e se non fosse stato per un’Iva bassa (dieci per cento), ma comunque in linea con gli altri Stati del continente, avrebbe occupato una delle ultime cinque posizioni. Nel nostro Paese, spiegano gli analisti dell’organizzazione ambientalista, non esiste un sistema semplice e unificato che gestisca i biglietti del trasporto pubblico: ogni azienda va per conto proprio, e la replicabilità delle misure tedesche o portoghesi rimane una splendida utopia. 

I mezzi pubblici italiani sono vecchi, inquinanti e inefficienti, nonostante qualche passo avanti verso l’elettrico. Il quarantatré per cento dei quasi duemilaottocento treni regionali italiani ha più di quindici anni, con picchi del 78,7 per cento in Calabria. Al sud, spiega Legambiente, i treni hanno in media 18,5 anni. 

Secondo i dati dell’Anfia (Associazione nazionale filiera industria automobilistica), riportati dal portale TrueNumbers, l’80,4 per cento degli autobus del nostro Paese è stato immatricolato entro il 2012, e solo il 19,6 per cento risulta registrato dal 2013 al 2018. In fondo alla classifica ci sono la Sardegna (92,2 per cento prima del 2013), Calabria e Basilicata. Una Regione, quest’ultima, che dal 7 agosto al 3 settembre è letteralmente rimasta senza treni a causa di lavori di manutenzione e potenziamento delle linee. 

Tuttavia, il problema non si limita al sud e alle isole. In Liguria, dal 1 gennaio 2023, i biglietti dei treni regionali hanno subito un rincaro medio del sei per cento, tra il nove per cento dell’incremento dei ticket singoli e il tre per cento degli abbonamenti. Secondo GenovaToday, il tragitto da Genova Brignole ad Arenzano costava 3,90 euro contro gli attuali 4,30 euro. Spostandoci in Toscana, Autolinee Toscane – sotto la Regione – dal 1 agosto ha aumentato da 1,50 euro a 1,70 euro il prezzo dei biglietti dei suoi bus.

Ma l’esempio più emblematico è quello di Trenord, che gestisce il trasporto ferroviario per passeggeri in Lombardia. In alcuni casi, come ha fatto notare Repubblica, i treni regionali lombardi appaiono più lenti di cinquant’anni fa. Nel 1972, un pendolare che da Varese voleva raggiungere Como impiegava un’ora e cinque minuti. Oggi, invece, ci vogliono mediamente tre minuti in più. Il peggioramento è simile per la tratta da Milano a Como: cinquantacinque minuti nel 1972 e cinquantasette nel 2022. Tutto ciò al netto dei soliti disagi dovuti a cancellazioni e ritardi. 

Secondo il governatore lombardo Attilio Fontana, presidente di una Regione che ha rinnovato Trenord per altri dieci anni, la rete ferroviaria «è vecchia e non è mai stata aggiornata. In certi tratti non è né elettrificata né raddoppiata». Qual è stata la risposta dell’azienda a questo peggioramento del servizio? Un aumento delle tariffe pari al quattro per cento. 

I rincari avvengono anche a livello comunale, dove l’efficienza del trasporto pubblico è – assieme alla promozione della mobilità attiva – la chiave per ridurre la dipendenza dall’automobile. A Milano, dove Atm (Azienda trasporti milanesi) sta pian piano tagliando le corse dei mezzi di superficie, a gennaio è scattato l’aumento del biglietto urbano da due euro a 2,20 (gli abbonamenti sono rimasti invariati). A Napoli, dal 1 settembre, il biglietto a corsa singola UrbanoNA1 dell’Anm (Azienda napoletana mobilità) per la linea 1 della metro, i bus, i tram e le funicolari è passato da 1,20 euro a 1,30; quello di livello due, invece, da 1,40 a 1,50. A Torino, dal 1 ottobre scatterà un rincaro per gli utenti del Gruppo torinese trasporti (Gtt): i biglietti City da cento minuti e i viaggi in metropolitana costeranno venti centesimi in più, da 1,70 euro a 1,90 euro. 

Nel peggiore dei casi, il risultato di questo mix di fattori si concretizzerà in un incremento dell’uso del mezzo a motore privato, soprattutto nelle aree urbane. Secondo l’Associazione nazionale delle aziende di trasporto pubblico regionale e locale (Asstra), la domanda del trasporto pubblico locale è sempre più ridotta: rispetto al 2019, nel 2022 è scesa del ventuno per cento. Le stime per il 2023, invece, parlano un calo del dodici per cento rispetto al “pre-Covid”. 

Il cuore del problema risiede nei numeri riportati dal report di Legambiente “Pendolaria 2023”. Dal 2010 al 2020, in Italia sono stati fatti più investimenti nel trasporto su gomma che su ferro. In quel periodo, nel nostro Paese sono nati trecentodieci chilometri di autostrade, novantuno chilometri di metropolitane e sessantatré di reti tranviarie. 

La speranza è quella di assistere a un progresso innescato dal Pnrr, ma il governo sta già ritrattando il numero di progetti ferroviari da sostenere con quei fondi. Parliamo, nello specifico, di attività di potenziamento delle linee dei treni inizialmente inserite nel Piano, ma che stanno subendo ritardi a causa di scogli burocratici, tecnici e politici. Di conseguenza, concludere i lavori entro la scadenza del 2026 sarebbe impossibile. Così, il ministero delle Infrastrutture e dei Traporti ha preferito eliminarli dalla lista di interventi finanziati dal Next Generation Eu.

La storia si ripete. Un Paese che non investe nel trasporto pubblico, a qualsiasi livello, è destinato a soccombere sotto il peso delle disuguaglianze, dell’inquinamento, dell’inaccessibilità e del comprensibile malcontento di una cittadinanza che cerca di sopravvivere a prezzi sempre più alti. 

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