Automi e vassoi Gli eredi di R2-D2 si chiamano Dinerbot e lavorano al bar

I tre camerieri robotizzati appena entrati in funzione in uno storico bar di Trieste sono giunti in aiuto e non in sostituzione dei camerieri umani, ma la carenza e le difficoltà di reperimento del personale rischiano di far mutare questa prospettiva

Foto di Pavel Danilyuk su Pexels

Nello storico e blasonatissimo Caffè degli Specchi, che affaccia sul luogo più noto di Trieste, piazza Unità, sono arrivati, per la curiosità di tanti e lo sdegno di alcuni, tre camerieri robot, i primi in città. Il loro ruolo, al momento, è quello di un carrello semovente e cordiale che saluta i clienti con un affabile «Come xe», e segnala il suo passaggio chiedendo educatamente permesso mentre si occupa di portare in cucina piatti e bicchieri a consumazioni finite.

Il Dinerbot, questo è il suo nome tecnico, è in grado di muoversi autonomamente in spazi diversi e di compiere itinerari e compiti prefissati destreggiandosi con disinvoltura tra avventori, tavolini e mobili. Nel caso specifico i tre “camerieri automatizzati”, uno dei quali ha già ricevuto dai clienti un nome femminile, Pina, sono programmati per disporsi in un punto preciso accanto ai tavoli e per raggiungere un altro punto dove recapitare quanto ritirato. In sostanza aiutano a sparecchiare e danno una mano ai loro colleghi umani. Che mai e poi mai sostituiranno, assicura il titolare, Riccardo Faggiotto, che a riprova sta cercando personale e spiega che la loro è una funzione di supporto. Un aiuto simpatico e utile perché lascia ai camerieri in carne e ossa il tempo di rifiatare e l’agio di interpretare con più attenzione le richieste dei clienti.

Certo, a colpo d’occhio, fa un po’ impressione vedere i carrellini con gli occhi blu digitali aggirarsi tra gli arredi in cuoio rosso e legno scuro di uno dei luoghi simbolo della città, fondato nel 1839 e unico rimasto tra i quattro caffè che affacciavano sulla Piazza Grande. Da sempre, il salotto di Trieste, quello dove si ritrovavano commercianti, intellettuali, ufficiali, irredentisti e appassionati di musica per ascoltare i concerti diretti dall’esordiente Franz Lehar; e anche, il quartier generale della Marina britannica nel secondo dopoguerra, nonché il luogo dove, fin dai tempi della sua apertura, era tradizione incidere gli avvenimenti storici più importanti su specchi o lastre di vetro.

Qualche purista storce il naso e dichiara sui social che mai più vi metterà piede, ma la verità è che i camerieri robot sono efficienti ed economici perché sì, possono costare fino a ventimila euro, una tantum, però, e poi lavorano per anni senza ulteriori pretese.

Secondo alcuni analisti il loro ruolo è destinato a crescere sempre di più: sono già una realtà affermata in Asia, dove ne viene prodotta la maggior parte, e stanno prendendo piede negli Stati Uniti. A gennaio del 2022, ancora in piena pandemia, aveva fatto notizia la decisione di una catena di ristoranti cinesi nel nord-ovest dell’Inghilterra di rinunciare agli introvabili camerieri umani per “assumere” robot da diciottomila euro, ma a Liverpool, St Helens, Bolton, i BellaBot, con la loro simpatica faccina sorridente, erano subito diventati talmente popolari tra i commensali da convincere la catena The Chinese Buffet a estendere l’iniziativa a tutti i suoi locali.

In Italia, invece, sono ancora pochi e quando un bar o un ristorante decide di prenderli fa scalpore. Come Bob, il robot cameriere “neo assunto” da pochi mesi nel locale Signore&Signori di Treviso che porta avanti e indietro i piatti dalla cucina ai tavoli e viceversa e che rimedia alla grave carenza di personale lamentata dal settore nell’ultimo periodo. «Ancora dobbiamo decidere se sarà una soluzione definitiva o meno ­– spiega il titolare Luca Marton – però non trovando più nessuno che voglia fare questo lavoro, e avendo bisogno di garantire un servizio d’eccellenza, potrebbe anche esserlo. Per ora vediamo come funziona».

Bob era stato preceduto in un altro locale del Trevigiano, la Japan House di Villorba, da un robot dall’aspetto vagamente felino che, grazie alla combinazione con l’uso del QR code per ordinare, svolge autonomamente l’intero ciclo di consegna e ritiro dei piatti. Così come al all you can eat Sushi Komachi di Cavallasca, in provincia di Como, o in altri ristoranti sino-giapponesi della Lombardia, dove cameriere umanoidi con gli occhi luminosi vagamente somiglianti al famoso robot giocattolo degli anni ’90, Emiglio (Emiglio è meglio, era lo slogan), divertono e spaventano i bambini recapitando sushi e ramen.
Del resto, procurarsi un cameriere automatizzato è più facile che trovarne uno umano. Li vendono anche in diverse versioni su Alibaba.com, la piattaforma cinese di e-commerce, e nessuna meraviglia dato che i maggiori produttori, come Pudu e Keenon, si trovano appunto nella Repubblica popolare cinese.

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