Iniziamo con le buone notizie. Forse ci siamo liberati del più duraturo scandale du jour dei tempi recenti, quello dello spot della pesca, che – dopo ben una settimana di permanenza nella conversazione collettiva – è stato infine rimpiazzato da una nuova indignazione: Matteo Salvini prende le castagne senza i guanti di plastica.
Mentre il mondo cade a pezzi, la sinistra social è molto preoccupata che la buccia delle castagne sia toccata dalle immonde mani del ministro, ma non sarò certo io a scrivere il centesimo pezzo sulla propensione di questo secolo a concentrarsi sulle puttanate.
Vorrei invece che parlassimo di quegli anni, lontanissimi in spirito ma abbastanza vicini storicamente, in cui a fotografarsi erano solo i busoni e i giapponesi.
Dei giapponesi non è necessario parlare: chiunque abbia vissuto prima del rimbecillimento collettivo in cui tutti fotografiamo tutto sa che una volta, se facevi una foto di troppo, eri subito turista giapponese ossessionato dalla testimonianza iconografica.
Ma forse non tutti ricordano, giacché è stato un periodo più breve, il tempo in cui le app da rimorchio le avevano solo i busoni – Grindr arrivò prima di Tinder, giacché che l’internet servisse per scopare è da subito stato chiaro ai più spicci di noi, una categoria che non molti anni fa era appunto identificabile coi busoni, prima che li contagiassimo col sentimentalismo – ed essi erano quindi gli unici a postare proprie foto.
Nel 2008, quando tutti ci aprimmo Facebook, le più accanite nel togliere immediatamente il tag dalle foto in cui erano venute così così non erano le zitelle (che pure ritenevano un oltraggio di cui si sarebbe dovuto occupare il codice penale il taggarle in una foto con capelli imperfetti). I più accaniti erano i busoni, che sapevano, come mi diceva un conoscente che postava quasi solo proprie foto a torso nudo, che «chi mostra vende».
Il vetrinismo social, dunque, nasce dallo specifico dell’accoppiamento: non posto una mia foto perché ci tengo che il mondo sappia che faccia ho; posto una mia foto perché voglio che Tizio mi veda e mi ritenga rimorchiabile. Poi arriva Instagram, un social fatto di foto, e si sparge una delle mille fantasiose ma insmentibili voci riguardo al funzionamento dell’algoritmo: esso premia le foto in cui si vede la tua faccia.
È la rovina. La tinderizzazione dei social network è ormai irreversibile, tutti postano loro stessi: per farsi percepire approcciabili dal loro pubblico cui vendere tisane dietetiche, perché forse davvero così li vediamo e li cuoriciniamo di più, perché cos’hai una telecamera sul telefono a fare se non la usi per specchiarti e fare le faccette tutto il giorno, in una perpetua puntata di “E.R.” fatta di boccucce e sguardi sghembi.
Cosa c’entra questo con la pesca, diranno quelli di voi che ancora non sono in pari con lo scandalo delle castagne. Lo scandalo delle castagne è uno spin-off dello scandalo della pesca. Va così: che, nella gara di scemenza che mettiamo in scena tutti quanti ogni giorno, la destra si appropria dello spot della pesca, e quindi Matteo Salvini domenica va all’Esselunga, dove si fa fotografare mentre palpeggia castagne e porta sacchetti pieni all’inverosimile. Sacchetti che, essendo di plastica riciclabile poco resistente, presto si sfasceranno facendogli schiantare la spesa al suolo – ma tutto questo Matte non lo sa.
Sa solo, perché è quel che gli ha insegnato il secolo in cui abita, che deve farsi fotografare, perché l’unica via al successo non è il talento ma il consenso, e il consenso si ottiene essendo uguale a chi ti guarda, anzi un po’ peggio; si ottiene rappresentando nella politica quel che una volta rappresentavano le opere d’arte contemporanea: roba che noialtri senza qualità la guardiamo e pensiamo «ero capace pure io».
E quindi Salvini si fa fotografare con la spesa e Carlo Calenda chiosa queste foto con un perentorio «Caro Matteo, non ci rompere le palle e vai a lavorare». Che è la cosa più in sintonia con l’elettorato che Calenda abbia mai detto, giacché l’elettorato, mentre finge di guardare l’orizzonte distratto e s’autoscatta in una pausa della proprie mansioni di netturbino o cardiochirurgo o cartomante, pensa che i politici, quelli che ha votato perché gli facciano da specchio, abbiano al contempo il dovere d’essere un po’ meglio di lui.
E quindi non debbano affollare i social di loro primi piani con sguardo tantintènzo, cosa che invece fanno ogni giorno, ogni minuto, ogni polemica. Calenda orna i suoi tweet (o come si chiamano ora) su Magneti Marelli con foto di lui che cammina in mezzo agli operai con sguardo tantintènzo e pancia in dentro. Allievo, in questo, della scuola Bonaccini, che pure se posta un’osservazione sui fondi per l’alluvione ritiene di doverla comunque decorare con una foto di sé.
Molto spesso parliamo della necessità di superare e sconfiggere il populismo. Ciò che è accaduto alla Magneti Marelli è la dimostrazione di come la politica abbia il dovere di non cedere alla demagogia, ma di affrontare nella concretezza i problemi.
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— Carlo Calenda (@CarloCalenda) September 30, 2023
Calenda e Bonaccini hanno una temibile aggravante: sono dimagriti. Non ho mai visto un uomo adulto dimagrire mantenendo la lucidità: la donna che dimagrisce quasi sempre sa che quella che è ora è sempre lei, con qualche taglia in meno; l’uomo che dimagrisce si convince d’essere diventato Superpippo e Jay Gatsby nello stesso jeans skinny, si convince della propria irresistibilità, si convince che il mondo lo voglia rimirare.
Ma la convinzione di doversi fotografare è pervasiva e travalica le taglie. Salvini mi pare indossare sempre la stessa, e lo stesso si può dire di Elly Schlein, che tenta un brevetto tutto suo e che forse potrebbe finalmente cambiare questo mondo in cui vogliamo che i politici siano uguali a noi e poi ci lamentiamo se lo sono. Chiameremo il brevetto di Elly: esibizionismo schiscio.
Sono andata a guardare un quadro di Guttuso, ci spiega, postando non una foto del quadro come faremmo noialtre che lo vogliamo far vedere a chi ci segue, né un suo primo piano che indica il quadro come farebbe una venditrice di barrette dietetiche. Elly si fa fotografare di spalle, seduta davanti al quadro.
Senza le sue spalle, crederemmo davvero che ci fosse andata? Se un Guttuso cade nella foresta e nessuno era lì per fotografarlo, è caduto davvero? Se fai la spesa senza fotografarti, te li danno i punti fragola? Se non ti fotografi camminandoci in mezzo, tieni davvero agli operai? Se le tue foto non prendono cuoricini, è più grave che se tocchi le bucce delle castagne senza guanti?