L’altra sera alla tv c’era la mia amica Cristina Fogazzi. La tv è immagine, e quindi ogni volta che la inquadravano qualche comune amica mi scriveva qualche messaggio ad alto tasso intellettuale tipo «oddio ma che fondotinta meravigliosoooo».
Le uniche variazioni sui messaggi «chiedi a Cristina dove trovo quel fondotinta» erano messaggi su Nino Formicola, già Gaspare di Zuzzurro e Gaspare quando eravamo innocenti e guardavamo “Drive In”, che era collegato da una cucina buia col mocio vileda sullo sfondo. Sempre perché la tv è immagine.
Aspettavo spazientita che Serena Bortone facesse una domanda a Cristina, onde non essere d’accordo con la risposta (non siamo mai d’accordo su niente, per fortuna), e quel momento è arrivato quando le ha chiesto dell’immagine femminile.
«Siamo così abituate al fatto che il corpo delle donne sia oggetto di giudizio, che in qualunque momento ci chiediamo: cosa penseranno? Il nostro corpo, il corpo di tutte è da sempre oggetto di giudizio», ha detto Cristina, e io – ormai mia nonna che strilla al televisore – ho berciato: ma tutte chi, ma quando, ma dove. Ci ho ripensato ieri, quando i giornali di tutto il mondo titolavano sull’eroica Pamela Anderson che a Parigi era andata alle sfilate struccata. Giuro che i giornali hanno titolato usando la parola «rivoluzione».
In contemporanea, in Italia c’è Isabella Rossellini sulla copertina di Vogue, e Isabella Rossellini ha 71 anni (Pamela Anderson ne ha 56), e chi non è impegnata a sdilinquirsi su Instagram per l’eroismo della cinquantaseienne senza trucco è intenta a lodare il sovrumano coraggio di avere la faccia d’una settantunenne.
Non mi è chiarissimo in cosa si sia coraggiose a invecchiare: l’alternativa è morire, non è che ci sia molta scelta. Certo, ci si può rifare, ho visto in tv una signora del Novecento con la faccia immobilizzata dalla chirurgia plastica che giurava all’intervistatrice di non aver mai mai mai fatto un lifting, e la conduttrice non infieriva, ma infieriva l’inquadratura.
Però, ecco, Cristina diceva che ci hanno imposto come standard la taglia 42, e io pensavo che una 42 di oggi veste come una 52 di vent’anni fa e insomma come standard è un po’ lasco. Ma soprattutto mi chiedevo come si fa a parlare di standard di bellezza e di imposizioni del sistema in un mondo in cui ormai vale tutto e tutto viene spacciato per rivoluzione: invecchiare, ingrassare, rifarsi, negarlo, ammetterlo, truccarsi, non truccarsi.
Pamela Anderson ha fatto arrivare da lontano la sua faccia struccata: già da tempo racconta che, essendo la sua storica truccatrice morta di cancro al seno, ha pensato che senza di lei non si voleva più truccare. L’unica cosa che ti garantisce un titolo di giornale più dell’eroismo di non farti fare il contouring (che non ho mai ben capito cosa sia) è avere una vicenda dolente cui legare il proprio non mettersi il mascara (che io chiamo ancora rimmel perché sono una ragazza degli anni Ottanta, di quelle che si truccavano con la terra marroncina e sbrilluccicante, e quando rivedono le foto si vergognano moltissimo).
Nessuna faccia apparentemente al naturale è mai solo una faccia al naturale; nessuna scelta, nella società dell’immagine, è una scelta non d’immagine.
Quando ero giovane le modelle invecchiate non erano un tema pervasivo quanto lo sono adesso. Adesso che quattro delle modelle un po’ più vecchie di me sono protagoniste d’un documentario di Apple+ su quant’eravamo favolose negli anni Novanta, e tutte sono sulla copertina di Vanity Fair impegnate a dimostrarci che sono comunque fighe, anche trent’anni dopo il picco della loro gloria.
Adesso che Paulina Porizkova passa il tempo su Instagram a dirsi discriminata per l’età mentre è strafiga a 58 anni quanto lo era a 28.
Adesso che persino Madonna, che ci ha cresciute a tigna spiccia, si lagna per l’ageism (sì, insomma: perché le diamo della vecchia nonostante faccia dei filtri Instagram un uso matto e disperatissimo).
La prima protagonista della polemica sul diritto delle modelle – un mestiere fin lì fondato sulla carne giovane – a fare le modelle anche quando inizia a cascar loro la faccia fu proprio Isabella Rossellini, quasi trent’anni fa. Noialtre sbarbate leggevamo sui giornali quanto era stata orrenda e crudele la Lancôme a licenziare la poco più che quarantenne Rossellini, fin lì testimonial delle creme.
Erano tempi in cui gli automatismi facili erano roba per ragazzine, e quindi probabilmente eravamo le uniche a credere che gli affari delle multinazionali della cosmesi non fossero, appunto, affari. Ci divenne chiaro vent’anni dopo, quando Lancôme chiese alla Rossellini di tornare a farsi fotografare per le sue pubblicità. Perché una faccia che casca era, nonostante la società dell’immagine, infine uguale a una faccia che tiene?
Più probabilmente, perché le sessantenni spendono in creme antirughe più delle ventenni, e noialtre vegliarde, se metti sui cartelloni la faccia d’una giovane strafiga, ci chiediamo perché dovremmo comprare quel prodotto che tanto non ci farà diventare così.
Più probabilmente, perché riprendere vent’anni dopo una che vent’anni prima avevi licenziato per invecchiamento è una grande mossa pubblicitaria (forse bisogna commissionare un trattato di marketing a Francesca Ragazzi, direttrice di Vogue Italia, che dall’armocromista di Elly Schlein alle rughe della Rossellini trova sempre il modo di far parlare del proprio giornale in un’epoca in cui i giornali hanno smesso d’esistere).
Certo, l’altra sera tutte si domandavano del fondotinta di Cristina, e nessuno della sua dialettica, e quindi potremmo dire che ha ragione lei, e quando c’è in scena una donna badiamo solo al suo aspetto. Oppure potremmo ammettere che a nessuno importa della Magneti Marelli ma tutti vogliono sapere che dieta abbia fatto Calenda, e insomma la società dell’immagine te la dà, la società dell’immagine te la toglie, e alla fine si va più o meno in pari.