Labour WeeklyTutto quello che bisogna sapere sul trattamento di fine rapporto

Se è vero che il livello delle retribuzioni in Italia è inaccettabilmente basso, il Tfr rappresenta un’ancora di salvezza quantomeno per chi ha avuto la fortuna di instaurare un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato

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Il Tfr, acronimo con cui si indica il Trattamento di fine rapporto, è una peculiarità che caratterizza i rapporti di lavoro in Italia. Si tratta di un elemento della retribuzione il cui pagamento viene differito a un momento successivo rispetto alla prestazione lavorativa dei dipendenti. Solitamente viene corrisposto alla cessazione del rapporto di lavoro, ma può anche essere destinato alla creazione di una pensione integrativa. In alcuni casi specifici, i dipendenti possono chiedere un’anticipazione del Tfr maturato nel corso del rapporto di lavoro. In concreto si tratta di una sorta di “cuscinetto” che il legislatore ha deciso di garantire ai lavoratori subordinati denotando una certa sfiducia nella capacità di risparmio dei singoli.

I datori di lavoro sono obbligati ad accantonare una quota di retribuzione dei dipendenti che, molto grossolanamente, corrisponde a un mese di stipendio per ogni anno di servizio. Nel calcolo della retribuzione da accantonare rientrano tutti gli elementi non occasionali che fanno parte dello stipendio, ivi inclusi eventuali beni in natura o particolari indennità pagate con regolarità ai dipendenti. I contratti collettivi possono prevedere particolari modalità di calcolo della retribuzione di riferimento per il Tfr, purché la retribuzione non sia inferiore al minimo garantito dalla Costituzione e dalla legge.

Come anticipato, il Tfr può essere accantonato in azienda o destinato alla creazione di una pensione integrativa. Per le aziende con più di 50 dipendenti, il Trattamento di fine rapporto destinato in azienda deve essere comunque versato al Fondo di Tesoreria costituito presso l’Inps. Entro sei mesi dall’assunzione, inoltre, il dipendente può decidere se destinare il Tfr a un fondo di previdenza complementare che si occuperà di gestire le risorse nell’interesse del lavoratore e di liquidare l’importo maturato al raggiungimento dei requisiti pensionistici o, in via residuale, al ricorrere di altre ipotesi specifiche.

Se è vero che il livello delle retribuzioni in Italia è inaccettabilmente basso, il Tfr rappresenta un’ancora di salvezza quantomeno per chi ha avuto la fortuna di instaurare un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato. Un risparmio gestito dalle imprese, dall’Inps o dai fondi pensionistici per conto dei lavoratori grazie a una buona dose di paternalismo all’italiana. Meglio uno stipendio più alto oggi o un Tfr domani? Lascio a voi il giudizio.

*La newsletter “Labour Weekly. Una pillola di lavoro una volta alla settimana” è prodotta dallo studio legale Laward e curata dall’avvocato Alessio Amorelli. Linkiesta ne pubblica i contenuti ogni. Qui per iscriversi