Non era il Berghain, ma l’Eliseo. In un’epoca in cui se non lo fotografi non è accaduto davvero, Keir Starmer ha potuto incontrare Emmanuel Macron, ma senza photo opportunity. Una foto alla fine è uscita, caricata da lui, niente post collaborativo. In fin dei conti è leader del partito laburista britannico, ma non (ancora) primo ministro. La visita di Sir Keir – pochi mesi dopo che l’attuale premier Rishi Sunak e il presidente francese hanno condiviso, in quello stesso cortile, un ombrello e una bromance – chiude però un tour all’estero impostato da quasi-inquilino di Downing Street. Il timing è curioso, a Parigi il giorno prima della «royal visit» di Re Carlo.
Due segnali. La turbolenza è ormai alle spalle, d’altronde l’abbraccio di marzo sanciva il primo bilaterale da cinque anni tra due potenze separate dalla Manica e da una cordiale rivalità. Cielo sereno da Londra alla capitale. Sulla Brexit, però, che è la convitata di pietra a qualunque colazione di lavoro a cui sia invitato il Regno Unito dal 2016 a questa parte, sarà difficile intestarsi altre schiarite. Vale per il meteo e per uno Stato che ha cessato di essere membro dell’Unione europea. Il pragmatismo di Sunak, è la sensazione, ha riassorbito i danni possibili: dopo il compromesso sull’Irlanda del Nord, ha riportato il Paese dentro il programma di ricerca Horizon Europe e sotto l’ombrello satellitare di Copernicus.
Meeting President Macron today, I outlined how Labour will strengthen Britain’s international relationships for the prosperity and security of people at home. pic.twitter.com/IiCMhuLjmy
— Keir Starmer (@Keir_Starmer) September 19, 2023
All’esterno la trasferta consolida i rapporti di vicinato, sul fronte domestico alza le aspettative. L’Europa starà attenta, anzi attentissima, da qui in avanti a non dare l’impressione di fare sconti sulle condizioni post divorzio a seconda del colore politico del governo inglese. Nemmeno un anno fa, va detto, la controparte era Liz Truss, che asseriva di non sapere se poter considerare Macron «un amico o un nemico». In generale, non è irrituale che l’Eliseo riceva leader stranieri e viceversa. Nel 2017 Theresa May ha incontrato Macron quando era candidato alla presidenza. Lui, nel 2021, ha ospitato un Olaf Scholz non ancora cancelliere tedesco; stesso trattamento riservato a Volodymyr Zelensky nel 2019.
Questo red carpet porta fortuna? Non è detto. Prima ancora, era il 2012, François Hollande ha accolto il leader laburista dell’epoca, Ed Miliband – abbiamo le foto, infrazione del protocollo, a differenza dell’incontro informale di ieri. I giornali britannici hanno cercato affinità tra Starmer e Macron. Si va dal piano suonato in gioventù alle potenziali sintonie ideologiche: negli esordi, uno nell’ala moderata del Labour e l’altro come ministro di un governo socialista. Considerano Tony Blair un saggio con cui consigliarsi e non un “usurpatore” liberista della tradizione di sinistra.
Starmer è accompagnato da due ministri ombra: David Lammy (Esteri) e Rachel Reeves (Finanze). Il programma ha visto, prima dell’Eliseo, un evento con imprenditori francesi – non a caso su Twitter, ora noto come X, si ostenta «la stabilità economica» come obiettivo del nuovo corso laburista – e al pomeriggio un abboccamento con il partito gemello, che non naviga in buone acque, i Socialisti di Olivier Faure, il primo dal vivo dopo una chiacchierata a distanza durante la pandemia. Nella tappa precedente di un viaggio iniziato all’Aja, con tappa all’Europol, cioè il summit dei leader progressisti a Montreal, a riprendersi i titoli dei giornali è stata la Brexit.
Pleasure to speak with French business leaders this morning.
My Labour government will provide the economic stability needed for international business to invest in the UK.
When business thrives, we all do. pic.twitter.com/BT1DQcxOR9
— Keir Starmer (@Keir_Starmer) September 19, 2023
Sempre lei. In un’intervista al Financial Times, Sir Keir ha promesso di riscrivere l’accordo con l’Ue, di cui è prevista una «revisione» nel 2025. Quello – sottinteso, se lui vincerà le elezioni – può essere un momento importante per un reset delle relazioni, verso un rapporto più stretto con Bruxelles. «Quasi tutti riconoscono che il patto ottenuto da Boris Johnson non è buono, è troppo esile». Lui dice «thin». Una relazione più «bold» la deve alle nuove generazioni (e qui parla, testuale, «da papà»). Stando alle indiscrezioni, un esecutivo laburista potrebbe cercare di livellare le normative veterinarie e fitosanitarie: un allineamento finalizzato a ridurre i controlli doganali.
La scadenza del 2025 somiglia a un tagliando dell’accordo: non è immaginata, almeno sul continente, come un’occasione per la sua riscrittura. Per rinegoziarlo, poi, servirebbe il consenso dei ventisette Stati membri. A Parigi, Starmer si è svegliato con le accuse del tabloid Daily Mail di aver gettato la maschera, o qualcosa di simile, sulla Brexit. Il primo ministro in pectore – c’è quel dettaglio secondario di un’elezione generale ancora da combattere – non traghetterà Londra di nuovo dentro il mercato unico, come teme l’alt-right britannica.
Un cliché sul «cavaliere silente», come lo chiamano, è quali siano le sue vere idee. Manco fosse il Robert Oppenheimer interpretato da Cillian Murphy. Metà degli intervistati di un recente sondaggio YouGov (il cinquantatré per cento) ritengono non sia chiaro il suo programma. Una nebulosità utile durante la scalata al partito, con la lenta ma inesorabile espulsione delle frange radicali, fedeli a Jeremy Corbyn, dalla classe dirigente del Labour. Un indizio, a guardare il rimpasto del governo ombra, per il New Statesman c’è. I “promossi” hanno tutti una caratteristica in comune: un fervido europeismo.
Con un vantaggio a due cifre – venti punti – sui Conservatori nelle intenzioni di voto, Starmer ha valutato che la Brexit, in purezza, ormai non è più un tema tossico per il dibattito pubblico inglese. Per anni è stata un tabù, si scriveva di una «Brexit fatigue», un’esasperazione figlia di un inevitabile martellamento mediatico. Sir Keir può affrontarlo: forse deve, perché altrimenti lo faranno gli avversari. Il senso del viaggio, è il riassunto imbattibile della Bbc, è «proiettare l’immagine di un governo in attesa, anche se con il pericolo di essere accusato di tracotanza. Dopo tutto, la strada per Downing Street passa da High Peak, Midlothian e Pendle invece che dall’Aja, Montreal e Parigi».