L’accento svedeseStoccolma è (finalmente) a un passo dalla Nato

Il presidente turco Erdogan, firmando il protocollo per l’accesso all’Alleanza atlantica, pone fine a più di un anno di schermaglie. Rimane da convincere l’Ungheria, sempre più vicina alla Russia dopo l’incontro fra Orbán e Putin al vertice in Cina

Il segretario generale con il premier svedese Kristersson
Il segretario generale Stoltenberg con il premier svedese Kristersson (foto Nato)

Il semaforo è quasi verde e per la Svezia si stanno spalancando le porte della Nato, dopo oltre un anno di incertezze, incidenti diplomatici e sforzi inutili, specie del ministro degli Esteri, Tobias Billström. Lunedì sera, poco prima delle 21 ora di Stoccolma, è arrivato l’annuncio della firma del presidente turco Recep Tayyip Erdogan al protocollo che permetterà al Parlamento del suo Paese di votare la ratifica.

I rapporti fra la Svezia e l’Alleanza atlantica sono sempre stati complicati: negli anni Cinquanta, la dottrina di Stoccolma era quella di mantenere una neutralità simile a quella svizzera, che d’altronde aveva permesso al Paese di evitare il conflitto durante entrambe le guerre mondiali.

Se si eccettuano le missioni all’estero e le guarnigioni di volontari, specie durante la Guerra di Inverno e quella di Continuazione della Finlandia contro l’Unione Sovietica, l’ultimo conflitto al quale la Svezia ha preso parte è stata l’invasione della Norvegia del 1814, mentre l’ultimo colpo sparato in territorio svedese risale all’estate del 1810 durante la guerra dano-svedese.

In virtù di quella dottrina, propugnata dal padre del Welfare svedese Per Albin Hansson e proseguita dai leader socialdemocratici Tage Erlander e Olof Palme, la Svezia considerò addirittura l’ipotesi di munirsi di armi nucleari per dissuadere i due blocchi. Il timore principale era quello di ritrovarsi con una Finlandia nuovamente invasa dall’Unione sovietica, motivo per cui anche Helsinki si è tenuta fuori dalla Nato fino a quest’anno.

L’invasione russa dell’Ucraina ha cambiato anche questo approccio e la domanda di accesso è stata una questione che ha improvvisamente acceso il dibattito all’interno della politica svedese.

A pochi mesi dalle elezioni, ci si immaginava che il governo socialdemocratico avrebbe avuto maggiori difficoltà rispetto ai rivali a consentire l’ingresso nella Nato a causa dell’essenziale sostegno esterno di Verdi e Sinistra, ma qui è arrivato il capolavoro politico di Magdalena Andersson che, in collaborazione con Sanna Marin dall’altra parte del Golfo di Botnia, ha portato a mani nude il partito dalla sua parte, inclusa l’ala più intransigente.

In Parlamento, lo stratagemma adottato per non far sorgere una crisi di governo è stato quello di proporre una votazione per acclamazione, istituto previsto dalle regole parlamentari svedesi. In questo modo, il consenso dell’intero centro-destra ha offuscato la contrarietà dei partner esterni di governo senza necessariamente andare alla conta.

Con il voto del settembre 2022, la vittoria di misura del centro-destra e la nascita di un governo di minoranza sostenuto esternamente dai nazional-populisti degli Sverigedemokraterna, ci si immaginava un cammino meno accidentato: con la firma al protocollo posta durante gli ultimi mesi del governo socialdemocratico, già ventinove Paesi su trentuno avevano ratificato l’accesso svedese quando a Rosenbad era salito l’attuale premier moderato Ulf Kristersson. All’appello, mancavano solo Turchia e Ungheria.

Se, nei primi mesi, Svezia e Finlandia avevano continuato di pari passo, era sempre più evidente che Helsinki riscontrasse meno ostilità rispetto all’alleato nordico, motivo per cui, ai primi di aprile, Turchia e Ungheria hanno approvato il solo accesso finlandese, tenendo fuori Stoccolma.

L’Ungheria, come noto, è il paese Nato e Ue più prossimo a Vladimir Putin, tanto che la vicinanza fra l’autocrate magiaro Viktor Orbán e il leader del Cremlino è stata rinsaldata pochi giorni fa da un incontro avvenuto in Cina. Budapest, però, non ha mai avuto nessun valido motivo per rifiutare l’accesso, limitandosi a posticiparlo ogni volta che a farlo era anche Ankara.

Diverso il discorso di Erdogan, che sin dai giorni immediatamente successivi agli attacchi su Kyjiv ha cercato di imporsi come mediatore. Ha utilizzato la questione svedese per garantirsi la sopravvivenza politica in patria, in vista delle difficili elezioni presidenziali della scorsa primavera, accusando la Svezia di sentimenti anti-turchi e islamofobi.

Qui entrano in gioco le difficoltà del governo svedese: se la critica da sinistra nei confronti della Turchia è legata soprattutto alla presenza di attivisti curdi in Svezia, ritenuti terroristi da Ankara che ne chiede l’estradizione, a destra il contrasto è avvenuto sul ruolo della religione, elemento cavalcato alla grande da Erdogan, nonostante a esporsi in tale questione fossero solo dubbi personaggi come l’estremista Rasmus Paludan, accusato dal Guardian di aver agito su impulsi provenienti da Mosca.

L’evoluzione del conflitto in Medio Oriente, altro contesto dove Erdogan cerca di svolgere la funzione di interlocutore fra Hamas e Israele, ha fornito alla Nato gli strumenti per incassare il via libera del presidente turco. Che l’ingresso di Stoccolma sia un assegno in bianco e Erdogan non abbia chiesto nulla in cambio, appare improbabile.

I passi successivi sono due: dato per scontato che la maggioranza presso il parlamento turco seguirà le indicazioni di Erdogan, dovrà ancora essere convinta l’Ungheria.

Orbán non ha gli stessi elementi su cui ha fatto leva il presidente turco, non esiste nessuna frizione diplomatica fra i due governi (anzi, gli Sverigedemokraterna hanno votato in favore di Budapest al parlamento europeo) e Fidesz gode di una supermaggioranza che non mette a rischio la tenuta del governo all’Orszàghàz (il palazzo del Parlamento ungherese).

Ogni ulteriore ritardo può essere spiegato solo in due modi: o l’autocrate ungherese ha bisogno di una contropartita, magari un alleggerimento nei suoi confronti da parte dell’Ue ora che è finito il regno del PiS in Polonia, oppure il diktat arriva direttamente dal Cremlino.

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